Non guardare giù, privata

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view post Posted on 30/12/2023, 18:52
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Non guardare giù

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Non
furono settimane facili. Da quando avevo riaperto gli occhi, dall'istante stesso in cui mi avevano detto che ero rimasta sola, il mio unico desiderio era stato quello di richiuderli. Per sempre. E così era stato per diversi giorni. Sicuramente in molti se n'erano accorti infatti avevo ricevuto non pochi sguardi e mi era parso che nessuno mi lasciasse mai veramente sola. In quei giorni era stato difficile trovare un senso, trovare letteralmente la forza di continuare a vivere. D'altronde, che senso aveva? I miei genitori e mia sorella erano morti ed io non sapevo nemmeno come, quando e perché. E se prima queste domande irrisolte mi avevano resa apatica, allo stato attuale erano proprio quelle domande a motivarmi ad andare avanti. Io dovevo capire. Io dovevo sapere. Una rabbia enorme mi era montata dentro una mattina come un'altra. Improvvisamente avevo sentito l'urgenza di dare un senso a quei tre anni passati da incosciente in un letto di ospedale mentre il mondo era andato avanti. Ma la memoria continuava a non collaborare: sembrava uno scolapasta da cui erano fuoriusciti tantissimi pezzi del puzzle fino ad essere scaricati nel lavello senza troppe accortezze. E più mi sforzavo di ricordare quella maledetta missione, più mi sembravano solo sogni lontani e inafferrabili.

«Signorina, la cena.» La voce della solita infermiera che mi portava i pasti mi fece voltare. Le sorrisi appena per congedarla così lei uscì.

Non guardai nemmeno il vassoio, non avevo molta fame. Mi voltai dall'altra parte, gli occhi nuovamente fissi alla finestra al di là della quale stava iniziando a calare il sole. E fu allora che ci riprovai. Non era la prima volta che provavo ad alzarmi dal letto ma fino a quel momento ero sempre caduta malissimo. Il tonfo faceva sempre accorrere qualcuno e io dovevo pure scusarmi e promettere che me ne sarei stata ferma. Ma ero sveglia da quasi 3 settimane e mi sembrava di aver già sprecato troppo tempo della mia vita. Adesso, dovevo lasciare quell'ospedale: e non mi avrebbero di certo fatta tornare a casa se non avessi rimesso i piedi a terra.
Scansai quindi le coperte dalle gambe e mi misi a sedere sul lato sinistro, verso le finestre. E fin qui c'ero tranquillamente. Poi misi i piedi a terra e mi preparai a ricevere la scossa. Quando feci leva sulle braccia per sollevarmi e mettermi dritta, la solita fitta mi attraversò tutto il corpo, dall'alluce ai capelli. La ignorai. Mi raddrizzai, mettendomi in piedi e lasciando il bordo del letto come appoggio. Una lacrima mi rotolò lungo la guancia e mi accorsi così di aver iniziato a piangere. Forse era il dolore, forse anche un po' la speranza di poter tornare a camminare. Con gli occhi velati feci un passo; le gambe erano intorpidite, pesanti, livide e tremolanti ma non volevo dargliela vinta. Feci un altro passo. Sbattei le palpebre per liberarmi di tutte quelle lacrime e poter vedere dove stavo andando. Scelsi un obiettivo: la finestra. Volevo vedere fuori. Feci un altro passo. L'istinto mi diceva di fermarmi. Che potevo accovacciarmi un attimo e togliere quel peso alle gambe, alle caviglie. Ma io sapevo che non mi sarei più rialzata, che era una sensazione a cui non dovevo cedere. Guardai un attimo giù, i piedi nudi sul pavimento. Non guardare giù, mi dissi. Potevo farlo un altro passo. Anche un altro. La finestra era vicina, il dolore sarebbe passato.

«Abituatevi» sussurrai alle mie gambe, fasciate dai pantaloni di un pigiama bianco di cotone. «Questa cosa dobbiamo affrontarla» aggiunsi, facendo un altro passo ancora.

Il davanzale della finestra era a pochi metri da me. Iniziai ad allungare le braccia per poterlo afferrare appena possibile. Feci gli ultimi brevi e pesanti passi con la schiena curvata in avanti e le braccia distese verso la mia fonte di salvezza. E quando le dita toccarono la pietra fredda mi ancorai con tutta la mia forza e conclusi il mio pellegrinaggio sorreggendomi e tirando un respiro di sollievo.

Sbattei ancora le palpebre per liberare i miei occhi liquidi e poter guardare fuori il tramonto che adagiava la sua coperta sulla città.

Ce l'ho fatta.

Mi strinsi un po' in me stessa per il freddo che provavo ai piedi e alle mani.

Chissà in quale stagione siamo.

