Posts written by Camomillo

view post Posted: 7/5/2024, 20:45     ᴄᴏᴍᴘᴀɢɴɪ ᴅɪ ᴍᴇʀᴇɴᴅᴇ - La Capitale del Mondo Magico

Codice«Se ti può consolare non ho mai toccato una sigaretta in vita mia». La reazione che Thalia andava cercando era un’ammissione sincera. Non pesava i vizi per valutare le virtù di una persona. Gli venne da sghignazzare solo perché l’aveva vista incupirsi, ma gli era comunque venuto difficile interpretare i suoi gesti e le sue parole. A partire da quel “E tu sempre più simpatico”. Folle, perché generalmente era lui a trovarsi nel bel mezzo di quello scrutinio, con gli altri ad elaborare la medesima riflessione – spesso ad alta voce. Nel suo caso, faceva abbastanza male. Non ci pensò, ma gli tornò in mente che lui nemmeno beveva. Poi, se proprio vogliamo andare a fondo, per ogni dipendenza scansata entrava nella sua vita qualcosa di esponenzialmente nefasto: ludopatia, cleptomania, abuso di sostanze, dipendenza dalla pornografia. Insomma, ad ognuno il suo.
«Non sopporto l’odore». Aggiunse, per poi tirare fuori l’aneddoto, come di consueto. «Una volta ho preso a parolacce Toobl e Cas, perché ai due cretini piace fumare al chiuso. E a me non piace essere convocato in mezzo ai fumogeni». Sguardo d’intesa, come a suggellare la fratellanza anti-tabagismo. Per quanto calmo sembrasse, ce l’aveva ancora in culo per quella storia, e nel suo inconscio si era sedimentato un fastidio persistente, dedicato all’Esercito degli Studenti. Ai suoi fumatori, ai suoi aracnomanti, ai suoi animagus vari che ponevano dilemmi morali inconcludenti e a tutte le stronzate da setta che gli avevano propinato negli anni. Erano proprio dei coglioni, liberarsi di loro per lui era stato un po’ come nel ‘48, quando la Corona aveva lanciato Israele nel bidone e chi si era visto si era visto. Ora stava meglio. E sì, non gli mancavano.

Breendbergh osservò come Thalia sondava la canna. Era curioso, non lo nascondeva, e sicuramente avrebbe trovato divertente l’idea di vederla soffocarsi. I primi tiri erano sempre così. Ci lasciavi un polmone, poi l’altro si abituava all’ineluttabilità del suo destino e se ne stava quieto. Similmente a chi piange in doccia, soffocando i singhiozzi per non farsi ascoltare.
«Quella, per la tosse, è anche peggio. Lascia stare se già le sigarette ti stendono». Disse serio, per poi dare un morso al ghiacciolo e staccarne un pezzo con premolari e molari. Generalmente chi azzannava le cose ghiacciate veniva visto come uno psicopatico e lui forse un po’ lo era, ma almeno era uno di quelli con i denti sani. E lo sapete perché? Perché non fumava. Bambini, state lontani da quella porcheria.
Proprio all’apice di un approccio etico impeccabile, rivelò la sua natura. Come la storiella dello scorpione e della rana, con qualche svolta psicotropa di troppo. In fin dei conti cosa ci poteva aspettare?
«Nello zaino ho i brownies fatti con l’erba, se preferisci questo approccio sono lì che ti aspettano. Tutto il resto è sano, serviti pure». Spiegò dopo aver mandato giù un boccone gelido ed indicando la saccoccia blu sul gradino di sopra, quello alle loro spalle, con un gesto pigro del pollice. Dentro c’era letteralmente di tutto e mai avrebbe ammesso che era stata Adeline a prepararlo. Non voleva che la licenziassero per aver drogato una sua brillante studentessa, ma in cuor suo sapeva che Thalia sapeva. All’anima di Socrate venne un malore: troppa gente sapeva di sapere troppe cose. Non reggeva bene l’Horror Vacui, il sapere di essere morto per nulla. E sapendo – invece di sapere di non sapere –, stava commettendo un ulteriore atto di autolesionismo.

