Astroanomalie in luoghi poco raccomandabili, [Privata - Colloquio]

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Sei un coglione, Alexander, e non posso credere che la prima cosa che ti sia venuta in mente sia stata questa. Dopo anni che non lo vedi, anni che per una cosa e per l’altra sei stato distante. Certo non significa che tu ti sia dimenticato di lui, i tuoi amici li porti in petto come gemme incastonate o come spine di cactus quando ti ci avventi contro con troppa forza. Di solito in quei trip andati un po’ a sfacelo.
Ad ogni modo l’hai fatto davvero, hai strappato un pezzo di tovaglietta di cartone per scarabocchiare in matita - devi ringraziare che non piova - quelle poche parole. Ti sei detto che tanto a Camillo sarebbero bastate per capire che eri tu, senza tanti giri che a scrivere non sei mai stato bravo, sei più il tipo che le cose le fa di persona. Però ecco, non è che ti andava granché di spostare il Van solo per arrivargli sotto casa e suonare al campanello.
Sarebbe stato più facile, ma non ti avrebbe fatto sorridere così tanto l’idea.
E poi, è stato Hans a dirti di dover essere “Più mago”, e figuriamoci se le sue parole sanno uscirti dalla testa. Per tuo padre provi un malsano affetto, basato su serate passate insieme ad imparare la lingua dei segni per Theo e ringhi sospesi nel vuoto quando ha lasciato tua madre.
Ora non lo sai bene come se la vogliono vivere, ma magari quelli non sono cazzi tuoi, e per tali li hai presi.
Un cinguettio ti stupisce di punto in bianco: vuoi che abbia funzionato per davvero? Hai le gambe incrociate, seduto in cima a casa tua, che cigola e si piega se ti agiti troppo. E sorridi, stupido. Sorridi a quel pettirosso con le piume tanto gonfie ed arruffate. Lo lascio svolazzare e zampettarti tra le dita.

“Ce li hai forti ‘sti artigli, piccoletto”

Poi, un cruccio. Oh cazzo. Cioè, poi lui...?

È solo magia, ti dici. Innocua, sciocca magia. Non gli succederà nulla, è un pennuto nato da una bacchetta nuova di zecca può solo andar bene.
Non gli succederà niente e potrai tornare a crearlo tutte le volte che vorrai. E poi è la dimensione giusta per svolazzare non visto per Londra - sperando il fiato gli regga - e raggiungere la casa di Camillo: tua madre ha fatto la spia, e lui sta vivendo dai suoi. Più facile di così. Pieghi la cartina in 4, gliela incastri bene tra gli artigli e per poco non ti sporgi perfino a fargli una coccola. E’ un pettirosso, Lex, non un gatto. Ti frega poco però, tu la vivi sempre così.

“Credo nelle tue capacità!”

E nella poca strada, in realtà, che dovrà percorrere per canticchiare le sue litanie dolci alla finestra di Camillo, e lasciargli quello sputo di carta da aprire. Sperando sempre che riesca a farlo. Tu, in fondo, hai scritto:

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E quella che per alcuni potrebbe essere una minaccia, per te è quasi un gesto d’amore. Se Breenbergh è ancora la stessa persona non s era sarà presa troppo per gli anni di assenza. Altrimenti, da bravo testardo, troverai un modo per farti perdonare.

alexander hydra - 23.
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Guardavo la lettera che mi era arrivata come avrebbero guardato i telegiornali in Palestina, se fossero esistiti duemila e qualcosa anni fa. Cinquanta piú, cinquanta meno, al momento non avrei neanche saputo dire che ore fossero. Sgomento, con il fiato sospeso.
"Ciao Merda". Mi era davvero mancato leggerlo e, davvero, erano anni che non succedeva.
Pazzo figlio di buona donna – ma del medesimo postino – era risorto! E con dieci anni d'anticipo sul suo rivale in quegli andirivieni tra la morte e la vita.
Da quando anche la corrispondenza aveva smesso di arrivare, mi ero convinto fosse morto. O che fosse incappato nel traffico di esseri umani. O che magari s'era addentrato in qualche bisca, lì giù in Sud America. Erano cose che capitavano da quelle parti. Vincevi una mano di troppo, ti facevi la tipa del tipo sbagliato e chi ti trovava più?
Mi venne in mente che uno doveva essere proprio un coglione per andare a studiare a Castelbruxo. Io bruxavo benissimo a casa mia, o ovunque collassassi, con Morfeo a guardarmi immerso in un profondo disappunto. Il terapista me lo diceva che bisognava lavorare sulle cause, ma io non gli davo retta e preferivo limarmi i denti alla vecchia maniera. Ad ogni modo non è questo il punto, anche se in parte era colpa sua. Non glielo avrei mai rinfacciato.
Ero solo… felice? Potevo dire che ero felice, senza girarci tanto intorno. Per quanto il suo ritorno fosse stato una sorpresa che celava non so quanti substrati di emozioni differenti.
Grattai la bestia e le diedi un biscotto sbriciolato a pezzi minuscoli. Non avrei saputo dire se fosse stato frutto di un incantesimo o meno, sembrava decente. L'unico modo che avevo di verificarlo l'avrebbe fatta svanire nell'etere e mi ero detto che magari ci teneva. Glielo avrei chiesto a tempo debito. Intanto presi carta e penna e mi misi sulla risposta.

