Se Camillo avesse desiderato dare voce ai suoi pensieri, non avrebbe adornato con espressioni dignitose la figura di Lucas Scott, né avrebbe dipinto con entusiasmo la relazione che lui e Thalia sembravano aver intessuto. I suoi occhi non avevano potuto evitare di osservare, di testimoniare quella scena. E più la riviveva, in un ricordo che si ripeteva ciclicamente, più sentiva montare in sé un'ira che raramente aveva sperimentato nella sua esistenza. Tuttavia, si trattenne dal mostrarsi troppo apprensivo, poiché, in fondo, la sua fiducia in lei era salda. Thalia aveva dimostrato, in diverse occasioni, di possedere un giudizio equilibrato e maturo. Nonostante queste considerazioni, esisteva un'incognita a cui nessuno poteva sfuggire, nemmeno la Moran: lei non era un automa, ma un essere umano, con tutte le implicazioni che ciò comporta. Emozioni intricate – come lei stessa aveva implicitamente ammesso – scavavano abissi profondi nell'animo. Questi sentimenti erano la più intensa fonte di vulnerabilità, soprattutto quando entravano a contatto con le brame di qualcuno che in quegli abissi trovava un confortevole rifugio. Camillo si distese, assumendo un'espressione mite e un volto addolcito da pensieri meno funesti, in cui spiccava uno sguardo indulgente. Il suo atteggiamento sembrava suggerirle che anche lui aveva vissuto in prima persona qualcosa di simile, sebbene i percorsi individuali fossero unici e inconfondibili. Dopotutto, ogni essere umano è il custode di un bagaglio di esperienze unico, personale. Niente doppioni, quindi. E poi erano affari suoi e suoi soltanto. Ad essere del tutto onesti, l'ultimo evento che Camillo avrebbe potuto immaginare, che coinvolgesse lui e Thalia, era un abbraccio. Nel corso di quasi un decennio di conoscenza, neanche ci erano andati vicini; di fronte a questa sorpresa, inizialmente si ritrovò smarrito, un po’ autistico ed incapace di decidere come comportarsi. Gli ci volle un istante per comprendere che, in fondo, un abbraccio rimaneva un abbraccio, anche se permeato di sentimenti genuini e profondi, e si lasciò andare a quel contatto, rispondendo con la stessa intensità misurata. Certo, sarebbe stato meglio se entrambi avessero fatto attenzione, perché l’ultima cosa che desiderava in quel momento era ferirla con le scaglie che ornavano il suo braccio. Una sorta di arma impropria, avrebbe dovuto pensarci prima di fabbricarle. Sun Wukong, nel frattempo, aveva lasciato la spalla di Camillo per rifugiarsi nel drappo orientale, per poi risalire sulla schiena del suo padrone a contatto terminato. Sembrava così confuso, ma non era stato creato per pensare. Ancora reggeva la sua cola. «Scherzi? Ho fatto solo il minimo indispensabile». Camillo glielo spiegò, con il viso illuminato da un sorriso giocoso ed un po’ incredulo, con gli strascichi della scenetta appena vissuta ad accartocciarlo. Era evidente che il gesto affettuoso di Thalia era riuscito a detergere i suoi pensieri piú triviali, come se avesse gettato candeggina sulle macchie che Lucas Scott aveva lasciato. «A proposito, non mi è sfuggito quel graffio, dopo gli diamo un'occhiata». Aggiunse voltandosi, nel tentativo di mascherare la sua apprensione nel confrontarsi con una Nieve Rigos finalmente libera da ogni vincolo. L'incantesimo che la teneva pietrificata era stato spezzato. Camillo la osservava con curiosità mentre si stiracchiava, riacquistando la propria mobilità. Nonostante la fama che la dipingeva come una guerriera implacabile, a lui appariva piuttosto buffa, tanto che fece fatica a trattenere una risata. Quello, si disse, sarebbe stato il colpo di grazia. La sfuriata non tardò ad arrivare. Gli diceva “Tu” “Tu”, come quando provava a richiamare i numeri di spam e dall’altra parte della cornetta non c’era nessuno. In quel momento il suo cervello era un po’ così. Si chiedeva se avesse senso porre domande così ovvie. Quando la biondina incolpò Thagliatella per quanto accaduto, un cipiglio un po’ incerto campeggiò per qualche istante sulla sua faccia da ebete. No, lei non c’entrava. Se c’era qualcuno da incolpare era l’entità che aveva fatto dono a Breendbergh del libero arbitrio. Ma a conti fatti, si disse che preferiva avere anche Nieve lì, con loro, e che si sarebbe divertito molto di meno se l’avesse piantata a bisticciare con il Campione. Quando lei lo spintonò a mani aperte decise di assecondarla ed indietreggiare piano. C’erano almeno quaranta chili di differenza tra le loro figure, sebbene non si potesse dire lo stesso dei pochi centimetri che li separavano in altezza. La