«Comunque mi piace che tu sia andata dritta al punto, ma temevo che senza la giusta dose di conforto alimentare mi avresti mandato direttamente nella contea di Fanculo». In Gran Bretagna ripudiavano le province, ma più o meno era l’equivalente. Per amore della narrazione, aggiungo anche che era St. Kilda, aveva solo pronunciato il nome non ufficiale.
Gli occhi di nocciola di Breenbergh saltarono al di sopra della montatura spessa. Ora la Moran non era più un puffo ingigantito. Povera disgraziata, la guardava come se avesse dovuto comunicarle che era stata adottata. In realtà dei pasticci che combinava la sua famiglia non ne sapeva nulla, ma da tempo aveva realizzato fosse un po’ troppo fulva per essere inglese-inglese. Si giocava tutto su quel 3% in più imposto dalle statistiche (13 contro 10, percentile), puntando le sue fiches sulla Scozia.
«Sei l’unica secchiona di cui mi fido». Rivelò, dando l’ultimo morso al ghiacciolo e mettendo in disparte il bastoncino. Un paio di masticate e deglutì, garantendosi una paralisi cerebrale momentanea. Quello che voleva dire è che era l’unica persona per cui nutriva rispetto e che aveva buone chances di successo nell’apprendimento di un determinato incantesimo. Ficcandosi la mano nella giacca, da un taschino espanso, tirò fuori un sacchetto di stoffa verde, così sottile che all’apparenza pareva vuoto, poi glielo porse. Anch’esso espanso, come un sogno in un sogno – per chi aveva visto Inception, o l’ultima puntata della consigliatissima serie tv Shogun – conteneva il libro “Tecniche di Magia Superiore”.
«Tra le varie ragioni per cui sei qui, ti volevo prestare una cosa a cui tengo molto, sono le istruzioni per lanciare un Incantesimo. È abbastanza tosto». Spiegò, con l’anda di chi sapeva di aver dato un metaforico dolcetto ad un bimbo obeso, certo che se lo sarebbe divorato il prima possibile.
«Il colpo di spugna del soprannaturale, una sorta di reset universale per ogni stregoneria. Quando impari questo, diventi padrona di ogni magia. Ammesso che tu già non lo conosca». Raccontò la favoletta con la sua solita scenicità, muovendo tutte le dita di entrambe le mani in modo caotico e sincopato. In pratica era l’alt+f4 di ogni forza arcana, faceva crashare tutto senza se e senza ma. In realtà così era stato concepito, ma aveva trovato un uso meno radicale e sicuramente più stimolante per il Magisterium.
«Mi piacerebbe che tu lo imparassi, se ne hai voglia, perché necessito di discutere con qualcuno delle sue eventuali applicazioni». Ed ecco il motivo principale per cui Thalia Moran era stata convocata. Una situazione in cui potenzialmente entrambi si portavano a casa qualcosa, lei la diavoleria più stupida mai creata da un mago sino ad allora, lui una consulente per un suo personale progetto.

«Sto lavorando ad un incantesimo che sovrascrive la realtà, ma c’è un piccolo dettaglio che mi sfugge». Commentò, con la casualità ideologica di chi toccava qualcuno nel Fabbricante di Lacrime. Come se stesse dicendo che il prossimo weekend aveva in programma di andare a pescare nei pressi di St. Kilda.
Se la giovane Thagliatella avesse voluto ispezionare il contenuto della sacchetta, si sarebbe potuta accorgere che dai segni d’usura, a furia di sfogliarlo e risfogliarlo, le pagine si erano lievemente consumate, pur essendo relativamente nuovo. Ma lo teneva con cura e forse quello era uno dei pochi oggetti a cui non riservava un trattamento barbaro. Se ne separava per un bene superiore. Non come aveva fatto qualcuno nel 1948, perché ne aveva le palle piene di averci a che fare.
«Sembra folle?». Domandò. Un po’ lo era, a suo avviso, ma davvero voleva battere l’idiota che si era dato la zappa sui piedi inventando il Magisterium. In fin dei conti, non era cambiato, un po’ come quando era a Scuola ancora gli piaceva piegare le regole al suo bisogno. Perché la magia convenzionale gli stava stretta, era vero, ma ancor più stretto gli stava il secondo posto nella gara di chi aveva arrecato più danni ai propri colleghi muniti di bacchetta.