 
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view post Posted on 31/12/2023, 11:52
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Chiunque ti conosca sa che questo non è il tuo posto ideale. Il San Mungo, ma anche gli ospedali in generale, ti danno i brividi. Sciocco come sei, pensi solo che tu non puoi avvicinarti al dolore, non lo sai tollerare. Né quello altrui, né il tuo personale, che tieni ben relegato in fondo allo stomaco. Theo dice che hai un pozzo nero, come quelli di IT.
Dice che ne hai uno solo, ma ci racchiudi tutto l'orrore che incontri, per la tremenda esigenza di vivere quel poco che dura una vita mortale, solo al meglio. Tu vuoi sperimentare tutto, provare tutto, mordere ogni sensazione, bella o brutta che sia, ma non soffermartici troppo.
Dice anche che qui sbagli, perché allora non concedi mai davvero a qualcosa di restare, di sedimentare ma la tua vita va così: meno pesante di come dovrebbe, o potrebbe.
L'unica sensazione a cui lasci uno spazio sconfinato, è l'amore. Ami con ogni fibra di te, ma non sei mai geloso, tu hai talmente un cuore enorme che pensi ci debbano stare dentro un sacco di persone, tra cui - ovviamente - quella che sei qui a trovare.
Per questo ti sforzi, il tuo sorriso cede naturalmente la presa ad un'espressione più seria. Ma ti impegni a non guardare in faccia nessuno, indichi giusto un piano per vedere se un infermiere può indicarti la strada, ma dopo sembri rimettere su i perfetti paraocchi.

E pare che sia venuto qui in campeggio. Hai portato un mazzetto di fiori da campo che vorrei dire tu sia riuscito a comprare da un fiorista, ma la realtà è che li hai rubati dai giardini. Di campo, si, altrui. Ma non ci hai fatto caso, in Olanda non è mai stato un problema, non pensi lo sia a Londra. Il cibo cinese, invece, l'hai pagato con il tuo bellissimo stipendio da Commesso, che non ti preoccupi di conservare neanche per sbaglio.
Hai un pass, perché Aston lavora al Ministero, e allora beh, pare che i ministeriali per le visite vadano ben protetti. Mostri un piccolo lasciapassare, hai giusto un'oretta per coccolarti quel cretino che si è fatto quasi staccare un braccio dalla sua arpia. Evenrude è una bestia meravigliosa ma tremendamente letale. Anche se la colpa è tua, Lexy, che hai distratto Aston mentre la richiamava all'ordine.

Entri di spalle in stanza, sollevi una borsa e fingi con la mano che tiene i fiori, di chiuderti gli occhi. — Coooonsegna espressa, mio dolce fiorellino! Esordisci, certo che non ti stesse aspettando. Non gli hai mandato nessun gufo, né uno stupido piccione. Ma tutto questo perché neanche sapevi se avresti avuto il coraggio di entrare lì dentro... e non volevi deluderlo. — Lo so che non stai nella pelle, ma non ti alzare e se sei nudo resto fermo, così ti puoi rivestire o, ehm... o non farlo minimamente. Ridi, ancora non hai capito di aver drammaticamente sbagliato tutto. Il busto inizia un semigiro in cerca del lettino, apri un occhio: è vuoto. — E per il pranzo ti ho portato quei ravioli di XiaoXì, all'angolo dove ti ci infogni. Ne ho presi talmente tanti che mi dovrai aiutare a finirli e sì, visto che ti sei fatto macerare la destra, ti imbocco i-... Ed eccoti. Qui ti volevo. A deglutire il resto del tuo allegro discorso, perché certamente hai sbagliato stanza. Davanti a te non c'è Aston, c'è una ragazza. — ...oh tutti i neuroni si spengono, come luci nei corridoi durante un film horror. Click, click, click... Uno dopo l'altro, i neon saltano.



 
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view post Posted on 1/1/2024, 17:30
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Il
davanzale freddo mi dava un certo sollievo. Mi sentivo il corpo bollente da quella mattina ma a quel punto ero abbastanza sicura di non avere la febbre - con tutti i controlli che facevo ogni giorno l'avrebbero saputo, i dottori. Che poi ero sotto osservazione perché nemmeno nel Mondo Magico era così frequente un risveglio da un coma di 3 anni. Continuavano a chiedermi ''Come stai?'' oppure ''Come ti senti?'' e a me veniva in mente quando mio padre rispondeva ''Come se mi avesse appena risputato una lavatrice'' e quindi sorridevo ma poi piangevo anche un po' e mi asciugavo rapidamente gli occhi. In quelle settimane avevo pianto moltissimo, più di quello che ricordavo di aver mai fatto - almeno, se ricordavo tutto. Più trascorrevo il tempo in quella stanza più mi sembrava di allontanarmi dal mondo esterno e mi sembrava che la verità mi stesse sfuggendo come sabbia tra le dita. Avrei mai recuperato certi ricordi? Avrei capito davvero cosa era successo quella notte? Cosa c'era stato in gioco di così pericoloso da ridurre tutti noi in quello stato? In quei giorni mi era capitato di pensare spesso anche ai miei colleghi rimasti uccisi. E alle loro famiglie, rimaste uccise come la mia. Chissà cosa era successo dopo. Avevano celebrato dei funerali collettivi? Avevano sepolto la mia famiglia? I parenti di mio padre italiani e quelli irlandesi erano stati avvisati? Erano venuti qui e mi avevano saputo in coma? E quelli inglesi? A Londra avevo ancora qualche zia di secondo grado, qualche cugina di mia madre. Loro avevano saputo? Era venuto a trovarmi qualcuno in quegli anni oppure ero rimasta in questo letto completamente... da sola? Era soprattutto questo, che spesso, non mi faceva dormire la notte. Era molto diverso l'essere una persona indipendente, cercare la solitudine e la tranquillità di una vita riservata - ed essere completamente sola. Sola al mondo. Perché in fondo al tuo cuore sai - e speri - che sopravviverai ai tuoi genitori ma non pensi mai che tua sorella possa morire così giovane e andarsene per sempre. Una sorella che è anche un'amica, una confidente e che, sei sicura, ti accompagnerà per il resto della tua vita. E quando pensavo a quelle cose fermare le lacrime era davvero impossibile. Come in quel momento, e per correre a recuperare le lacrime rotolate giù sulle guance persi l'equilibrio e mi cedettero le gambe.

