Normalità: dovrebbe trattarsi di una condizione riconducibile alla consuetudine interpretata come regolarità e ordine. Questa è Hogwarts, però, e non c’è pace per nessuno… tanto meno per me.
Sto imburrando un toast con estrema calma, fingendo che questa sia l’occupazione più importante della giornata e, per certi versi, lo è. Il buongiorno si vede dal mattino, dopotutto, ma sto per scoprire che se questa è la regola del ben cominciare - un tempo la scuola non era così caotica, o sbaglio? - allora ci sono delle questioni che devono per forza essere riviste.
Prendiamo Camille Donovan, per esempio, che mi siede di fronte con la sua tazza di latte e cereali: ha quindici anni ed è il Prefetto della nostra Casa; quando è arrivata qui non era capace di spiccicare mezza parola con i ragazzi più grandi, probabilmente perfino il Frate Grasso la intimoriva; concentrata sui suoi studi, Camille non lasciava spazio all’errore. Per questo, a dodici anni, ha vestito il ruolo che ancora oggi ricopre. Peccato che, nel processo, abbia incontrato Hughes e il suo vocabolario sia diventato praticamente la quintessenza dello sproloquio e dell’insulto. Un unico pacchetto che, come adesso, mi sta strappando un sorriso di sottecchi.
Hughes è un idiota, non so come il Cappello abbia potuto spedirlo a questo tavolo, ma così è stato deciso. L’udienza è tolta. Gli scocco uno sguardo minaccioso, un fulmine invisibile più che altro, e non mi arrischio a dire nulla, mentre quello si alza e raggiunge i Serpeverde. Tra qualche minuto, scopriremo se Hughes ha quel qualcosa - lo spirito di sopravvivenza - capace di fargli fare un passo indietro; certo, non mi stupirei se Draven decidesse di Schiantarlo immediatamente. Vorrei farlo io, ma la spilla non me lo permette.
Che peccato.Il verso dei rapaci riecheggia nella Sala Grande e il fruscio d’ali arriva all’improvviso come un’onda d’urto: peggiore del solito, però, è la consegna della posta stessa. Guardo in alto, accorgendomi che qualcosa è diverso dal solito: i gufi, gli allocchi e le civette volano sconclusionatamente, quasi non trovassero i destinatari delle loro missive, salvo riprendersi e gettare nelle caraffe e sulle torte di marmellata il loro fardello.
E’ così che vedo piombarmi addosso una lettera e da ex Cacciatore, ufficialmente Cercatore, la mia mano si allunga verso l’alto, afferrando la lettera a me destinata. Le dita coprono il nome sulla busta, lasciando tuttavia scoperto il cognome: Lynch.
E adesso cosa vorrà la nonna? mi domando, facendo spallucce e appoggiando la letterina avendo cura di nascondere il suddetto nome. La privacy, dopotutto, è importante. Però la questione non mi torna e riprendo subito possesso della busta per osservare il nome: Eloise Lynch. Diamine, essere parenti alla lontana crea non poche difficoltà perfino ai gufi.
Vorrei consegnargliela, ma è seduta più lontano di quanto mi aspetti e, pur con la confusione dipinta in volto, metto da parte la posta e continuo ad imburrare il mio toast.
Vorrei solo fare colazione in pace, è chiedere tanto?
Stavo per scoprirlo.La breve colluttazione tra Matt e Camille mi costringe ad abbandonare il mio pasto e osservo la scena in silenzio: ogni volta che il ragazzo è nei paraggi puoi star certo che Nieve sia il motivo delle sue invettive. Quei due non si piacciono, mi è chiaro, ma così è troppo.
Stringo il coltellino da burro fino a farmi male, mentre la vita privata di Nieve viene sciorinata così, davanti a tutti; non sopporto questi comportamenti, men che meno dai miei concasati.
Sto per riprendere Matt Davies quando Camille interviene estraendo la bacchetta. Per un secondo perdo la bussola e non capisco davvero che cosa sta accadendo.
«Donovan!» la richiamo, quasi inebetita per aver fatto evanescere la lettera di Nieve. Mi sono alzata in piedi, perfino, e me ne accorgo solo dopo che qualcuno accanto a me tira un lembo della mia manica, indicandomi un punto non ben precisato al di là della tavola.
Quando pensavo alle Furie non immaginavo avessero il volto di Nieve. Non prima che ci azzuffassimo nella neve, comunque. Ora, però, ho un ritratto vivente della mitologica figura e devo ammettere che - nonostante tutto - ha un suo perché. Mike non ha bisogno di dirmi o scrivermi quanto abbiamo appena udito, insomma, non ce n’è bisogno: ma Nieve, lei ha rapporti strani con chiunque, conosce troppe persone che sfuggono al mio radar e questo spasimante, chiunque egli sia, deve essere abbastanza importante e recente da farla scattare come una molla per avventarsi su Davies.
Ci metto un secondo a privarmi della dignità costruita in quegli ultimi sette gloriosi anni: mentre Camille si frappone tra Davies e la Rigos, finendo per rimetterci, sono già a metà strada per scavalcare il tavolo.
Sì, l’ho fatto: sono salita sulla panca, ho preso lo slancio giusto e ho attraversato la tavola sfilando tra le caraffe di succo di zucca e le torte di more. Ho persino calpestato la lettera della Lynch, scivolata a terra nel trambusto, e nel tempo che impiego a scendere e afferrare Davies per la collottola, Nieve scarta Camille e sferra il secondo fendente.
Rivista in slow motion deve essere stata una scena inverosimile, ma non avevo certo il tempo di circumnavigare la tavolata per raggiungere i litiganti. Camille sta bene, questo l’ho capito, ma Matt sanguina dal labbro, mentre lo prendo per il colletto della camicia tirandolo indietro e facendolo scivolare a terra. Qualcuno ride, forse gli occupanti di un’altra tavolata, ma non ho il tempo di curarmene: sebbene abbia salvato Matt da una commozione cerebrale, il libro ha fatto in tempo ad abbattersi sul naso del ragazzo e non credo di aver immaginato il suono di un osso che si spezza.
«ADESSO BASTA!» grido, frapponendomi tra Nieve e la vittima lecita della sua furia; gli occhi di lei sono puntati su entrambi, su di me e sul ragazzo sanguinante a terra che si lamenta.
«Davies, soffri in silenzio, per l’amor del cielo!» lo redarguisco con cattiveria, quasi, sapendo quanto si sia meritato una lezione. Ora, però, non so come gestire Nieve.
Mi guardo attorno nella speranza di vedere il Caposcuola Grifondoro, ma non riesco a scorgere la sua figura tra le tante testoline chine sulla colazione per la vergogna o lo stupore di quanto accaduto.
Sbuffo e torno a guardare Nieve per un istante, prima di chiedere ad una ragazzina del primo o del secondo anno di cercare la Bell.
Sono stanca, Nieve, di te e di tutti gli altri. Mi chino su Davies e gli afferro il volto tra le mani, esaminando l’escoriazione sul naso e tenendo la bacchetta già pronta per pulire le ferite di guerra.
«Davies sei un cretino patologico. Stasera finirai di nuovo a pulire i bagni dal primo al sesto piano, te lo garantisco.» sbotto furente. A Nieve penserò se e quando Casey mi farà l’onore di assistermi.