Camillo presta a Thalia: Tecniche di Magia Superiore

view post Posted: 6/5/2024, 14:41     Cheesy Prova - British Magic Museum

Exp necessaria: ✓
Accesso al reparto proibito di Hogwarts in qualità di supplente: ✓ (incantesimo segnato in rosso chiaro)


1 — Ennesimo round con una delle diavolerie che aveva scoperto in biblioteca. L’olandese, con la sola compagnia delle pareti spoglie del piccolo magazzino nei pressi di Brixton, se ne stava come un salame a fissare le istruzioni che si era ricopiato. L'aria era satura di un odore di muffa, quasi come se ogni angolo ricoperto da quei funghi tossici e verdastri si fosse reso testimone silenzioso di ciò che stava per accadere. Breendbergh, la cui presenza era un turbinio di determinazione e bizzarria, si accingeva a sfidare un incantesimo meno complesso degli ultimi aggiunti al suo repertorio, ma non per questo da sottovalutare.
Con la bacchetta di salice in pugno, la cui superficie liscia sembrava pulsare di una vita propria, Camillo si concentrò. Le sue movenze, sgraziate ed impazienti, anticipavano il tentativo che stava per compiere. Orientò la punta della bacchetta alle proprie spalle, sollevando il braccio con precisione e piegando leggermente il gomito affinché questo puntasse in avanti. La posizione era un po’ scomoda, a suo avviso, ma pensò che presto ci si sarebbe abituato.
Chiudendo gli occhi per un istante, l’ex-tassofrasso immaginò un braciere di fuoco crepitante alle proprie spalle. L'immagine mentale era così vivida che quasi poté sentire il calore lambire la sua schiena, un bagliore che prometteva di diventare reale. Quando riaprì gli occhi, il mondo sembrò attendere il suo comando.
«Igni», sussurrò con voce ferma, iniziando a tracciare nella mente il percorso del fuoco, che avrebbe dovuto seguire la traiettoria immaginata, in un momento carico di un'intensità quasi tangibile. Tuttavia, nonostante la concentrazione e l'impegno che metteva nel visualizzare il braciere, il legame tra la sua volontà e l'elemento che cercava di dominare sembrava volergli disobbedire, caratteristica naturale dell’elemento che voleva sottomettere.
Con un movimento fluido, tentò di compiere la seconda parte dell'incantesimo, lanciando il braccio in avanti con un gesto che avrebbe dovuto trascinare la lingua di fuoco dal braciere immaginario e scagliarla come una frusta verso l'obiettivo prefissato, un punto vuoto di fronte a lui, senza nulla che si potesse intendere nei suoi paraggi. La bacchetta dapprima in verticale, con la punta verso il basso per attingere alle fiamme, si slanciò lungo la traiettoria. «Menti», pronunciò, con un timbro che voleva essere deciso.
Eppure, non appena la parola lasciò le sue labbra, Camillo percepì la discrepanza tra la sua visione e la realtà. Non vi fu alcuna fune di fuoco, nessuna scia ardente a tagliare l'aria del magazzino. L'unica cosa che si mosse fu una leggera corrente d'aria, provocata dal movimento azzardato del suo braccio.
Rimase lì, immobile, la bacchetta ancora tesa in avanti come se potesse cogliere l'eco di un potere che, per il momento, proprio non aveva voluto saperne di dargli retta. La delusione si manifestò come un velo sottile sul suo volto, solitamente sicuro di sé – fin troppo alle volte –, ma nei suoi occhi nocciola si accese una scintilla di sfida. Era solo il primo tentativo, dopotutto, e Camillo non era tipo da piantare tutto in asso e frignare perché le cose non erano andate come voleva sin da subito.