«Oh-» esclamai e poi caddi sul sedere con la gamba destra malamente piegata; emisi un lamento sordo e strinsi i denti. Che male. No, così non andava bene per niente.

Ma non feci in tempo a rialzarmi che dei rumori attirarono la mia attenzione. Sollevai di scatto la testa quando sentii un vociare frettoloso sulla soglia della porta. Un uomo, un ragazzo, entrò di spalle con una serie di cose tra le mani. Una busta, dei fiori, una borsa. Un tono allegro rimbalzò sulle mura della stanza.

«Coooonsegna espressa, mio dolce fiorellino!» esclamò ancora di spalle. Che fosse Natale?

«Lo so che non stai nella pelle, ma non ti alzare e se sei nudo resto fermo, così ti puoi rivestire o, ehm... o non farlo minimamente.» Era ancora di spalle, era alto, giovane, biondissimo e super su di giri. Sembrava proprio quegli elfi che girano per le corsie degli ospedali a Natale a distrubuire doni.

«E per il pranzo ti ho portato quei ravioli di XiaoXì, all'angolo dove ti ci infogni. Ne ho presi talmente tanti che mi dovrai aiutare a finirli e sì, visto che ti sei fatto macerare la destra, ti imbocco i-» Ravioli cinesi? A Natale? Infogni?

«Ma che....»
«...oh»

Finalmente mi guardò. Io che mi ero completamente dimenticata di essere ancora a terra corrucciai la fronte cercando di capire cosa non mi tornasse. Non sembrava vestito così pesantemente da essere Natale. E poi era umano. Forse...

«...Mi sa che hai sbagliato camera» dissi con un accenno di divertimento nella voce. Tutto mi sarei aspettata fuorché riuscire a divertirmi dopo settimane di... agonia.

Il sorriso però mi morì subito sulle labbra quando mi ricordai di essere spalmata a terra. Cercai un appoggio tastando con la mano sinistra alle mie spalle ma il muro era liscio. Quindi salii alla cieca cercando il davanzale, sperando che non fosse troppo alto. Mi bruciava tantissimo la caviglia e sperai di non aver aggiunto quella rogna alla mia corsa verso la guarigione.


 
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view post Posted on 1/1/2024, 18:57
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Sì, del tuo errore ti accorgi solo quando il fiato ti si blocca in gola. Non è Aston quello davanti a te, seduto a terra vicino alla finestra. Eppure il respiro si ferma in ogni caso, un risucchio che spegne i polmoni.
È quello che ti hanno sempre detto: negli ospedali non ci sono persone felici. Ed a giudicare dal primo aspetto dietro la maschera di fugace divertimento, questa ragazza non è felice. Magari non lo è da giorni, o settimane o mesi. Non lo puoi sapere perché nessuno ti ha detto niente di lei.
Se tu avessi avuto il coraggio di andare a trovare Aston prima, o magari esattamente quando ancora non era ben messo, allora te ne avrebbe parlato. Ti avrebbe parlato della sua vicina distanza, della quale aveva tristemente origliato la storia. Ti avrebbe detto che era un caso unico, nonostante il mondo magico in cui siete nati e cresciuti, e che perfino lui aveva pianto quando le voci l'avevano raggiunto. Ti avrebbe anche raccontato di come il suo cuore si era fatto pesante all'idea di camminare verso quella stanza e metterci piede dentro.
E tu avresti capito che il dolore fa male a chiunque, anche quando non finisce per appartenerci. Il dolore fa male se si è come te, Lex. Se lo so rifugge senza mai accoglierlo perché "non c'è tempo". Così quando ci arrivi vicino, non sai avere la giusta esperienza per distaccartene.
Puoi essere un raggio di sole, ti ci sforzi, ma dopo non è raro che tu ti chiuda un po', cercando la consolazione di chi ami.
Era così con tua madre. Quando Theodore veniva presa di mira e ti facevi coraggioso per salvarlo, e dopo finivi per farlo ridere e giocare e lui dormiva sereno. Lui, tu no.
Tu trascinavi i piedi fino alla camera di mamma e ti infilavi sotto le lenzuola. Così lei poteva aprire le braccia, stringerti e dirti che eri un bravo fratello maggiore. E così sei ancora, Lex.
Sei quell'angelo che plana in testa a chi solo osa ferire i tuoi amori, i tuoi legami.

