I am the storm that never leaves
È un martedì mattina pigro come un altro, di quelli che faticano a ingranare perché siamo tornati da poco a scuola e lo strascico delle vacanze si fa ancora sentire. I volti di chi mi circonda trattengono il velo sonnacchioso di Morfeo: a impedirgli di cadere a picco sul piatto della colazione, solo il sostegno delle mani. Il tè, il caffè e lo zucchero sono il carburante che gli elfi domestici hanno messo a disposizione per accelerare il percorso verso la ripresa della coscienza. Poi, vengono le uova e soprattutto il bacon con il suo profumo appetitoso, che induce a impugnare la forchetta perfino chi vaga nei metafisici corridoi dell’incoscienza.
Allontano la tazza di tè e la ripongo sul tavolo, dopodiché porto una boccata di crostata ai mirtilli alle labbra. Istintivamente irrigidisco le spalle e lo stomaco si contrae. Detesto mangiare in presenza di altre persone, ma il protocollo della scuola non mi consente l’intimità di un pasto in solitudine. Nonostante i molti anni trascorsi a Hogwarts, tuttavia, non sono ancora riuscita a scacciare il disagio che m’assale ogni qualvolta l’impressione di essere osservata nell’atto del mangiare intossica i miei pensieri.
È un bene che la mia attenzione venga presto catalizzata altrove. Sbarro gli occhi con la forchetta ancora a mezz’aria: una torta riccamente decorata appare davanti ai miei occhi, là dove un istante prima stava la fetta di crostata. Schiudo le labbra e batto le palpebre. Impiego qualche secondo di troppo a leggere la scritta che, se possibile, accresce il livello di confusione nel quale sono precipitata.
«La prof ti manda una torta?» fa una voce alla mia destra, sconcertata.
«A quanto pare…» rispondo, nel mio tono e nei miei gesti visibile il disorientamento.
«Hai fatto qualcosa di buono evidentemente» continua Francine, passandomi un coltello.
«Che dici, vediamo se se la cava in cucina?»Le sorrido, impugnando la stoviglia.
«Be’, sarebbe un peccato non farlo, direi» rispondo, fingendo naturalezza.
In realtà deglutisco nella speranza di ingollare tutto il mio disagio. La Walker non può saperlo, ma mi sta mettendo al centro dell’attenzione proprio in uno dei momenti peggiori della giornata: i pasti.
⚜️
È così che dovrebbe essere. La vita, intendo. Occhi chiusi, musica nelle orecchie e la brezza autunnale che ti accarezza il viso. Seduta a gambe incrociate tra due colonne del cortile interno, mi godo la fine delle lezioni con animo leggero. Non ho fatto un cazzo ovviamente, se non tentare di camuffare la mia incapacità di usare la bacchetta, ma ho smesso di crucciarmene. Affronto quest’anno scolastico con una disposizione d’animo differente, ovverosia con la consapevolezza di voler vivere due esistenze separate: qui voglio assecondare ogni barbaro istinto, nei salotti che richiedono la mia presenza sarò invece la dama che si prevede che io sia.
Apro gli occhi e sussulto. Francine sta muovendo le mani davanti al mio volto per attirare la mia attenzione. Spengo il congegno inventato da nonno Gaspare e il mondo esterno torna a investirmi con i suoi suoni.
«Ciao, Francine! Dimmi pure.»«Non dovresti essere dalla Walker a quest’ora? Quella torta merita un minimo di rispetto» mi dice, puntandomi il dito contro il naso.
Estraggo l’orologio da taschino che mi porto dietro come un vecchio signorotto della media borghesia.
Cazzo, sono in ritardo!
Salto giù dal muretto e raccolgo la tracolla, facendola passare sopra la testa.
«Ti bacerei, Francine, ma non avrei abbastanza tempo per farlo come si deve. Rimandiamo a più tardi» le dico, lanciandole un soriso malizioso.
La osservo un istante di troppo. Schiude la bocca per la sorpresa, gli zigomi si arrossano, poi mette una mano al fianco e alza l’altra per mostrarmi il dito medio proprio mentre ho iniziato a correre all’indietro per allontanarmi da lei. La mia risata echeggia nel cortile.
⚜️
Quando raggiungo i sotterranei —Dio, com’è stantia l’aria qui!—, è con sorpresa che mi trovo di fronte un cupcake. Sì, un cupcake. Levita all’altezza dei miei occhi e sembra chiedermi udienza. Il perché sfugge a voi quanto a me.
Arriccio labbra e sopracciglia. Nulla che appaia così per caso a Hogwarts può dirsi normale. In particolare, nulla di commestibile che venga lasciato casualmente in giro
non è sospetto. E io ho la benché minima intenzione di finire in infermeria. Così lo schivo, pronta a dirigermi verso l’aula di pozioni, ma una caramella sovradimensionata appare poco dopo dietro il primo dolce, seguita da un’infinità di leccornie che avrebbero reso felice Emma Woodhouse se non fosse sparita senza lasciare più tracce.
Ma che diamine…L’improvvisa imboscata ha come effetto la messa in discussione delle mie convinzioni. Ferma sul posto, arrivo a chiedermi per quale ragione abbia pensato che la destinazione più opportuna fosse l’aula di pozioni e non l’ufficio della professoressa. Mi maledico mentalmente. Sono già in ritardo e mi toccherà arrivare fin sulla torre di astronomia per non mancare l’appuntamento.
Muovo un passo in direzione delle scale che portano al piano terra, ma il cupcake mi si para davanti.