2 — Dopo il primo tentativo fallito, il disgraziato si fermò un momento a riflettere. La frustrazione era un nemico insidioso, ma non avrebbe permesso che prendesse il sopravvento. Con un respiro profondo, cercò di scacciare ogni insicurezza, riordinando i propri pensieri, facendosi pervadere da uno spirito battagliero, come chi prepara un secondo assalto dopo aver misurato la forza dell'avversario.
Questa volta, il suo approccio fu leggermente diverso. Concentrandosi maggiormente sulla componente mentale dell'incantesimo, tentò di rafforzare l'immagine del braciere di fuoco nella sua mente. Doveva essere più che una semplice visione; doveva sentirne il calore, il potere, quasi bruciandosi con la sua essenza. Con la bacchetta fermamente in mano, Camillo ripeté il gesto iniziale, puntandola verso il basso alle sue spalle, il braccio alzato in una posa che ormai gli risultava familiare, e quel gomito puntato in avanti che già aveva iniziato ad infastidirlo un po’ di meno. Ora era la spalla a farsi carico di qualche acciacco.
«Igni», pronunciò con una voce che portava in sé una convinzione ferrea. La sua mente lavorava febbrilmente per alimentare il fuoco immaginario, per renderlo reale. Per un attimo, quasi credette di percepire un aumento di temperatura, un segnale che il suo sforzo stava per essere ripagato.
Con un movimento più deciso rispetto al primo tentativo, il suo braccio scattò in avanti, guidato dalla volontà di dare vita alla fiamma che avrebbe dovuto seguire l'arco della sua bacchetta, come una frusta.
«Menti». Ringhiò, questa volta con un tono che non ammetteva repliche, quasi volesse costringere l'aria stessa a ubbidire, facendosi fiamma.
Tuttavia, il risultato fu nuovamente deludente. Anche se aveva affinato la tecnica, e per un fugace istante sembrò che qualcosa stesse per accadere, l'effetto visibile fu minimo. Forse una scintilla, così breve da poter essere stata solo un'illusione, balenò all'estremità della bacchetta, scomparendo prima che potesse anche solo essere considerata una manifestazione dell'incantesimo che cercava di scagliare.
Camillo rimase fermo, il braccio ancora teso in una posizione che sottolineava la fine del suo gesto compiuto con insuccesso. La delusione era ormai familiare, ma non era un semplice sentimento di sconfitta. Era piuttosto un riconoscimento: ogni errore era una lezione, un passo in avanti sul percorso che aveva deciso di intraprendere.
Il fu-tassofrasso si preparò mentalmente per provare ancora una volta, cercando di determinare cosa gli impedisse di attingere alle fiamme del braciere che visualizzava.

3 — Camillo fece una breve pausa. Si sgranchì la schiena, le gambe e riscaldò braccio e spalla facendoli roteare nel nulla. Con il viso segnato da una risolutezza rinnovata, l’olandese comprese un paio di cose in più riguardo quell’incantesimo e si decise a sperimentare con un nuovo approccio. La sua mente, ora più che mai focalizzata, sapeva come lavorare in sintonia con il corpo per far sì che il suo desiderio si realizzasse.
C'era un'aria di calma, assoluta concentrazione, mentre Breendbergh riprendeva la posizione iniziale. Questa volta, tuttavia, vi era un'aggiunta quasi impercettibile nel modo in cui teneva la bacchetta: un leggero cambio di angolazione, frutto delle riflessioni maturate nei tentativi precedenti. Il legno sembrava vibrare dolcemente al tocco, come se anch'esso fosse impaziente di liberare il suo potenziale. Quella posizione piú rilassata eliminava le distrazioni date dal fastidio che provava mettendo in tensione la spalla, ma la bacchetta rimaneva sempre perpendicolare al braciere vivido nelle sue fantasie.
Fissando un punto invisibile davanti a sé, Camillo visualizzò il suddetto braciere, il fuoco, con una chiarezza mai raggiunta prima – questo, nei suoi pensieri, prendeva forma alle sue spalle. Poteva quasi udire il crepitio delle fiamme, sentire il loro calore avvolgerlo. Era un'esperienza sensoriale completa, che lo legava al fuoco, tanto che l’emozione che stava provando si trasformò nel riflesso delle braci accese.
«Igni». Parlò. La sua voce era ora un sussurro, una promessa fatta a sé stesso, e l’inflessione faceva risuonare le sue corde come una sfida lanciata a quella diavoleria.
Mentre la sua mente abbracciava il calore del braciere immaginario, il suo corpo rispondeva con un'armonia ardente. La bacchetta era ora puntata alle sue spalle, con la punta desiderosa di agganciare il lembo della fiamma. Il gomito in avanti, non piú teso, con i muscoli del braccio pronti a scattare. Il movimento per scagliare la frusta di fuoco fu più fluido, quasi elegante, carico di una raffinatezza che solitamente non gli apparteneva.
«Menti». Disse, con un'improvvisa esplosione di energia. Il suo braccio completò l'arco con una forza e una precisione che sembravano voler strappare il fuoco dalla fonte. Era un gesto potente, un comando impartito alle fiamme: prendere consistenza e obbedire.
Per un istante, l'aria sembrò tremare in risposta. Camillo, gli occhi fissi sull'obiettivo, percepì un cambiamento, come uno spiffero ardente che scivolava sinuoso nello spazio tra lui e il punto dove la frusta di fuoco avrebbe dovuto colpire. Qualcosa stava accadendo, qualcosa che suggeriva una maggiore connessione con l’elemento che voleva rendere suo.
Ancora una volta, tuttavia, l'attesa si sciolse in una quiete anticlimatica. Non vi fu l'apparizione della fune di fuoco, nessuna manifestazione visibile dell’incantesimo che aveva cercato di evocare. Solo l'eco di un potere che sembrava danzare appena fuori dalla sua portata, tentatore e sfuggente.
Camillo si fermò, il respiro irregolare. La delusione divenne dapprima un'ombra leggera sul suo volto, rapidamente spazzata via dal solito sorriso che prendeva vita quando la posta in gioco era alta. Aveva percepito un chiaro segnale dei suoi progressi, lo aveva sentito chiaramente quel senso di vicinanza al suo personale successo. Era una sfida, sì, ma una che era determinato a vincere. La maestria, capì, non era solo una questione di tecnica, ma di persistenza e fede nelle proprie capacità.