Adesso sembri più un fattorino che ha sbagliato civico e sta per lasciare del cibo delizioso alla persona sbagliata.
Perché un po' hai già scelto, e ti è bastato uno scambio di sguardi trai tuoi occhi di cristallo ed i suoi pozzi profondi, per decidere che rimarrai un altro po' qui.
— Come? Non hai ordinato tu una consegna a domicilio riservata ai migliori ospiti? Il Signor Mungo in persona mi ha- Ma ridi, la pantomima è ovvia, una parte di te vuole che lei rida di nuovo. O che quel sorriso torni in... ma che fa? Come può tirarsi in piedi lungo un muro tanto liscio.
Lentamente le vai vicino, appoggi le borse con i ravioli fumanti sulla poltroncina ed i fiori nel mobiletto accanto al letto.
— Aspetta... la tua voce è calda, amichevole, il tuo cuore ammorbidisce il tono. Prima scherzavi, adesso un po' meno. Fai per aiutarla, ti pieghi e ti prepari a reggere il suo moto per rimettersi in piedi. Ma non la toccherai se non si fiderà di te. Starai solo lì perché non cada. — Ti posso aiutare? Chiedi, al limite ti ridurrai - ma solo se ti dirà che va bene - a farle trovare la solidità del davanzale a cui reggersi o, altrimenti, potrà farlo al tuo braccio. — Ho sicuramente sbagliato stanza, a meno che il tuo secondo nome non sia Aston. Tuttavia, sospendi la frase di un respiro. — Ma se vuoi resto, e se hai fame sono tuoi anche quelli. Perché immagini che se Aston non ti ha già urlato che sei un coglione e che la sua stanza è quella dopo, stia dormendo. — Tuoi... e miei specifichi, perché muori di fame.



 
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view post Posted on 1/1/2024, 21:32
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Era
ovvio che non avrei trovato il davanzale così facilmente. Anche un solo metro poteva essere una lunghezza infinita per me, figurarsi tastare alla cieca alle mie spalle un muro scivoloso come l'olio. Mi fermai e sollevai lo sguardo nella direzione del ragazzo quando lo sentii muoversi. Disse qualcosa sui migliori ospiti del San Mungo dei quali io facevo parte o qualcosa del genere. E certamente non potevo dargli torto visto che si poteva dire che fossi tra i residenti più longevi. Il ragazzo parlò ancora e quando mi disse di aspettarlo, che voleva aiutarmi, mi fermai. Dal suo sguardo e dal tono di voce mi era parsa spontanea premura la sua e non potevo reagire male a delle buone intenzioni. Ecco perché cercai in tutti i modi di non apparire sgarbata quando fu vicino a me.

«Ti ringrazio ma...» mormorai con il richiamo di una fitta di dolore nella voce, «...vorrei farcela da sola. Se mi aiuti solo a tornare dritta. Vorrei provare-» aggiunsi quindi, facendomi guidare dal suo braccio per cercare il bordo del davanzale. Quando finalmente fui in piedi tirai via un sospiro stanco e mi appoggiai con i fianchi alla finestra per riposare appena.

Quando parlò ancora, guardai alle sue spalle i fiori e le altre cose appoggiate tra il mobiletto e la poltroncina. Un profumo delizioso che cercava una corrispondenza con i miei ricordi - quel profumo così familiare di cibo cinese - risvegliò in me una memoria improvvisa. Come un tassello che andava a conficcarsi nel punto giusto del puzzle.

Era estate. Un mese dopo essere diventata Recluta. Dorian - Didi e Kappa mi avevano fatto visita nella mansarda che avevo affittato quando avevo ottenuto l'incarico. Il profumo degli spaghetti saltati, gli involtini fritti e i ravioli cinesi li aveva accompagnati e aveva riempito quella sera ormai lontana - che mi sembrava lontana cent'anni. E così, a ripensare alla convivialità di quegli istanti avevo immaginato che chiunque fosse il destinatario dei ravioli di XiaoXì doveva essere un amico caro. Che lo stava aspettando e che avrebbe vissuto con lui qualche attimo di spensieratezza e condivisione che in quel momento a me apparivano inacciuffabili.

«Non sono per me» scossi la testa. «Non è giusto, mi dispiacerebbe troppo per Aston» sorrisi abbassando lo sguardo. E un po' invidiai questo Aston. Per i motivi sopracitati mi feci trasportare da un po' di egoismo e un po' di leggerezza al pensiero che, dopo tutto quello che i miei familiari avevano passato io stavo lì a lamentarmi di non avere compagnia - cosa che mi fece sentire anche molto in colpa. Io che non amavo essere circondata da persone adesso, dopo tutto, riuscivo solo a pensare che quelle settimane senza nessuno con cui parlare erano state uno stillicidio. La verità è che mi mancava una certa normalità.

«Io sono Urania» dissi di getto, senza guardarlo, cercando invece con gli occhi il letto per capire quanto fosse distante. La mia mente fece un breve calcolo. Cinque... no, sette passi. Se mi riposavo ancora qualche istante ero sicura di farcela. Poi avrei trovato il materasso e anche se ci fossi caduta sopra poco male. «E sono un po' arrugginita nelle presentazioni» aggiunsi quasi a me stessa. Iniziavano a gelarmi i piedi perciò guardai a turno le ciabatte e i calzini immaginando di avere la bacchetta con me e poter fare un bell'accio. Ecco, sicuramente la bacchetta mi sarebbe tornata molto utile in quel frangente. Merlino solo sapeva perché ancora non potevo riaverla.