scena, dalla prospettiva dell’olandese, ormai era diventata comica. Dalla prospettiva dei tre Sant’Umberti che si portava appresso un po’ meno. Li stava spaventando e – metti per la sua aggressività, metti per il tono minaccioso – l’agitazione generale divenne presto evidente. Quando una risata sincera affiorò dalle sue labbra, un clima più disteso si fece spazio nell’animo di Camillo e di tutto lo zoo che si portava al seguito. Decise di punzecchiare un po’ la Grifondoro, perché la vibe generale glielo permetteva, perché era troppo fatto per accampare scuse che, in tutta onestà, non poteva concedersi. «Scusa, preferivi passare la serata con un noiosissimo giornalista, invece che con i tuoi amici? Fammi capire bene». Si finse offeso, affacciandosi minaccioso in direzione della gracile figura di Nieve. Fu lui a puntare il dito contro di lei, questa volta, quasi sfiorandola. Quello draconico. Quello che graffiava. «E di cosa avresti parlato tutto il tempo, del magonò Robin Rock o del contrabbando illegale di lampade magiche a Peckham Street?» La incalzò, falsamente severo. Gli articoli sul campionato non se li era mai cagati e questo era quanto gli era rimasto della produzione del gazzettiere. Era ovvio, non ci credeva nemmeno lui. Sicuramente, si disse, gli avrebbe frantumato le palle per tutto il tempo sull’argomento Thalia Moran. A quello non gliene fregava assolutamente un cazzo di ciò che pensava una ragazzetta furibonda, lo aveva capito da come aveva morso la piadina. E poi era dell’idea che piantarlo lì come un fico moscio lo avrebbe infastidito di piú di un esame prostatico, in inverno e senza riscaldamento. Dar noia alla gente era un’arte e se c’era una cosa che Camillo non sopportava, erano le cose fatte alla cazzo di gramo. Si ricompose, questa volta fu lui a farsi una mezza risata. Prese la bibita, gentilmente offerta dal Wukong, fece un lungo sorso e gliela diede, perché potesse tornare a sorreggerla. «Hai grinta. C’è qualcuno che vorrei farti conoscere». Aggiunse. Un ragionamento completamente scollegato da quanto appena discusso. Sì, c’era qualcuno, non lo avrebbe definito esattamente una “persona”, ma era certo che la chimica tra di loro non sarebbe mancata. «Fatti le vacanze in santa pace, poi i sabati successivi ritieniti prenotata, ti passo a prendere io». Le disse, con la naturalezza nella voce di chi parlava del meteo, come se tutto fosse stato già deciso. Il “non te ne pentirai” era implicito. Si portò l’indice al mento per darsi una grattatina, quasi sfregiandosi, mentre guardava all’insù con fare pensieroso. Vide un drago e si disse che la pastiglia che aveva preso era buona. Poi si ricordò che in effetti c’erano davvero dei draghi che svolazzavano qua e là, solcando i cieli dell’isoletta di Epstein. Pace all’anima sua. Posò nuovamente lo sguardo sulla Rigos. «Non sarò sempre presente, immagino che nei weekend sarò impegnato a bombarmi mia moglie un po’ dove capita in giro per la Scozia, ma potresti trovare anche Lex, il biondino che ti ha venduto lo Skyteboard». Gli tornò in mente il motivo per cui era lì. Gettò l’ennesimo sorriso a Nieve e non mancò di farle un occhiolino d’intesa. «A proposito, la sto cercando, l’avete vista in giro?». Indicò i cani, suggerendo che etano lì per la caccia, e si voltò, tutto storto, tornando da Thalia. Le porse nuovamente la mano, invitandola implicitamente a distendere il braccio graffiato. «Ah comunque, il prezzo di un minichino in realtà è un momento musical». Aggiunse, buttando la testa all’indietro per guardare Nieve. Poi si ricompose, bacchetta nella mano libera.
🎼«¿Conocéis ya a Adeline? Sus ojos son bicolores Sus dientes chuecos y tiene tres Con sus uñas el suelo rayó Sus trenzas son de alambre Arqueadas sus piernas están E se non fossi in ritardo Anche lei sarebbe qua».
Canticchiò, tra un Mundo Vulnus e un Medeor Vulneratio, se la signorina Moran gli avesse concesso l’onore di lasciarsi guarire. «In piú vi insegna pozioni». Info extra, buttata lì a caso. Si domandava se Thalia avesse deciso di continuare con la materia o se avesse deciso di piantarla dopo il quinto anno. «Ho dei cerottini con gli unicorni, vuoi?» Le avrebbe detto, se non si fosse opposta alle cure. Poi avrebbe provveduto. Tra lui e la signora Breend— la signorina Walker, c’era da portarsi sempre appresso una farmacia. «E non è amore se non ti fa sentire immensa. Al contrario, alla meglio, è un passatempo». Le avrebbe detto, serio, un po’ per ripicca. Bello l’abbraccio, bello il volersi bene, ma aveva ignorato la domanda piú importante. |