"Ci vediamo fuori dalla stazione di Brixton, vieni armato. Ti trovo io,
Ciao Merda"

A rileggerlo suonava come una minaccia. Pace ai sensi, mi dissi. Un verto plumeus alla carta e la legai alla zampa dell'animale, ben ripiegata, esortandolo con un bel lancio degno della Major League a tornare dal suo padrone. Il mancato gabbiano svanì dalla finestra aperta e gli feci ciao ciao con la manina. Poi mi preparai al volo, aprii l'armadio e mi ficcai le prime cose che riuscii ad afferrare. Bacchetta alla mano, scesi a salutare mia madre e mi tolsi anche io dalle palle.

---

La pettegola, per una coincidenza tanto farlocca da far squittire disgustati i vetri di tutti gli specchi su cui si era arrampicata per giustificarsi, si era scordata di dirmi che si era messa in contatto con la mamma di Lex. Ci rimuginavo e ancora non potevo crederci che avesse omesso un dettaglio così importante. Le cazzate me le diceva tutte "Oggi papà ha tagliato il ramo del vicino, che si affacciava nel nostro giardino e lui l'ha mandato a cagare, invito accolto di buon grado" "Ho visto la tua maestra delle elementari, mi ha detto di salutarti" "Sono venuta a conoscenza dei tuoi conti in Lituania e non capisco perché le tasse tu non le voglia proprio pagare". Insomma, robe di cui non mi fregava assolutamente un cazzo. Poi arrivava la notizia bomba e, oopsy woopsy, la memoria casualmente faceva cilecca. Sputai in terra, poi alzai gli occhi sulla scritta "Underground" che segnalava l'ingresso della stazione sulla Victoria Lane. Underground era proprio dove speravo fosse finita la mia maestra delle elementari, a proposito. E invece, pareva che quel giorno l'aldilà si fosse svuotato.
M'ero appoggiato al muro di mattoni con le spalle e con il piede sinistro battevo ritmicamente la suola contro la parete, tenendo il ritmo del busker scellerato che ci stava dando dentro con un'esibizione in strada.

"You can crush us, you can bruise us
But you'll have to answer to
Oh-oh, the guns of Brixton"


I The Clash avevano fatto il loro tempo, pensai, mentre mi guardavo intorno in cerca di una testolina bionda. Sparare, ai giorni correnti, era diventato demodé, e la gioventù preferiva di gran lunga i duelli all'arma bianca. Un po' come se il 'seicento fosse tornato a bussare alle porte del nuovo millennio e i nobili si sfidassero ancora in strada perché un tipo si era fatto la tipa del tipo sbagliato. O aveva vinto una mano di troppo al tavolo. O aveva il portafoglio troppo carico a gonfiargli la tasca.
Mi appuntai mentalmente di avvisare Yordan, doveva avvertire gli altri di vegliare sul buon vecchio Xander; certo, una volta che l'avessi riconosciuto io per primo, così da poterglielo descrivere.
Cristo – battuto sul tempo, ricordiamo – se se n'erano staccati calendari dalle pareti. Non sapevo neanche piú come fosse fatto. Sicuramente mi superava in altezza, ragionai, perché alto lo era sempre stato, almeno nei miei ricordi. Speravo solo non troppo, altrimenti mi sarei sentito un nanerottolo in sua presenza. Ma sapevo anche che se anche si fosse trasformato in una scolopendra, sarei riuscito a riconoscerlo appena mi fosse entrato nella visuale. Era una sensazione viscerale, qualcosa che non riuscivo a spiegarmi.
Tic tac, tic tac. Il tempo scorreva, scandito dal ritmico passare dei bus, e già le fragranze della carne alla griglia e dei piatti salati avevano iniziato a sostituirsi al dolce profumo zuccherino, quello che si mischiava allo smog la mattina presto e il pomeriggio dopo l'ora di pranzo. Amavo Brixton anche per quello. Le bancarelle, i ristoranti etnici, forni e pub che producevano senza sosta leccornie di tutti i tipi. C'era solo l'imbarazzo della scelta.
Senza contare che non ci si annoiava mai. Appena abbassavi la guardia qualche moccioso provava ad assassinarti. Destino birbante.
camillo breendbergh - 20.
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Hai aspettato.
L'hai fatto in silenzio, con calma. Più o meno. Nah, figuriamoci. Calma un cazzo.
Perché un po' nervoso lo eri, ammettiamolo Xà, ci hai messo del tuo negli anni di assenza.
Ma sei svagato come tua madre e a volte qualcosa la perdi per strada ma senza mai, mai allontanarla dal cuore. Quella stupida punta di diamante al centro del petto.
Eppure, anche se quel pizzicore fastidioso nel cervello ti suggeriva di non rimanere così positivo, non hai fatto che sorridere.
Magari un po' nervosamente si, magari con quei respiri trattenuti tra un passo e l'altro a misurare i pochi metri di casa tua.
Magari ravvivandoti i capelli allo specchio e prendendo una cartina da rigirare tra le dita
Hai provato a strimpellare qualcosa, hai cambiato anche le corde alla chitarra nuova ma non sei riuscito a suonare più di qualche nota.
Indice di quel pizzico d'ansia a far da tramite tra gola cuore: senza lasciare niente per il cervello.
Quello è rimasto a digiuno.
Ti sei detto che non ti avesse risposto ci avresti riprovato con un animale più grosso, perche tua madre era piuttosto certa che l'altro olandese fosse in città.
Prima di credere che non ti volesse più rispondere, avresti generato un airone enorme engorgiato per gettare ombra sulla città e superare la tratta verso casa sua.
Si.
E te lo stavi immaginando, disteso per lungo sul tetto del van, con la gamba a pendere giù come fossi un giaguaro.
In effetti qui dove sei parcheggiato è una giungla.
Tuttavia no, ti sei disteso per puntare gli occhi alle nuvole e disegnare con l'indice la forma esatta di un airone. Grande quanto Londra.
Poi, il piccolo e coraggioso pettirosso è tornato. E con lui anche il respiro che avevi trattenuto.
Neanche a dirlo che a leggere ti è uscito un "Oh merda!" Perché in dieci minuti neanche sai cosa sei e come vivi, figuriamoci arrivare a Brixton.
Salti giù dal Van in un lampo, e prendi al volo la prima arma che trovi, ridendo, stupido.
È un coltellino da funghi e per poco ti dimenticavi anche l'essenziale: la bacchetta, quella bella, l'amore tuo no? Quella rimessa a nuovo che controlli ben ogni dannata sera di non aver lasciato di nuovo in posti inadatti.
Ma soprattutto, dov'è Brixton?