 
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view post Posted on 6/1/2024, 16:30
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In quanto a coccole, si può dire che tu sia il numero uno, Lex. Ma per quanto riguarda il supporto, ecco sai che ognuno ha le proprie esigenze, i propri limiti e quei bisogni primordiali che tu non puoi capire. Accetti però sempre il momento in cui ti vengono dichiarati.
— Certo... sei una forza affermi, incoraggi ma lo fai con una convinzione dolce, senza la troppa esaltazione di un falsario. Tu lo credi davvero, non sai come sia possibile ma questa ragazza ti sembra una sopravvissuta.
O una di quelli che sopravvive bene. Ti chiedi però che cosa l'abbia ridotta così, e non è strano se poi ti arriva un brivido che circola per tutto il corpo.
La tua altra grandissima paura, è quella di stare male. E non parlo di influenze che con una pozione o un buon intruglio vanno via. Quelle sono ok, non le tolleri ma sono ok. No tu hai paura di perdere qualcosa di buono nel tuo corpo. Che sia il movimento, o la vista, o la parola.
Magari è per Theodore che ti senti così, ma come abbiamo sempre detto, i bei discorsi di cuore li vai solo dopo una botta d'erba, altrimenti eviti di scavare in te.
Si, quella è letteralmente il tuo unico supporto, ma cazzo quanto stai bene quando poi butti tutto fuori. Se solo ogni tanto ti facessi più domande!

— Sono sicuro che Aston farebbe lo stesso suggerisci, docile docile lasciandole modo di respirare una volta in piedi. Dai un'occhiata a quello che deve aver visto dalla finestra questi giorni. Neanche lo sai che sono stati anni di oblio i suoi, proprio perché da Aston dovevi andarci prima di imbatterti così in Urania.
Non sei qui per forzarla a mangiare con te, però insoma... ecco hai visto un po' come si guardava in torno, e come lo fa tutt'ora, tanto che con un casualissimo colpo di tosse le avvicini le ciabatta spingendole con la punta dei piedi. Guardi altrove, ovviamente. — Che poi, ho preso così tanti ravioli che si potrebbe mangiarne in tre, se... se non le stai già rompendo le palle con la tua sola presenza. Magari è una che vuole restare da sola, mh?

— Alexander ti presenti a tua volta, inchinandoti come ad un gran gala, ridendo un po' perché sei terribile quando ti ci metti. — Ma "Lex" andrà benissimo, se non sei già stanca di me, e le fai ancora più spazio, perché immagini voglia tornare un po' su quel letto. Qualunque cosa le sia successa è certamente più pesante di quanto potresti aver pensato. — Comunque è nella stanza qui accanto... Aston, dico come se a lei improvvisamente interessassero i fatti tuoi, eh?
— E, se non mi ha ancora chiamato miagolando come un gattino in strada, forse sta ancora dormendo devi capirlo anche tu, ad un certo punto, per cosa stai facendo questo giro di parole. — Quindi... se Urania non ha un appuntamento - certo ti invidio perché so che qui fanno veramente tantissime attività ricreative per cui ci credo che tu sia stanca eh - potrei chiamarlo qui a dividersi il bottino, mh? Non ho capito se con questo tuo atto di eroismo ironico tu voglia farti mandar via del tutto, o farti un'amica nuova. In realtà ti aspetti di tutto, per quello le sorridi con un impeto di richiesta di accoglimento nello sguardo.



 
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avevo a che fare con una persona - che non fosse il personale del San Mungo, per intenderci - da settimane. Qualche paziente si era fermato per qualche giorno ma dapprima io non avevo molto interesse a parlare con degli sconosciuti - anche se per me in quel momento lo erano un po' tutti - poi, in un secondo momento, non c'era stata occasione di confrontarsi. E così ero rimasta a rimuginare su me stessa, fissando il soffitto dell'ospedale. Poi, avevo deciso di sfruttare quel tempo in cui ero costretta al San Mungo per conseguire qualche risultato. Il mio obiettivo più impellente era sicuramente quello di rimettermi in piedi. E stava andando piuttosto bene - o, almeno, ce la stavo mettendo tutta. Ma poi il tempo si era dilatato e mi sembrava che quelle settimane trascorse al San Mungo fossero tutti i miei ricordi e che nulla altro mi era rimasto. Difatti c'erano due domande conseguenziali che si ripetevano senza sosta, in cerchio, nella mia testa: avrei mai recuperato il mio passato? O sarei dovuta ripartire da zero? Ecco perché l'arrivo casuale di quel ragazzo ruppe la routine introspettiva che avevo avuto fino a quel momento. Non fu facile, di primo acchito, accettare la sua compagnia. L'istinto iniziale mi disse di respingerlo. Non per cattiveria ma perché volevo restare sola e non mi andava di conoscere persone nuove - erano tutte nuove per me, al momento - presentarmi, essere formale, dover mostrare cortesia e via dicendo, tutte cose che in quel momento erano all'ultimo posto delle mie priorità. Ma ero in un paradosso. Perché una parte di me credeva fermamente che questo atteggiamento non mi avrebbe fatto bene a lungo termine e io, quando volevo, quando serviva, sapevo essere molto autocritica. Continuare a stare in una stanza spoglia a pensare fino a farmi scoppiare la testa non mi avrebbe aiutato molto a recuperare quello che avevo perso. Tanto valeva provare a rientrare nel mondo e capire se avrei trovato di nuovo il mio posto.