4 — L’odore di muffa pizzicava lievemente il naso di Camillo, mentre questo si apprestava a sperimentare ancora con quella magia. Il silenzio del magazzino era alienante, un abbraccio soffocante che lo separava dal mondo esterno. Il giovane negoziante aveva assorbito ogni insegnamento che i fallimenti precedenti gli avevano impartito, ogni lezione si era sedimentata nel profondo, costruendo una base più solida per poter procedere con lo step successivo.
Con uno sguardo che rifletteva un vigore rinnovato, Breendbergh riacquisì la posizione iniziale. La sua presa sulla bacchetta di salice era ora più sicura e morbida, infusa di una confidenza che presagiva un esito diverso. L'attimo di preparazione fu un rituale di concentrazione, dove ogni dubbio veniva scacciato, lasciando spazio solo alla certezza di un'immagine mentale vivida.
Questa volta, l'immaginazione del braciere dietro di sé non fu solo un esercizio di visualizzazione. Camillo riuscì a immergersi così profondamente nella scena che i confini tra realtà e fantasia iniziarono a sfumare. Il calore del fuoco immaginario sembrava avvolgerlo, scaldando l'aria intorno a lui, alimentando la sua volontà di successo. Bacchetta puntata alle sue spalle, con la punta in basso, gomito in avanti. Rilassato e pronto a sferzare l’aria.
«Igni». Pronunciò, la parola era un ponte tra il mondo in cui si era isolato e quello tangibile, carica di un'energia che fremeva per constatare un futuro progresso.
Il movimento per scagliare la frusta di fuoco fu eseguito con una grazia e una fluidità che l’autoimposizione aveva reso necessarie. Era come se il corpo di Camillo avesse calibrato ogni movimento, affinando la sua tecnica fino a raggiungere un equilibrio quasi perfetto tra pensiero e azione. «Menti». Esclamò poi, con un tono che era al contempo comando e preghiera, un invito aperto alle forze che cercava di dominare.
Per un momento, il tempo sembrò sospendersi. L'aria attorno alla punta della bacchetta si scaldò, caricandosi di una tensione che preannunciava la nascita di qualcosa di straordinario. Il cuore di Camillo batteva aritmico, sincopato, in eco al crepitio di un fuoco che sentiva vicino a scaturire.
Tuttavia, nonostante l’innegabile aspettativa che si era costruito e il miglioramento nell'esecuzione, l'incantesimo non si manifestò come sperato. Non vi fu alcuna fiamma a seguire il gesto della bacchetta, nessuna lingua di fuoco a danzare nell'aria davanti a lui. Solo il leggero fruscio del movimento e una piacevole scia di calore, testimoni di un potere che, sebbene più vicino, rimaneva ancora poco più in là rispetto alle sue grinfie.
Camillo restò fermo, il braccio ancora teso in una posa di sfida al vuoto davanti a sé. La delusione fece capolino nei suoi occhi nocciola, ma fu subito sostituita da una luce di caparbietà. Perché ogni tentativo lo aveva portato un passo più vicino al suo obiettivo, rivelando nuove sfumature della sua forza e della sua determinazione. Era chiaro che il percorso verso la maestria richiedeva tempo, pazienza e una volontà indomita. E Camillo aveva riserve abbondanti di tutte e tre.