----

Ma ora sei qui. Catapultato in un caos meraviglioso, tra spezie e profumi e la voragine già aperta nel tuo stomaco diventa un buco nero.
Dio, da quanto non mangi? Sei proprio un cane randagio.
Ma sorridi, anche se nel guardarti intorno risale il nodo in gola.
Cavolo se le vene pulsano ora, te le senti una ad una, e senti i piedi che si muovono come se non sapessero quello che hai letto.
Ti trova lui, ha detto; dagli modo, no?
Inspiri, sei felice come nel "giorno dei regali" che tua madre non ha mai voluto chiamare con il suo nome: Natale.
Per un secondo ti chiedi se te lo ricordi come è fatto Camillo. Se ce l'hai l'immagine vivida di com'era quando vi siete visti l'ultima volta. Chiudi gli occhi per ripassare velocemente i tratti.
Ti fai una mappa in questa mente contorta, e nonostante tutto poi accartocci il disegno che ne è uscito. Sono passati troppi tramonti perché sia davvero ancora così.
Tu forse sei solo diventato più alto, ma di te non hai cambiato granché. Sempre biondo, sempre gli stessi occhi, molti più forellini ingioiellati qui e lì, ma soprattutto ecco... beh, a ben pensarci ti sei coperto d'inchiostro al punto da renderti forse riconoscibile come una bandierina fluorescente. Una tavolozza, una bacheca da riempire di post-it.
Ma 'sti occhi li devi pur riaprire, e lo fai, si e per poco non ti convinci di averlo davanti e allora quel tamburo rituale racchiuso nello sterno implode, ma era un falso allarme, uno divertente a giudicare dalla tua risata.
Ma chi è il pazzo che sorride tra se e sé? E chi è il diavolo matto che non lo fa?
Ma lui ha detto che ti trova, e tu ci credi fermamente che riuscirà nell'impresa anche tra le bizzarre personalità che vi gravitano attorno.
Ovviamente questo non ti impedisce di cercarlo a tua volta, pur senza muoverti da qui.
Dove "qui" è una bancarella di pane fresco, poco guidato dallo stomaco sei.

Ti sei anche spruzzato due nuvolette rapide di profumo prima di piombare qui. Una manata veloce trai capelli, che poi è l'unico modo che conosci per spazzolarli, e via.
Se potessi, scodinzoleresti.