Ecco perché, dopo un attimo di esitazione, guardandolo, ripetei a voce alta «Lex.» Un abbreviazione del suo nome che forse si addiceva di più alla sua personalità. No, non lo conoscevo per nulla ma qualcosa di lui mi suggeriva che Alexander non combaciava tanto bene quanto lo faceva Lex con il ragazzo dolce e sorridente che avevo davanti. Poi, distogliendo lo sguardo, aggiunsi «No, non mi sono già stancata di te» e lo feci con un lieve sorriso.

Ascoltai la sua proposta e pensai all'assurdità di quella situazione. Fino ad un attimo prima ero a terra, quasi sconfitta nel mio ennesimo tentativo di rimettermi in piedi. Sola da giorni, nel silenzio rumoroso di quella stanza spoglia. A rimuginare su ciò che era stato e che non ricordavo. E ora un ragazzo sconosciuto mi stava proponendo di mangiare del cibo cinese con un suo amico. Sbattei la palpebre mentre il mio cervello stanco cercava di elaborare tutte quelle nuove informazioni. E poi nella mia mente si insinuò nuovamente Rosie. Quel suo viso sorridente e un po' ingenuo con cui affrontava la vita e me, anche quando non me lo meritavo. Anche lei sarebbe stata lì a portarmi del cibo cinese e magari avrebbe fatto la stessa gaffe entrando nella stanza di un'altra persona - e non avrebbe lasciato quella stanza senza aver offerto il cibo che aveva con sé. Sì, forse provavo una sorta di innata simpatia per Lex proprio perché mi ricordava l'energia di mia sorella Rosalie.

«Be'...» esitai, cercando di ricacciare indietro alcune lacrime che avrebbero voluto fare capolino tra le ciglia. «Solo se Aston non mi prende in antipatia per avergli sottratto questo bottino fumante» aggiunsi.




- scusa il ritardo ♥
 
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view post Posted on 23/1/2024, 16:34
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E tu resti in stallo. Lo sai che non sei il tipo che dovrebbe mettere pressione e giuri che non lo fai, MA... beh, ma tu sei comunque in attesa.
Urania avrebbe tutte le ragioni di questo mondo per dirti di no, per invitarti ad uscire e tu non ti opporresti - ovviamente. Tra le tante, sicuramente c'è che ti sei intrufolato nella sua stanza senza preavviso. Che sei rimasto impestandole l'aria con il profumo aromatico di raviolini e bao.
Poi non sai se sta aspettando qualcuno. Magari era la tipa che ha il fidanzato alto e palestrato, uno di quelli che a vederti potrebbe piegarti come una latta e lanciarti nel cestino.
Pensi un po' a tutte queste possibilità mentre aspetti. E non è che ti faccia attendere granché, è che tu dilati il tempo per mestiere. Vaneggi come stato di vita.
Ma percepisci che sta per tenerti con sé, che non ti vuole mandare via. Lo dice il suo viso, lo dicono quegli occhi che si fanno più lucidi.
E' come se - ad un tratto - tu venissi attraversato da un fiotto di dolore. Come se ti venisse da credere di avere un senso qui, nella sua stanza. Di aiutare davvero in qualche modo. Le sei utile, Lexy?

— Ah-ha! la indichi, teatrale, cominciando quasi a scodinzolare. Metti in piedi una sceneggia stupidissima, in cui le lasci un sorriso sghembo. — Pessima scelta!

Ma già il tuo sorriso cambia, si fa più caldo, più presente. Forse anche più sincero. Arretri per darle spazio, anche se accomodi meglio i ravioli sul tavolino. Tanto sono così bollenti, che sta bene se si raffreddano un attimo, prima che le vostre bocche diventino vulcani. — Chi, Asty? Naaaah è un fuscellino, se mangia tre ravioli è tanto affermi sincero, un filo trasognato. — Ne ho presi tanti perché... già, perché Lexy? — Perché ci tengo, e so che riderà quando li vedr- oh, lo senti? resti in silenzio, giuri di aver percepito proprio i mugolii di Aston. — Te l'ho detto che era un gatto mormori, felice, e ti defili giusto per andare a prendere il malcapitato che ora farà parte del banchetto.

Lasci Urania qualche minuto da sola, ma ciò non significa che non possa sentirvi. Magari percepirà quel bacio che lascio al ragazzo, la sua risata perché non si aspettava di vederti.
— Certo che sarei venuto. — Perché sei pazzo?
— Ehi! un altro bacio — Mmmhh e i ravioli?
— Sono di là, con la nostra nuova amica. Si chiama Urania, ti va di? — Oh, certo che sì! ridete, perché lei non sa che la faccia di Aston ha preso vita, le sue guance si sono colorate di un rosso magenta. — Ti mordo le guance — Oh no! ahahah no fermati! seguono cose abbastanza indescrivibili, finché non spuntate di nuovo sulla soglia della stanza.
Tu, alto sei metri ed Aston, con i capelli biondicci tutti scompigliati. Il braccio fasciato del tuo "amico" prende spazio in una fasciatura che glielo incolla al petto. L'Arpia è stata piuttosto brutale, ma lui insiste che sia stata colpa sua, che si è girato di scatto con un topo in mano.

— Urania, Aston li presenti — Aston, lei è Urania. Spingi dentro il ragazzo, che si avvicina con un sorriso timido. Lui è fatto così, settemila volte meno espansivo di te, ma fondamentalmente è la persona più buona che tu conosca.
— Ehi, ehm... ciao. Scusa per lo spilungone ti dà una gomitata e tu gli mordi i capelli di rimando. — Ti va davvero di mangiare con noi? lui ha più speranza di te.