5 — Ci riprovò ancora ed ancora, sistemando di volta in volta i dettagli della sua performance con pignoleria. Breendbergh lo voleva evocare davvero quell'incantesimo, a tal punto da appellarsi a tutta la sua buona volontà, alla sua esperienza con sortilegi ben piú complessi, ed al suo malsano rapporto con le fiamme, che nel corso della sua breve esistenza erano state sin troppe volte sue alleate e nemiche.
Dopo gli insegnamenti carpiti dai tentativi precedenti, c'era una nuova profondità nella prospettiva adottata, un riflesso di introspezione che suggeriva un approccio fiorito nella meditazione. Il magazzino, con i suoi spazi vuoti e le pareti mute, si faceva in disparte, lasciando che l’olandese fosse il solo ed unico protagonista di questa nuova fase, un palcoscenico silenzioso per un momento di svolta.
Camillo si posizionò con calma, una postura studiata e raffinata, le mani che non tremavano più tenendo la bacchetta di salice, e che quasi ghermivano avidamente il legame tra lui e l'elemento che cercava di domare. C'era un ritmo nel suo respiro, un'intenzione in ogni movimento che preparava il terreno per l'atto della creazione.
Con la bacchetta puntata alle spalle – puntata verso il basso, verso il fuoco – ed il gomito indirizzato in avanti, la mente di Camillo non si limitò a visualizzare un braciere dietro di sé; questa volta, cercò di diventare un tutt'uno con l’incendio che era scoppiato nei suoi pensieri, che consumava tutto ciò che si trovava oltre la sua schiena. Sentì il crepitio delle fiamme, il calore che prometteva di farsi strada nel mondo fisico.
«Igni», la parola fluttuò nell'aria, un soffio che portava con sé il peso di ogni esperienza precedente, arricchita dal desiderio di agganciare un lembo di fuoco e trasformarlo in un’arma.
Mentre il suo braccio si muoveva in un gesto che ormai gli era divenuto naturale, percepiva vi fosse qualcosa di diverso in questo tentativo. La sua azione non era solo il risultato di una sequenza di movimenti meccanici e di fantasie blande; era una connubio tra volontà e possibilità, tra il mondo tangibile e quello dell'immaginazione. Quando pronunciò «Menti», con il braccio che scattava in avanti in un gesto fluido e deciso, lo fece con l’intenzione ferrea di trascinare le fiamme nella sua sferzata.
Il silenzio che seguì fu denso, un attimo sospeso che conteneva tutto ciò su cui aveva scommesso. Camillo rimase fermo, con il braccio teso e la bacchetta ancora diretta verso il punto dove la fune di fuoco avrebbe dovuto manifestarsi e schioccare. Il suo respiro era l'unico suono nel magazzino, un affanno lieve che riecheggiava contro le pareti spoglie.
E di nuovo, era la curiosità ad impadronirsi del suo animo. Voleva constatare con i propri occhi il frutto dei suoi sforzi, della pratica, di tutti quegli accorgimenti che aveva adottato, un fallimento alla volta. Della sua fantasia che prendeva forma, del suo modo poco ortodosso di approcciarsi alla magia – quell’idea che sempre lo aveva aiutato nel momento del bisogno: guardare alle istruzioni solo come linee guida e mettere una parte di sé in ogni incantesimo lanciato. E così, con il cuore che gli si scatenava nel petto, andò in cerca della prova inconfutabile del suo successo. O dell’ennesimo fallimento, che lo avrebbe spinto a ricominciare, ancora ed ancora, fino a quando l’Ignimenti non fosse diventato parte del proprio arsenale.



IN ATTESA DEL MASTER

view post Posted: 4/5/2024, 16:58     ᴄᴏᴍᴘᴀɢɴɪ ᴅɪ ᴍᴇʀᴇɴᴅᴇ - La Capitale del Mondo Magico