alexander hydra - 23.
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"Davanti alla stazione, mi raccomando". Me lo ripetevo mentre fissavo l'orologio piantato come un trespolo sulla parete di mattoni.
Il piccione che ci si era posato mi guardava come se avesse voluto farmi brutto, ma non era lui che stavo fissando ritmicamente, mentre il mio sguardo balzava dalla strada a quel blocchetto di ferraglia consumata, e c'era poco da attaccar briga. Le lancette, detentrici di una verità assoluta, mi stavano spiegando un ticchiettio alla volta che Alexander era in ritardo.
Tirai un sospiro scocciato, illudendomi che fosse in ritardo per davvero, poi l'illuminazione mi colse come la falce mieteva le spighe di grano. Si era perso. Si era perso, mi ripetei. Si era perso a cazzeggiare, aggiunsi.
Fu in quel momento che mi staccai dalla parete e mi dissi che se non lo andavo a ripescare io, non sarebbe andato a ripescarlo nessuno. La certezza mi piombò addosso, dandomi la stessa botta di un vaso cascato sbadatamente da uno di quei balconcini con l'intonaco crepato, ma circondati da un perimetro vivace di verde. Era così che funzionavano i miei sensi di ragno, solo che al posto del ragno ero stato punto dalla droga.
Mi diedi una mossa e mi misi in moto, avviandomi verso una strada così densa di aromi che l'aria mi rimaneva appiccicata addosso come un secondo strato di pelle.
Una voce gracchiava da un megafono e poco prima di confondermi tra la folla, poco prima di svoltare l'ultima vietta che mi avrebbe consentito l'accesso al grande mercato, mi imbattei inaspettatamente in un corteo di manifestanti.
“Riqualificazione, non Gentifricazione!„ sbraitava una fanciulla piú giovane di me con l'animo in rivolta. Man mano che quel tramestio di umanità si affacciava dal marciapiede opposto, iniziavo a comprendere il senso di tutta quella messinscena. I cartelli, cari amici senza segreti! C'entrava, mi dissi buttando un rapido sguardo, la ristrutturazione di questo o quell'altro quartiere. Qualcosa di cui non mi fregava assolutamente un cazzo in quel momento, ma che se mi avessero spiegato con calma, probabilmente avrei potuto comprendere e appoggiare.
Percepivo un'aria di militante determinazione, ma il sentimento mi scivolava addosso, quasi detergendo il pungente aroma dei manicaretti etnici che permeavano l'aria in tutta la loro prepotenza.
Già che facevamo la stessa strada, decisi di immergermi nella folla e finii in testa al serpentone.
“Aprite le orecchie, non possiamo permettere che i nostri quartieri vengano trasformati in vetrine per i ricchi!„ Sbraitava, con quell'accento contraddittorio che mi faceva capire non fosse proprio di quelle parti, o almeno che non ci fosse nata. Stringeva il megafono come una sacra reliquia e prendeva a bastonate i timpani dei presenti a ritmo di marcia. “Riqualificazione non deve significare cancellazione della nostra cultura! Guardate come le imprese locali vengono sostituite da catene di fast food e boutique di lusso!„
Giusto, giusto, aveva ragione. Parole di un certo potere, ti facevano pensare. Finalmente smossero anche me, tanto che presi coraggio e mi avvicinai.
«Scusa, ehi… scusa!» Attirai l'attenzione della signorinella, marciando al suo fianco. Lei si voltò e fece riposare le corde vocali per qualche istante. Io parlavo a voce alta per farmi sentire. «Avete tutto il mio appoggio, sai, ho un piccolo negozio in zona e sto vivendo questa situazione sulla mia pelle. Mi piacerebbe dire qualcosa riguardo l'orrore che le multinazionali stanno perpetrando nel nostro amato quartiere e contro gli onesti lavoratori che lo abitano». Spiegai convinto, mentre il volume della mia voce si abbassava progressivamente, trasformandosi parola dopo parola in qualcosa che somigliava piú ad un sussurro. Programmazione neurolinguistica, quelle stronzate che piacevano tanto ai disperati fuori dalla grazia di Dio. Gli stessi che si mettevano a vendere corsi online su come diventare dei gigachad, per depredare economicamente e moralmente le scimmie nella fascia 17-25. Alla fine mi trovai a farle una piccola richiesta, con la voce suadente di un diavolo tentatore. «Ti dispiace?».
Allungai la mano, il palmo aperto. Lei mi guardò un attimo con le pupille dilatate – non saprei dire se per una cottarella improvvisa o perché, se manifestavi sobrio e pulito, automaticamente eri uno sfigato – ma mi guardò con una passione tale da spalancarmi lo spirito. E fece il grave errore di fidarsi.
Quando mi trovai il tanto agognato megafono in mano, il corteo ormai era immerso tra i mercatini. Mi schiarii la voce con due rapidi colpi di tosse, poi lo riaccesi facendolo fischiare. Volume al massimo, grida a pieni polmoni. Roba da far tremare le pareti dei palazzi e scoperchiare il tettuccio delle bancarelle.
«ALEXANDER PORCA DI QUELLA PUTTANA TI AVEVO DETTO ALLA STAZIONE, SE NON SEI LÌ TRA 5 MINUTI TI MANDO UNO STORMO DI CORMORANI». Fine.
Avevo un solo istante per togliermi dalle palle, prima che realizzassero e mi linciassero, e così feci, piantando il megafono in mano alla signorina, attonita. Quando il borbottio iniziò a ribollire ero già fuori dalle palle, bello che illeso.
Che poi, a cuor sereno, neanche sapevo se Alexander fosse da quelle parti. Ma se c'era – e non era alla stazione – i posti in cui cercarlo erano pochi e sicuramente al mercato avevo buone opportunità.
Quando tornai alla stazione mi misi in modalità sentinella, nella speranza che Xandro avesse colto il secondo richiamo. Non scherzavo sulla faccenda dei cormorani. Non scherzavo affatto.
camillo breendbergh - 20.
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Dicevamo: quanto cazzo è buono il pane appena sfornato? Dio.
Chiudi gli occhi, e come il randagio che sei, annusi qui e lì, meritandoti lo sguardo sospetto del panettiere. Ecco magari non è il massimo promettergli un acquisto che non andrà a buon fine. Non hai un soldo, e non mangi del pane decente e non rappreso da... troppo. A giudicare dal borbottio dello stomaco sei già un moribondo nel deserto.
Anche lui ha del melodrammatico ma a volte sommato alla tua espressione per nulla minacciosa, aiuta.
Forse una cosa che rimpiangi della scuola è il fatto che ai pasti non pensavi tu. E lo stesso vale per casa.
E sei chino sul bancone quando un gruppo di manifestanti si fa avanti. Raddrizzi la schiena, neanche lo sai che il panettiere a breve di allontanava direttamente con la pala da forno.
Ma in fondo non è questo che vuoi? Non è il sentirti appena più in difetto solo perché sei profondamente e ingiustamente bravo a scusarti?
Si. Esatto.
Tu ti prostri se puoi, sei in grado di farti perdonare anche gli atti più tremendi, sebbene fondamentalmente sia un buono di prima categoria.
Se solo tu non avessi la concentrazione di un moscerino, probabilmente sapresti di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Deviato da un punto luccicante in un mare di onde selvagge. Gente che sbraita, cortei, la vita in pratica che ti travolge come sempre.
E non è che tu non sia concentrato su Camillo, diciamo solo che in realtà sei solo fatto così. Male.
E forse un po' hai lo stomaco che si attorciglia come se avessi ingoiato un'intera anguilla e questa non decidesse a soccombere agli acidi. O magari è che un po' una merda ti ci senti tu, che per anni sei scomparso. Certo che ti sei detto fosse perché ognuno dove fare la sua vita, percorrere la sua strada ed una serie di stronzate sul libero arbitrio.