 
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Un
sorriso, una battuta, uno sguardo dolce - empatico. Era quella l'impressione che avevo avuto di Lex. Quella di un ragazzo empatico. Che non ti guarda distrattamente. Che non passa con le mani ficcate in tasca ignorando ciò che ha accanto. Un osservatore. Ma oltre a ciò, un osservatore partecipante. Che come diceva Malinowski era l'unico modo per conoscere davvero ciò che si sta studiando. O qualcosa del genere. Ricordavo di averlo letto su qualche libro universitario di mio padre. Ed anche lì, il passato mi aveva urtato uscendo senza preavviso da una porta del lungo corridoio che stavo percorrendo. Non sapevo dove mi stava portando quel corridoio. Ma lo percorrevo ormai da parecchie settimane senza vederne la fine. Ma sapevo che dovevo andare avanti - questo sì. E le porte che incontravo durante il mio cammino spesso restavano chiuse anche quando ci passavo accanto. Altre volte, come in quei momenti, bastava un nulla, un filo di vento per farle aprire e per farmi inondare da una luce improvvisa. Mi accecava, poi mi mostrava qualcosa quando i miei occhi era pronti. E poi si richiudeva, senza permettermi di entrare veramente. E poi io continuavo a camminare.

Persa nei miei pensieri non ascoltai tutto ciò che Lex mi stava dicendo. Lo vidi solo allontanarsi, ad un certo punto. E intuii che potesse essere andato a chiamare l'amico. Mi sedetti sul bordo del letto e guardai le uniche cose che avevo sul comodino. Poche cose. Che ormai appartenevano al passato. Un orologio dal quadrante graffiato e il cinturino consunto. Un portafogli ammaccato. Una chiave di ottone. Quella chiave era l'unica cosa che attirava la mia attenzione e mi spingeva a chiedermi cosa fosse. Una chiave appesa ad una catenina sottile in oro. Ero combattuta se indossarla o meno.

D'un tratto mi arrivò una risata calda. Lontana ma non troppo. Forse proveniva dalla stanza accanto. E dei baci. Delle frasi concitate, intime. E ancora il rumore di qualche bacio scoccato troppo forte. Mi venne da sorridere. Abbassai lo sguardo sulla punta dei piedi e ripensai di nuovo a mia sorella.

Poi sulla soglia della porta comparve di nuovo Lex, accompagnato da un'altra persona. L'amico a cui erano destinati i ravioli - sicuramente. Vederli insieme mi agitò un po' il cuore. Come quando prende a battere all'improvviso per qualcosa che non ti appartiene ma ti investe in tutta la sua potenza. Affetto, amore, condivisione. E il sorriso è così contagioso che ti porta a fare lo stesso. E quindi sorrisi mentre li vidi avanzare verso di me. Un sorriso appena timido, senza denti, ma accogliente. Quell'improvviso cambio di programma non mi dispiaceva per niente.

Il braccio fasciato di Aston, bloccato sul petto, lo faceva avanzare piano ma Lex lo spintonò per portarlo nella mia direzione.

«Ciao Aston» lo salutai con un filo di voce. Sì, ero decisamente arrugginita. Me la schiarii prima di riprendere a parlare. «Piuttosto va a voi di condividere del cibo con una sconosciuta? A me fa solo piacere» chiarii, avendo paura di poter essere fraintesa. Spesso il mio silenzio e la mia introspezione venivano presi come snobbismo. E quindi mi lasciai andare ancora un po', sentendomi sicura. Sicura in loro presenza, anche se erano due sconosciuti. Ur, sono tutti sconosciuti per te adesso - ricordai a me stessa. Ma Lex era una di quelle persone che ti piacciono a pelle. Che ti ispirano fiducia a pelle. Perché sai che non chiede per cortesia ma per interesse. «Un po' di compagnia mi fa piacere. Sono sola da molto» aggiunsi, sorridendo poi per non dare un peso enorme a ciò che avevo detto. Non volevo scaricare addosso a loro quel peso. Non volevo che nessuno ne portasse nemmeno un pezzo. Lo avrei portato io, per tutto il tempo, sulle spalle, fino alla fine di quel corridoio infinito, finché non avessi capito qual era il suo posto. Qual era il mio posto.


 
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view post Posted on 14/2/2024, 15:47
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Lo vedi da te come Aston sia "timido", almeno un pochino. E come drasticamente lo diventi davanti ad Urania.
Ok, ma in genere con gli sconosciuti non fa così, tutte le volte che vi prendete i bubble tea in giro si fa perfino abbracciare. E' un paese meno arretrato di quanto pensassi, se ti aggiri nelle giuste zone.
Non capisci che non dipende da voi, né tanto meno da lui, ma quanto più da lei.
Urania cattura l'attenzione di Aston, che mantenendosi comunque gentile come sempre, avvampa d'imbarazzo prima ancora di aprire bocca.
— Ah io, sì, cioè...
Sciocco che non sei altro, pensi solo che sia dolce il modo in cui questo ragazzino avvampa, balbetta o si fa più incerto.
E' tanto carino, questo lo pensi sempre. Magari gli manca un po' di mordente, ma è davvero il tipetto più gentile che tu abbia mai incontrato. Lo senti stringersi nelle spalle mentre si va avanti e rovista nei ravioli per preparare almeno tre vassoi. Gli dai una mano portando le sedie, così Urania potrà stare comoda nel suo letto e voi lasciarle un po' di spazio, seppur nessuna tregua ovviamente. — ... dovrei dirti che forse ho un po' origliato, l'altro giorno... cioè non volevo è che era tutto così silenzioso nel reparto e li ho sentiti, q-quando ti sei svegliata.