CodiceBreendbergh questa volta l’aveva fatta grossa. Parlo della canna. Se ne rese conto solo dopo averla rollata, quando la cartina si era messa a pregare di non strapparsi. Con una bomba del genere potevi dichiarare guerra alla Serbia e uscirne a testa alta.
Dallo zaino posato sul gradino alle sue spalle aveva tirato fuori uno di quei barattoli di vetro in cui solitamente ci mettevi le conserve. Quelli da cui i migliori stilisti dell’Arabia Saudita avevano preso spunto per la moda degli sceicchi, imponendogli di indossare quei buffi lenzuoli cerimoniali in testa, che per la loro cultura erano un po’ l’equivalente della giacca e della cravatta. Senza copricapo eri solo un imbecille in vestaglia, ma quando lo mettevi la tua percezione agli occhi dei tuoi compari cambiava. Vi dirò di più, berretta farlocca o meno, a lui sembravano solo una banda di scappati di casa con il pigiama ancora addosso, ma forse non è il caso di allungare ulteriormente il brodo. La chiamò Fahad bin Al-Maktoumi al-Qasimi al-Khaldi, poi smise di pensare alla questione anagrafica.
La cosa buffa di tutta questa faccenda era che di quei barattoli ne aveva lo zaino pieno, usava un Mantello Vulcano per tenere gli alimenti caldi al caldo ed uno Ghiacciato per tenere gli alimenti freddi al freddo, un po’ come una sorta di thermos improvvisato. Da quello che aveva designato per i ghiaccioli ne aveva tirato fuori uno al limone, che era andato ad utilizzare per bagnare la colla, così da non dover passare la lingua sulla carta. Aveva finalmente chiuso il suo abuso edilizio in formato tascabile e l’aveva posato su un vassoio rubato anni addietro al Burger King, vicino al grinder e a tutto l’armamentario del corredo.
Non fumava più da quando era passato al commerciale e all’incommerciabile, ma l’influenza di Lex si faceva sentire. Dal suo grande ritorno, ogni tanto qualche tiro, per forza di cose, finiva per farselo.
Il suo contatto era ancora vivo e senza manette, per qualche strana ragione. La piccola riserva che gli aveva procurato era una delizia fruttata, cimette leggere che ispiravano la creatività, lasciandoti la sensazione di essere rilassato, senza effetti collaterali degni di nota. Quando l’aveva comprata, il pusherello gli aveva piantato una pippa infinita sull’ibridazione delle piante e sulla concentrazione di sativa e indica, e altri tecnicismi che non ha nemmeno senso sviscerare, perché in fondo nemmeno a Camillo fregava granché. Gli importava solo che fosse a chilometro zero e che non l’avessero trasportata dall’Albania nascosta nell’intestino crasso di qualche disperato, perché Adeline ci faceva anche i brownies. Così gli era stato garantito.

Iniziò a guardarsi intorno, con gli occhi che balzavano qua e là per il parco in cerca della Moran. Greenwich Park era davvero uno dei più belli di Londra, ma la gente gli stava sui coglioni. Ce n’era troppa e perlopiù erano turisti. Li riconoscevi subito, dagli zaini enormi che si caricavano in spalla agli outfit sportivi, ma non troppo. Eppure, una cosa li accomunava tutti: non sapevano da che parte girarsi. Fece rapidamente il conto di quanti portafogli avrebbe potuto sfilargli senza che se ne rendessero conto e la cifra arrivò in poco tempo a diventare un problema per la sicurezza pubblica. Si fermò solo quando vide Thalia e gli venne da ridere.
La povera cristiana doveva aver riciclato tutti i regali di compleanno delle zie infestanti. Alcune un po’ gotiche, ma alle vecchiette non si diceva mai di no. Cappello a falda larga, schiacciato, da pensionato; salopette in jeans su un maglioncino scuro. Faticò a non riderle in faccia, ma la puntò con il ghiacciolo al limone. Pensò anche che senza quella salopette gli sarebbe sembrata una fascista qualunque, e si arrese all'idea che non era bello ciò che era bello, ma almeno non era del tutto vestita di nero.
«Signora!» Richiamò la sua attenzione con un sorrisetto che voleva nascondere quanto fosse infame, nel profondo, ed un tono tutto sommato allegro e smaliziato. Da quando era uscito Peaky Blinders, gli Inglesi più di tutti, si erano rincoglioniti; temeva seriamente che in quel copricapo un po’ all’antica, diciamo, ci avesse nascosto una lametta. Si domandava anche se fosse pronta ad usarla, in caso. Conoscendola e conoscendo il fatto che lo conosceva, sarebbe andato all-in sul sì. Sapeva di sapere. Socrate sempre presente, gli sputò negli occhi, metanarattivamente parlando.
«Ti trovo in forma». Mentì, era abituato a sentirla arrivare quando ormai era troppo tardi, ed ora l’aveva sgamata per primo. Era uno dei motivi per cui le aveva chiesto di venire occultata, tra le tante cose. Sapeva che sarebbe durato poco, lei stava continuando a studiare, lui più che un autodidatta era uno che cazzeggiava. Le dava tempo qualche mese prima che si tornasse alla vecchia gerarchia.
Le fece segno di avvicinarsi, la scalinata vuota indicava che ci aveva lanciato di tutto affinché i non-maghi non potessero accedervi. Di solito, specialmente a quell’ora, c’erano almeno cinquanta disgraziati a fare su e giù sui gradini.
«Come stai? Come se la passano i Tassini? Ma soprattutto…». Prese la testata nucleare per la punta arricciata, sventolando un bellissimo filtro ad A, la A degli anarchici. L’unica cosa che BB2 gli aveva lasciato con la sua dipartita era un vuoto, non un erede sovrano.
«Canna?». Domandò, giusto perché ormai l’aveva preparata. Bello avere 20 anni. Ai giovani il diritto di essere dei cretini.

