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KEVIN P. CONFA
Dove? Hogwarts → Isola di Hirta → Tendoni → Frasche Menzioni: // Interazioni:Lex / Draven
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Guardo le fiamme contorcersi nel camino e mi sento evadere dal caos che è la mia mente. Per un secondo – un singolo e fugace secondo – tutto va bene. Avverto il mio volto rilassarsi al tepore del fuoco e chiudo le palpebre pesanti. Respiro. La luce della Sala Comune è quella tenue del pomeriggio inoltrato. Il silenzio che permea la stanza sembra rallentare il tempo al ritmo del mio cuore. Vorrei lasciare qui ogni turbamento per concedermi una serata normale, ma so bene che la battaglia contro i miei demoni non è ancora vinta. Chissà se lo sarà mai. Penso però che potrei fingere, per una volta. Fare finta di non avere un nome, di non essere quel che sono, di sapere esattamente cosa sto facendo della mia vita. Arresto improvvisamente il flusso mentale, perché ho timore del luogo dove mi potrebbe portare. Lascio ogni pensiero in sospeso ed abbasso lo sguardo su cose tangibili, come i dettagli dell’abito che indosso: l’oro degli eleganti ornamenti balugina appena al bagliore della fiamma; il verde del tessuto sembra quello degli abissi. Respiro, stavolta con più fatica. So di essere in ritardo, ma non abbastanza da ripensarci.
Mi stacco dalla Passaporta. La baia mi accoglie in uno scorcio mozzafiato fatto di luci iridescenti stagliate nel blu della sera. L’Acqua e la Terra si fondono in quel luogo come in un legame mistico, regalando alla vista coste frastagliate che graffiano il mare come artigli sulla carne. Eppure, quella bellezza diventa contorno quando scelgo di alzare lo sguardo, richiamato dalle ombre che volteggiano sull’isola. Ombre fatte di dure scaglie dai mille colori, che osservo vorticare nel cielo e dipingere la sera. Mi trovo al cospetto di creature maestose e guardo in silenzio, quasi con riverenza nei confronti di quel dominio assoluto di Fuoco e Aria. In basso, dove le luci si fanno più intense, scorgo i tendoni disposti a cerchio. I draghi volano sopra le strutture, alcuni atterrano in prossimità di esse con solennità. Attorno agli stand la folla sembra già fitta. Sento un leggero brivido di inquietudine percorrermi il ventre, ma mi costringo a sopprimerlo. Muovo i primi passi, adesso che mi illudo di avere una meta. Il verde mi chiama a sé ed io rispondo, dirigendomi verso uno dei grandi tendoni. Le persone sono sfumature indistinte attorno a me, delle mere comparse. Mi sforzo a non cercare alcun volto con il mio sguardo, perché ho paura degli occhi che potrebbero restituirmelo indietro. Trovo però facile isolarmi da tutto il resto quando, senza fretta, giungo in prossimità dello stand che indossa le mie stesse sfumature. È lì che lo scorgo, al di là del tendaggio, in tutta la sua fierezza: un bellissimo esemplare di Gallese Verde si staglia sulla pedana, sinuoso. Sembra calmo, per nulla intenzionato a far valere i suoi sette metri di lunghezza. È possente, ma non bruto. La sua pelle, che so essere dura come l’acciaio, potrebbe benissimo essere velluto. Non è l’imponenza – mi dico – che identifica questo drago magnifico, quanto la sua eleganza. Lo temo perché è maestoso. Mi attrae, per lo stesso motivo. Le sue squame lucenti mi conquistano a tal punto che non mi accorgo di essere ormai entrato nella tenda. Mi sto avvicinando lentamente alla creatura, come immerso in una trance. Poi, di colpo, mi blocco. Il drago ha posato le sue iridi serpentine sulle mie. Sono di un colore nocciola, caldo e intenso. Guardo il drago e lui guarda me. Vedo le narici dilatarsi e sento il suo respiro sulla mia pelle. Il cuore ha accelerato i battiti nel mio petto, ma scopro la mano salda quando istintivamente alzo il braccio verso la creatura. So di non poterlo toccare, ma neanche lo desidero. La mano resta infatti sospesa nell’aria, protesa verso le squame. I miei occhi, finalmente, vedono attraverso i suoi. Vedo. I nostri spiriti sono affini. Siamo entrambi caos nel cuore del mondo, leggi a sé stanti. Abbracciamo il bene, il male e l’indifferenza, rendendoli una cosa sola. Lo guardo e sorrido, forse per la prima volta dopo lungo tempo. Sorrido e basta, perché è bello sapere che esiste ancora bellezza capace di invadere il mio cuore.