Allora, viva iddio, capisci. Senti lo sguardo di Aston appigliarsi a te, i suoi occhi farsi un filo più lucidi. Ti sta chiedendo scusa per essere una persona di merda - o almeno per credersi tale.
Ma tu non dismetti il tuo sorriso calmo, non lo rimproveri perché non è il tuo compito, ma capisci perché si è mosso in quel modo e perché stia trattando Urania con una cautela che tu non hai avuto.
Ma la cosa che più ti spezza il cuore, Lex è l'affermare di essere sola da molto. In qualche modo sa renderti un pochino più serio, anche se in quel sacchetto c'è una birra che nessuno di loro due può bere, tu non ti ci fiondi al volo, tu aspetti, soppesi. Ed è magari una delle prime volte in vita tua che ragioni PRIMA di dar fiato alla bocca. — Non si resta soli per sempre sfiati, vorrebbe essere una pallida semi-citazione al "Corvo" uno dei film preferiti di Theodore. Non può piovere per sempre.

— E se non li hai mai provati, capirai che anche in compagnia di questo ravioli spettacolari non si è davvero soli riprendi il tuo cipiglio, e le porgi il vassoio come farebbe un degno amico. Stavolta non ti atteggi a valletto, mentre Aston si mangia ancora le mani, si arrovella nelle sue colpe. — Non fanno andar via i vicini impiccioni, ma dovrai sopportare il peso dei suoi immensi errori per almeno altri... ti volti, scherzoso, verso Aston — .. quanti giorni? — Ah ehm... tre, o quattro, dopo ho il controllo la sua voce è flebilissima, ma tu vuoi provare a fargli capire che andrà tutto bene, perché speri andrà tutto bene. — Ecco, ma ti prego perdonalo, guarda che musino che ha con lui ti intenerisci sempre troppo anche tu.


Perdona il ritardissimo :flower:

 
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view post Posted on 20/3/2024, 16:28
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Non guardare giù

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Sentire
la confessione di Aston mi fece tremare le mani. L'idea che qualcuno avesse ascoltato quel momento così intimo e doloroso mi fece estraniare. Mi riportò lì, a quando i miei occhi si aprirono su un soffitto sconosciuto, circondata da volti sconosciuti, ferita alle orecchie da voci sconosciute.

Nel frattempo vedevo che Lex e Aston continuavano a parlare, destreggiarsi tra i ravioli - perfino il loro profumo mi arrivava alle narici - ma io non ero lì. Non ero presente. Sorridevo appena seguendoli con gli occhi, come nulla fosse, anzi, come se fossi lì con loro. Ma non era così. Per qualche attimo, ero stata altrove. Ero tornata indietro e il loop stava ricominciando nella mia testa, quel loop infinito che speravo di aver spezzato nelle ultime settimane. Io che mi svegliavo, guardavo i medici, mi veniva comunicata la notizia, svenivo. Loop.

Ma poi il vassoio fu davanti a miei occhi e il contatto con il metallo freddo mi fece tornare al presente. «G-grazie» mormorai, cercando di ricacciare in fondo alla gola qualche lacrima inopportuna. «No ma...» lasciai cadere la frase dopo la richiesta di perdono da parte di Lex. Sorrisi, senza guardarli, addentando un raviolo e lasciandomi cullare per qualche attimo dall'umami ritrovato, provando a dimenticare settimane di brodini. Deglutii e ritrovai un po' di forza per parlare. «Non c'è niente da perdonare. Le pareti sono sottili» aggiunsi, sorridendo, cercando di apparire tranquilla benché volessi morire dentro. Ma non era colpa loro. Né di Lex che era piombato nella mia stanza all'improvviso, né di Aston che aveva casualmente origliato il mio risveglio. Né mia, probabilmente, che ancora non riuscivo a riprendermi da quello stato comatoso in cui anche se mi urtavano con un dito mi veniva voglia di piangere a fiumi. Che odio. Iniziava a starmi tutto stretto, tutto. Quel lettino, quelle coperte, quella finestra, quella visuale, quegli odori. Ma la visita di Lex e Aston poteva solo avere una nota positiva in tutto ciò. Poteva solo essere una sferzata di colore in quel grigiume che mi stavano - e mi stavo - imponendo.

«Mi sono risvegliata dopo 3 anni di coma ecco perché ho parlato di solitudine ed ecco perché vi sembro confusa» parlai di getto, di fretta, rapidamente, quasi a volermi giustificare ma anche perché Aston sapeva e volevo che fosse chiaro a tutti a quel punto. Magari dopo settimane di silenzio quello che mi ci voleva era davvero iniziare a buttare fuori.




PERDONAMI TU STAVOLTA ♥
 
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10 replies since 30/12/2023, 18:52   216 views
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