Ma le voci ti raggiungono, gli strepitii del megafono ricordando quando tua madre cercava di richiamarti a casa, e tu col cazzo che ci volevi tornare: stavi troppo bene a ciondolare sull'albero dei vicini.
Ti volti giusto per guardarli e - adesso che la tua concentrazione è tornata al suo posto, ben seduta tra le tempie - manchi un battito. È irrazionale, il tuo cuore scodinzola appena la voce di Camillo, e tu lo sai che è lui, ti riprende.
Sembra cresciuto. Rosolato al punto giusto. Una raffa di costine al barbecue, quelle che hanno la crosticina bella da strappar via coi denti.
È un calcio in pancia ben assestato, che ti porta a sorridere. È un ghigno lungo e disteso sulle labbra. Arricci il naso, e cerchi davvero di capire dove sia la stazione: praticamente dall'altra parte di dove stai ora. Complimenti.
Ti ci incammini, passi trai manifestando mescolandoti tra loro, un paio di giri e due salti su te stesso e... sei qui.
O meglio. Sei qualcosa da qualche parte. Come in quei film dove alla fine l'eroe esce dal palazzo in fiamme, quasi illeso.
Eccoti. Sei tu. Non sappiamo di cosa tu possa considerati eroe ma i tamburi che scuotono lo sterno sono qui ad agitarsi.
Li calmi con un sorriso che rivolgi a Camillo non appena incroci il suo sguardo. Allo scoccare dei cinque minuti, sfiorando l'apocalisse di Cormorani.
Sorridi. Ti fermi abbastanza vicino da allargare le braccia ed invitarlo a salutarti come si deve.
Con un pugno tra le costole, ad esempio.