Sono nuovamente al di fuori del tendone, ma non mi sembra di riconoscermi nella persona che vi è entrata. Qualcosa è cambiato in me, dopo questo incontro. Potrei dare la colpa al bicchiere di Whiskey Incendiario che mi sono costretto a scolare per placare l’emozione, ma sarebbe un gesto da codardi. La verità è che il mio spirito soffre di un desiderio di rinascita, che richiede la forza di controllare il caos all’interno del mio cuore. Ho avvertito nel drago questa incredibile forza, tutta racchiusa nelle sue iridi lucenti. E la vorrei afferrare, farla mia, per rendermi capace di planare sul mio destino con la medesima solennità. Cammino adesso, senza una meta e con il secondo bicchiere di whiskey nella mano. L’alcol può evitarmi di restare sopraffatto dalle mie emozioni, ma potrebbe benissimo avere l’effetto contrario. Scelgo di non cercare la risposta nell’immediato; trovo riparo dalla folla, allontanandomi alla ricerca di un barlume di tranquillità. Presto, i miei piedi calpestano l’erba. Mi ritrovo a camminare dietro ai tendoni, seguendone il cerchio, lontano da tutti. O almeno lo credo, prima di udire indistintamente delle voci. Vorrei arrestare la mia avanzata, ma qualcosa mi impedisce di farlo. Ad ogni passo, le voci si fanno sempre più nitide, finché non ne riconosco una. Sopraggiungo nella scena e trovo il volto che cercavo, seppur nascosto tra le mani. Lo scorgo più in basso del previsto, ed in pessimo stato, ma non vi è dubbio che quello sia Draven Shaw. Buttato a terra come un sacco di patate, palesemente ubriaco, e comunque elegante anche nella versione più penosa di se stesso. Indossa un abito candido, curatamente ornato, che ben si sposa con il colore della sua pelle. Quell’abito sarà verde quasi quanto il mio, alla fine della serata. Mi ritrovo a pensare. Una seconda sfumatura di bianco attira la mia attenzione. Dinnanzi a Shaw, un ragazzo sembra godersi la scena. È molto alto nonostante la posizione rannicchiata. Non lo vedo in volto, ma non mi sembra di riconoscerne i biondi capelli, mossi al di sotto delle corna che indossa. L’abito è particolare, più candido ed elaborato di quello di Draven, ma di certo elegante. Lo sento rivolgersi al Serpeverde amichevolmente. «Prova a distenderti» Poi altro, ma sono quelle parole a rimanermi impresse alla fine del civettante discorso, forse per la loro assurdità. Avverto ora una nota pungente, appena accennata nell’aria della sera. Un sentore inconfondibile, che sparisce poi nella nube di fumo del vaporizzatore dello sconosciuto. Guardo Draven nuovamente: dato il suo aspetto, non mi meraviglierei se avesse davvero rigettato. Resto immobile, conscio di essere giunto nel posto sbagliato al momento sbagliato. Penso a come uscirne, ma comprendo mio malgrado che vedere Shaw in quello stato suscita in me più compassione che divertimento, seppur di poco. Muovo dunque l’ultimo passo verso di loro. «Sarebbe come se io gli offrissi da bere.» Mi intrometto senza mezzi termini, con cortese ironia in riferimento al precedente suggerimento. «Una pessima scelta, non trovi?» Riesco a vedere meglio il volto del ragazzo, adesso che l’ho affiancato, e mi perdo per un istante nell’azzurro cristallino dei suoi occhi. È ovviamente più grande di me, non credo di averlo mai visto prima ad Hogwarts. Riporto sul Serpeverde le mie iridi etero-cromatiche. Lo studio per un istante, prima di incalzarlo. «Per l’appunto, Shaw, ho qui un bicchiere di Whiskey Incendiario. Nel caso non ti sentissi di aver dato abbastanza.» C’è ironia nella mia voce, ma nessuna cattiveria. Mi sto prendendo gioco di lui, certo, ma solo perché se lo merita. Sto affrontando un qualcosa con leggerezza, per una santa volta. In verità, ciò che improvvisamente desidero è testare fino a che punto ho avuto ragione quando, fuori da Magie Sinister, ho avvertito quella strana sintonia.
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