«Ma ce l’hai con me, cosino di zucchero?» Muovo mezzo passo indietro per evitare che la glassa mi finisca sul viso e non so se sia frutto della suggestione o cosa, ma ho la sensazione che quello abbia chiamato i rinforzi perché d’un tratto sono circondata da una girella, un bombolone e un enorme leccalecca color arcobaleno. Arretro di nuovo senza capire cosa stia succedendo, finché il pensiero della torta non titilla le mie sinapsi. Possibile che..?
«Non può essere…» mi dico. Non farebbe mai una cosa del genere. La Walker ha sicuramente cambiato il modo di fare lezione e ha reso Pozioni una materia meno lugubre, ma rimane comunque una docente. Quanto sopra le righe può essere?
«Allora, la smettiamo, carnet di carie ai denti? Vediamo dove dobbiamo andare, ma statemi lontani o vi cospargo di sale. Intesi?»Non sono certa che sia frutto della mia minaccia o (più probabilmente) della mia resa. Sta di fatto che la richiesta di una tregua funziona. E, intanto che mi avvio e supero l’aula e qualche sgabuzzo dimenticato da Gazza, valuto quali tecniche mettere in atto se tutto questo bailamme si rivelasse una fregatura ad opera di uno dei burloni della scuola.
Posso solo menare, niente magia, sospiro, già pronta a rompermi di nuovo le nocche e a scalciare come se da ogni colpo dipendesse la mia stessa vita.
Sono veramente una randagia.
Il tragitto zuccherino termina di fronte a un dipinto a motivo fruttato. Accanto a una pera rotonda e dall’apparenza succosa, levita una caramella bianca e rossa che non mangerei nemmeno sotto tortura. Rido, non so se per l’esasperazione o per reale divertimento.
«Apriti sesamo?» bisbiglio ancora in preda al riso, i polpastrelli che saggiano le labbra. Ma il dipinto non mi parla, né la pera comincia a sculettare per indicarmi cosa dovrei fare a suon di reggaeton. Getto il capo all’indietro. Ma perché mi ficco sempre in situazioni inverosimili?
«Ma che- Lasciami in pace, oh!» È tornato all’attacco, il maledetto cupcake. Compio un balzo a destra per evitare che mi impiastricci il volto.
Stupida glassa! «Se non fossi sicura che mi manderesti dritta al secondo piano, ti mangerei solo per il gusto di fartela pagare. Così, come una vandala» lo minaccio, simulando la poca grazia con cui mi divertirei a ingurgitarlo, sporcandomi mani e viso.
Chiaramente incurante di fronte alla mia spietatezza, quello continua a spiaccicarsi contro il
derrière della povera pera. E io lo guardo a tratti meravigliata, a tratti esilarata, a tratti incapace di determinare se stia assistendo al suicidio di un dolce e se sia il caso di intervenire. Per un meccanismo puramente istintuale, allungo la mano verso il punto in cui si è schiantato e rimuovo un po’ di glassa con la punta delle dita. Per l’ennesima volta, il gesto mi costa un sobbalzo.
Un’apertura nella pittura mi consente di scoprire ciò che di Hogwarts mi era ancora ignoto; ed è con stupore che mi ritrovo a provare per la prima volta dal mio ritorno a scuola la stessa sensazione di calore delle esperienze da matricola. Ecco che mi pare di sentirla di nuovo, liquida e palpabile, la magia che spesso sfugge al mio controllo. Non mi sono avveduta, nell’emozione del momento, di aver impugnato la bacchetta; di averne ricercato il tepore, la complicità.
Mi ridesto e inspiro. Dimentica dell’appuntamento con la Walker, mi lascio travolgere dalla scoperta. Sto sorridendo, mentre faccio ingresso nelle cucine e osservo gli elfi affaccendarsi in vista della cena. Sgambettano felici e precisi in uno spazio che profuma di buono, di casa. Per reazione, il mio stomaco si contrae —stavolta per la fame, non per il suo contrario.
«Gesù incoronato!» L’esclamazione mi sfugge di bocca prima che possa trattenerla, o rimodularla in modo più confacente alla mia natura di strega. È solo che, nello stato di trance in cui ero caduta e persuasa com’ero che Adeline Walker mi stesse aspettando nel suo ufficio, proprio non ero pronta a un’accoglienza così briosa.
«Buonasera, professoressa» correggo il tiro, sorridendole e battendo le palpebre con smaliziata civetteria. Un visino pentito può essere un primo passo per accedere al perdono, no?
«Scusi il ritardo, ma è stato complicato capire che tutta questa storia dei dolci fosse opera sua. Però, il cupcake molesto ha funzionato» aggiungo, più loquace di quanto sarei di norma, specie in presenza di un’insegnante.
Tutta la situazione mi mette a disagio, ora che ho il tempo di rendermene conto. Per questo, fingo di lasciare il passo a un’elfa solo per rinfoderare la bacchetta senza essere vista. I motivi per una richiesta di colloquio potrebbero essere molti e, stando ai recenti sviluppi della mia carriera accademica, non direi che ce ne siano di positivi.
«Mi piace molto» rispondo alla sua domanda, assecondando l’andazzo informale della conversazione.
«In inverno, io e mio nonno abbiamo —
avevamo—
l’abitudine di berne spesso davanti al camino o fuori in cortile, quando nevica. Come mai me lo chiede?»Sono qui per questo?, vorrei sapere.
never trust a survivor until you find out what they did to stay alive