alexander hydra - 23.
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"Vaffanculo" pensai, mentre riconobbi nei lineamenti di quello spilungone dai capelli biondi che si avvicinava a me un volto amico. Non solo era arrivato in ritardo, ma aveva pure avuto la faccia tosta di diventare così alto.
Per un istante rimasi rimbambito, nello stato emotivo del buon Signore quando aveva visto risorgere Lazzaro, e dentro di sé sicuramente s'era detto "Porca miseria ha funzionato!". Aveva funzionato. Tutto. Il tempo, il mondo, il gran teatro delle coincidenze e quelle ultime peripezie per acchiapparsi in un dato tempo ed un dato luogo. Tutto per ricongiungerci finalmente, dopo anni passati senza dirci una parola ed un addio che era sfumato in qualche soffio di vento, che mai ci eravamo detti per davvero.
Era così bello vedere Lex dopo… dopo una vita, era così bello averlo lì, come quando eravamo bambini. Ed anche se il lì era altrove, mi ci sentivo comunque, come se la casa dei nonni fosse stata ancora dietro l'angolo.
Era bello lui, raggiante, ricoperto d'inchiostro. Era bello perché sorrideva ed era felice, almeno quanto lo ero io. Era bello, perché aveva aperto le braccia e mi aveva invitato a stringerlo come un peluche, come se avesse saputo che per davvero avrei voluto stringerlo in quel modo.
Quando Lex arrivò, io mi fiondai tra le sue braccia, e lambii i suoi fianchi con la testa che sprofondava nel suo petto, inebriandomi del dolce profumo che aveva deciso di portare, e che quasi mi aveva fatto dimenticare per un momento dove mi trovassi.
Ma come facevamo da bambini, io lo presi e lo sollevai, nella stessa maniera in cui gli dimostravo quanto fossi forte mentre giocavamo. Lui era sempre stato piú grande di me, ed io piú tozzo, ed in quel modo eravamo cresciuti. Le cose non erano cambiate, sotto quell'aspetto.
Due piroette in sequenza, mentre ancora realizzavo che tutto quel tempo trascorso ora era solo un lontano ricordo, e non più una certezza imperitura. Che le nostre strade si erano divise solo per ricongiungersi.
Il mio entusiasmo risuonava anche quando lo riposai al suolo e gli sorrisi, con la mia caratteristica aria da scemo, maschera delle mille trame che il mio cervello stava elaborando.
Domande. Domande. Di quelle ne avevo un sacco e tante cose da architettare, come in fondo accadeva da pischelletti. Si costruivano grandi castelli per aria; provavamo ad arrampicarci fino ad avvicinarci, quanto più possibile e con i nostri mezzi, per poi abbandonarli una volta compreso fossero troppo distanti per la nostra età. Ma ora che eravamo grandi, grossi e vaccinati – almeno speravo lui non fosse diventato No Vax – potevamo fare tutto ciò che ci passava per la capoccia, senza doverci illudere e disilludere, in un loop creativo e distruttivo costante.
Mi staccai da lui solo per posargli le mani sulle spalle l'istante successivo e osservarlo bene in faccia.
«Sandro vardame i tei oci!» gli dissi, con una serietà palesemente tarocca, come se ci fossimo visti l'ultima volta la sera prima.
«Da quante xé ca te si chi? Dove campito? Gato magnà? E cossa piú importante, ti gà zà catà un lavoro?» In olandese, anche se un po' arrugginito. Magari, mi dissi, mi ero messo a far roteare un sosia tirato su dalla folla senza nemmeno saperlo, e quello mi era sembrato l'unico modo per verificare che Xander fosse effettivamente il mio Lex.
Ad un "non ho ancora mangiato", sarebbe corrisposto un «Dime na naziòn ca te ghe porto mì». Perché ormai, a forza di girare e rigirare, Brixton me l'ero imparata a memoria e conoscevo tutti i locali etnici della zona, le bancarelle e tutto il resto.
Così, nel mentre, avremmo potuto avviarci, recuperando il tempo perso, perdendoci a nostra volta tra le chiacchiere. Anni di chiacchiere, ovviamente.
«Te te sì arma par scorteare qualca cristiàn, ciò?». Mi ricordai di chiedergli. Per scherzo, ma neanche troppo conoscendo l'area.
A cose fatte, me lo sarei trascinato nel luogo dei suoi desideri, perché a Londra avevo deciso fosse mio ospite, almeno finché non si fosse ambientato lui stesso. C'erano così tanti posti in cui volevo portarlo, che mi lasciai travolgere dall'euforia, e forse stava diventando troppo evidente. Ma non me ne fregava assolutamente un ostrega, perché finalmente Xander era con me. E io con lui.
camillo breendbergh - 20.
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E di pugni nello stomaco te ne meriteresti parecchi, più di tutti da Camillo.
Perché sei tu che te ne sei andato, che quando Loreen ha detto che aveva bisogno di spazio e di allontanarsi da tuo padre, non hai avuto cuore di correre fino in quel vostro "parchetto" per dirgli che non saresti più tornato.
Poi certo, sarebbero state le madri a fare i loro chiacchiericci di sottofondo, ma tu non avresti dovuto e basta.
E lo sai perché con lui poi ti sei scritto per un po', senza mai chiedergli davvero scusa, solo inserendo teatrini carini tra un "Ma lo sai che qui camminano solo con la gamba sinistra? Pazzesco!" ed un "Il chupacabra esiste, te lo dico io!".
Per, poi, sempre meno. E se ci si perde in due, beh siete stati due stronzi. Ma a vedervi adesso non potrei dirvi niente.
Ché lui ti è mancato. Te ne accorgi ancora di più ora che è reale, che le se sue ossa si sono allungate anche se non quanto le tue.
Le tue hanno proprio esagerato.
Ma sorridi. Lo ammetti e sorridi. Sorridi in una mezza luna candida che si allarga appena lo vedi venire avanti. Senti quello stupidissimo piercing tra gengive e labbra che tira come un matto. E' assurdo, si chiama "smiley" ma non ti permettere di sorridere se non vuoi morire di dolori.
Ora però può anche staccarsi, non ti importa un cazzo, perché Cam viene avanti e sei qui, stupido. Sei solo un ragazzo, che chiede ad un ragazzo di-
E sai già cosà farà prima che lo faccia, sai che non devi aspettarti un colpo all'altezza dello stomaco: hai solo le cavallette nello sterno.
Ti basta mezzo secondo, il primo contatto e già le tue braccia lo stringono a te, e ridi mentre vi abbracciate così, come se questo non ti inumidisse un pochino gli occhi che - ringraziamo - lui adesso non può vedere.
Le sue braccia intorno alla vita, sono casa, Alexander. Sei in Olanda e sei a Londra al tempo stesso, esisti in due realtà: e tutte e due hanno Camillo.
Ci manca poco che gli lasci un bacio idiota trai capelli.
Come se fosse lo stupido tesoro prezioso, quell’amico con cui giochi così tanto che non hai bisogno di chiedergli come si chiama a fine pomeriggio, perché tanto il giorno dopo lo rivedrai ed il suo nome continuerà a non avere importanza.
E' così che non hai saputo niente di lui per il primo anno, da piccini, perché poi è stata tua madre a dirti chi fosse.
Le braccia lunghe girano dietro la sua schiena e la testa si infossa lungo il collo. Ringhietti quando ti solleva e ti ricorda che le cose non possono cambiare mai, e che non c'è da temere che questo tempo abbia leso un rapporto.
Semmai l'ha rafforzato.
Sei così felice che ci ridacchi in quella piccola alcova privata, neanche foste da soli nel tuo van.
E non in una stazione di Brixton, con chissà quanta gente svoglia intorno a cui state bloccando la strada.
A te non è mai importato di avere gli occhi degli altri addosso, “che guardino” ti sei sempre detto, “che vedano” quanto ti importa delle tue persone.
Ma, come tutte le cose belle, anche se l'abbraccio lo sciogli, non ti sai staccare da Camillo, gli resti vicino, resti a guardartelo ancora un po' mentre ti parla, come a renderti conto della bestia selvatica che Londra ha cresciuto dopo chw l'Olanda l'ha risputato fuori.
Wow, eh?
Ed è l'olandese la lingua che ti si scioglie in gola, forse i piercing ti rendono anche più accurato nel muovere gli accenti. La ruggine l'avete addosso entrambi.
E negli occhi lo guardi, ancora con quella risata che scema in un ghigno selvatico.
Sarà forse per la marea di domande, ma è così che ti senti amato, egoisticamente e scioccamente atteso.
«Mi? Un lavoro? Neanche l'ombra»
Glielo dici come se fosse palese che ti te non è che si fidino in tanti. E' vero che sei distratto, ma sei ancora così tanto buono... e poi magari sei portato per lavoretti particolari, no?
Però ecco, devi dirgli da quanto sei qui. Questo come minimo. Non hai fatto la merda così tanto, almeno.
«Do settimane, giorno in pì, giorno in manco...»
Ti crucci nel pensarci, storci le labbra, che tanto la risposta alla sua vera domanda, la dà il tuo stomaco brontolando.
«Diria che, si beh, magari dove che te piaxe de pi, me va ben tuto, go massa fame»
Ma finisce che ridi, un po' della tua stupidità, un po' perché non riesci a non sentirti come quel bambino biondissimo che aspettava l'ora "x" ogni volta per correre al parco senza guardare in faccia nessuno.
Quante ginocchia sbucciate perché nella fretta non guardavi dove andavi.
Una spallata dopo l'altra, ti fai avanti anche tu.
«Xe beo vedarte» tanto, si. Lo accenni, con una punta di fierezza, anche se tu hai scazzato tutto, dall'ora al punto e per poco anche il giorno, non fosse che volevi vederlo così tanto saresti finito altrove.
Ah si, poi va beh, magari il coltellino svizzero che tiri fuori non fa che aggravare le cose, ma ora potresti battere la testa contro un palo camminando e non ti cambierebbe un cazzo.
Ci stai attento comunque.
«Questo nol va ben, ah?» neanche per la carta, Lex. Quello nemmeno come apriscatole.

alexander hydra - 23.
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view post Posted on 26/9/2023, 18:34
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Triste, come chi ha perso il nome delle cose.

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Mi faceva così strano rivedere Lex dopo tutti quegli anni. Piú lo guardavo e piú la sua presenza mi aiutava a mettere le cose in prospettiva; in particolare lo scorrere del tempo. E ne era passato tanto, così tanto che se tornavo indietro con la mente potevo quasi sentirlo che mi scorreva addosso, investirmi come un'alluvione. Neanche avevo una bacchetta ai tempi, ed ora un diploma in tasca.
Ma era anche vero che in mezzo a quel disastro, i ricordi piú vividi erano quelli dell'infanzia, quelli che andando a ritroso mi colpivano per ultimi, quasi a volermi dare il colpo di grazia. Eppure erano lì, nitidi come una foto sviluppata di fresco. Tutte le marachelle, tutte le ore passate a giocare insieme, tutte le stupidaggini che sparavamo e che, se le avessimo messe nero su bianco, avremmo potuto tirarci giú un trattato di filosofia. Per bimbi, sia chiaro – ma sicuramente piú valido di certe cose che mi erano passate per mano in tempi recenti.
Poi qualche anno dopo la separazione, a lui la scuola era toccata per primo ed io ero stato arruolato dopo. I primi amici, veri amici, che non avevano neanche la piú pallida idea di chi fosse lui per me. Le lettere che avevano smesso pian piano di arrivare. Il buio.
Fanculo due volte. Una a me, che avrei potuto sbattermi di piú per tenere vivo quel rapporto, per rivederci di tanto in tanto, anche solo in estate. Magari un viaggio in Sud America. Magari una videochiamata, tecnologia permettendo. E invece mi ero totalmente dissociato, avevo fatto finta di nulla, chissà se per orgoglio o perché ormai mi ero arreso all'idea di averlo perso. Fanculo a lui che aveva fatto lo stesso.
Ma non dubitavo che così distante da casa ne avesse passate tante. Glielo leggevo in faccia, glielo leggevo sui mille piercing visibili e quelli che sicuramente s'era fatto e ancora non avevo individuato. Glielo leggevo nell'inchiostro che si portava addosso, come a raccontare una lunga storia, che sicuramente gli avrei chiesto di raccontarmi anche a parole.
Non ci pensai. Decisi di essere felice e basta, e dopo quel rapido scambio di battute sorrisi come uno scemo, come un bimbo, come l'ebete che ero diventato. Mi resi conto che era la prima volta che parlavo olandese dopo… neanche io sapevo quanto, perché in casa si preferiva l'inglese. E mi venne da ridere, perché sentivo che anche lui era arrugginito, proprio come me. Ma dopo quel rapido scambio, venne il momento delle decisioni.
Gli misi un braccio intorno al collo e mi sollevai sulle punte per stampargli un bacio in testa, anche se non ero piú certo fosse avvezzo al contatto. Lo avrei capito, se così fosse stato, perché sapevo cosa volesse dire. Ma decisi di farlo comunque perché mi andava di farlo, trascinato da un impulso inspiegabile. Gli avrei chiesto scusa dopo, in caso.
«'Posto, te sì 'sunto, se par ti va ben tachemo zobia!». Ora che l'avevo liberato dalla morsa d'affetto, decisi di incastrarlo in un'altra rogna. Mi ero detto che se non aveva ancora trovato nulla, ci sarebbe sempre stato posto per lui in bottega, se avesse voluto. Anche solo per provare. Ma di quello ne avremmo discusso in seguito.
Guardai il coltello. «A me spaventaressi de pí con quei fati de plasteghìn». Quelli biodegradabili. Certo non mi aspettavo un tridagger, ma nemmeno un coltello da burro. Avevo molte cose da spiegargli se voleva fare avanti e indietro per Brixton con la vita ancora appiccicata al corpo; ci sarebbe stato tempo anche per quello. Risollevai lo sguardo, mostrandogli un'espressione raggiante.
«Xè beo anca par mì. Dai, 'ndemo, te fago fago fare el ziro dei bacari, offro mì, e poi te fago vedare come semigna messi». Gli spiegai, con tutta la serenità di chi ormai aveva decretato che Lex era in squadra e che, anche di lavoro, si parlava meglio a stomaco pieno.
Avevo un bel tour in mente dei ristorantini e delle bancarelle da asporto, avevo pensato che una spesa al volo – magari sgranocchiando qualcosa per strada tra una chiacchiera e l'altra – gli avrebbe fatto piacere. In bottega avevo un tavolo per pranzare come due cristiani e sicuramente non sarebbero mancati tarallucci e vino. Però saremmo partiti dall'Olandese a pochi passi da lì, tappa simbolica, perché così lo avrei fatto sentire piú a casa. Quel vecchio bacucco era un mago ai fornelli, e non si risparmiava mai col Gin, lo avrebbe scoperto presto.
E presto avremmo avuto il tempo di raccontarci tutto. Vita, morte e miracoli – neanche a farlo apposta – reciproci. Cosa avremmo potuto fare in futuro, se avesse deciso di restare. Tutto quello che ci passava per la testa, esattamente come da piccoli.
«Ah, dime 'npo, come xé ca staeo Theo?» Domandai curioso, mentre ci incamminavamo. Non sapevo se fosse ancora a scuola o se si fosse già diplomato. Non sapevo se fosse lì o altrove, ma non mi ero certo dimenticato di lui. Mi chiedevo come fosse diventato, se anche lui fosse cresciuto a dismisura come Lex, che tipo di persona fosse.
Se avessi dovuto puntare, avrei scommesso tutto il contrario di suo fratello, caratterialmente parlando. Era così che crescevano i figli quando erano in due, il piú piccolo e il piú grande quasi sempre all'opposto.
camillo breendbergh - 20.
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Lex è ufficialmente assunto come commesso all'Atelier!

 
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view post Posted on 2/10/2023, 18:15
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Che stupido sorriso ti prende quando le labbra di Camillo si fermano ironiche trai tuoi capelli. Chiudi gli occhi, come quando eravate bambini e se le cose a scherzi e stronzate buttavano male, poi arrivavano le coccole, in qualche modo.
Diciamo che siete stati un po' peculiari anche in questo, ma a quanto pare a te nessuno ha mai spiegato niente a riguardo. Loreen tra tutti caldeggiava la tua amicizia con Camillo, forse per il sorriso enorme che ti si dipingeva in viso quando sapevi che ci avresti passato assieme il pomeriggio.
O per gli occhioni tristi con cui tornavi a casa quando magari era ammalato e non c'era. Si che poi ti divertivi anche con gli altri amichetti, ma il tuo "bro" era tutt'altra cosa.
Come quando avete coniato il termine "Figli dello stesso postino" o meglio, l'ha fatto lui e poi tu hai finito per tatuartelo in punti preciso del braccio.
Poco sotto il morso che ti aveva dato Billy Jones quando si era infuriato con te ed aveva pensato di usarti come puntaspilli per i denti.
Finisce che poi una mano al fianco gliela stringi sempre, anche per pizzicarlo e dargli fastidio arricciando il naso tu per primo.
Lo sfidi a giocare come sapevate fare da piccoli: fisicamente, come si fa tra cani. Dei piccoli combattenti clandestini, tra un campo di tulipani ed uno di rovi. Ed il bucato della signora Oköß - quante ne hai fatte a lei.
«Pi facile de quel che pensè» sorridi, raggiante. Non hai ovviamente la più pallida idea di quale lavoro si tratti e di cosa voglia Camillo da te, ma sai che ha aperto una bottega perché tua madre è tornata a parlare con la sua.
E quindi forse lo riguardi un po' di più 'sto tuo grande amico, e ti chiedi quanto si possa essere fieri da uno a cento di una persona così. Non hai una risposta, e forse invece ce l'hai, solo che col cazzo che la dirai a voce alta in mezzo ad una strada così.
Che poi, le bizzarrie di Camillo non le hai mai lette come tali, neanche quando ti ha chiesto di portare un coltello che ovviamente non è quello che hai scelto tu - che nemmeno sai come si fa a pugni. Tu al massimo le prendi, rialzandoti fino allo stremo, ma le prendi. Soffri e poi torni un fiore.
Però ecco, si, tu non sai vedere Cam come qualcuno fuori dall'ordinario, se poi l'ordinario è la cosa più rara a cui ti affacci.
Lui è lui, e basta. Ed in qualche modo senti che è di nuovo tuo.

E lo sai che mangerete nella sua bottega, dopo aver spizzicato qui e lì ed esservi raccontati tutto come quando non vi vedevate da una settimana, ed allora bisognava sedersi e dirsi le cose.
Ogni avventura, ogni punto critico, tutto ti scivolerà davanti come a fargli l'elenco di una bibbia di crescita e stronzate.
Di come Theo stia bene ma sia stato un po' preso a male a Castelo i primi tempi, di come hai quasi perso un anno per sdoppiarti e fargli da traduttore fino a convincere gli insegnanti che lui poteva fare solo compiti scritti.
Di quanto ti sei esercitato con lui perché le magie imparasse a farle senza dover pronunciare formule, senza che vedesse mai un blocco, o un problema nel suo essere sordo e muto. Gli racconterai del coraggio di Theo, del fatto che gli manchino due anni ma che passerà sicuro a Londra prima di settembre.

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