view post Posted: 2/5/2024, 13:22     ᴄᴏᴍᴘᴀɢɴɪ ᴅɪ ᴍᴇʀᴇɴᴅᴇ - La Capitale del Mondo Magico

Codice“Vediamoci domani a Greenwich Park, ore 16:00, sulle scalinate vicino alla statua del Generale Wolfe. Ho una cosa per te.
Vieni occultata, lo sarò anche io. Chi vede l’altro attira la sua attenzione.
– Camillo


PS: ci penso io alla merenda, preparati psicologicamente”


Classica mossa in stile Breendbergh, essere sempre imprevedibile: un gufo normale, niente abomini, mostri senz’anima forgiati dalla bacchetta di un artefice che ripudiava la Grazia dell’Onnipotente e si faceva beffe di Madre Natura, senza porsi il minimo problema etico in corso d’opera.


James Wolfe era un cretino, nato nel Kent e riuscito a crepare in Canada. Bella minchiata. Camillo guardava la sua statua e gli veniva da ridere, ma se non altro aveva combattuto i francesi per un bel pezzo della sua miserabile esistenza e quindi, in cuor suo, si disse che forse un po’ di rispetto doveva portarglielo. Non amava particolarmente chi ingeriva lumache per diletto, tra le tante cose, quindi chiunque fosse loro nemico non aveva tutti i torti. Gli venne in mente della recente capatina a Parigi e, per usare un eufemismo, aveva trovato quei clown degli autoctoni un tantinello scortesi. Ed era vero che, quando tirava fuori l’argomento, tutti gli ripetevano a ruota che erano solo i parigini ad esser nati per mettere a dura prova la pazienza del resto del mondo, ma a lui quella storia puzzava di marcio. Pareva una delle bugie di cui la gente si convinceva perché, in cuor suo, sperava davvero fosse così, perché l’alternativa era una nazione popolata interamente da ebeti. Generalmente, per smentirli rispondeva che non erano mai stati in Spagna, o in Egitto, e la questione si chiudeva lì. Il più delle volte con qualche risatina di circostanza. Di tanto in tanto lo prendevano per pazzo e lo guardavano come se avesse Mercurio retrogrado – un modo carino per non dire esplicitamente che era razzista –, ed in effetti su questo avevano ragione: Mercurio, in quel periodo, ce l’aveva retrogrado per davvero, ma non spiegava comunque come potesse essere razzista tutto l’anno.

Si piantò a sedere, poggiando la schiena sul gradino che aveva alle spalle, a tre quarti dalla cima del calvario. Staccò lo sguardo dal memoriale di chi, prima di lui, aveva odiato quei fenomeni da baraccone, e lo spostò un momento sul suo zaino. Adeline la sera prima si era presa bene a preparare manicaretti, ne aveva sfornati così tanti che gli era avanzato un vasto assortimento anche dopo il solito tour con i suoi clochard. Era contento di trovarli bene. Leland a parte. La vita per lui non era tutta rosa e fiori, specie con un cancro colorettale scoperto già in metastasi.
Bussò con le nocche sul tessuto blu della saccoccia per scacciare qualche pensiero di troppo, sentendo il vetro tintinnare in risposta. Un drammaturgo d’altrove una volta disse che il valore di un uomo si rivela nell’istante in cui la vita si confronta con la morte. Poi c’era stato un momento Sagittario in cui aveva preso in ostaggio il comandante di una base militare della sua capitale, aveva fatto un discorso motivazionale dal balcone, per concludere il tutto commettendo un suicidio rituale. Ma questa è un’altra faccenda. Tornando a Leland, se non altro stava affrontando bene la cosa e sbrigando i suoi ultimi affari con dignità, il che riportò alla mente dell’olandese quanto fosse stato farabutto prima di sapere che stava crepando. Spuntò un mezzo sorrisetto dal sapore amarognolo sulle labbra del fu-tassofrasso.

Fece mente locale. La merenda l’aveva portata, la droga pure; da consumare preferibilmente non in quest’ordine. La scalinata era stata schermata e nessuna rogna munita di ginocchia ci avrebbe messo piede, almeno finché non avesse sciolto il variegato assortimento di incantesimi lanciati. Mancava solo la povera anima in pena a cui aveva teso un tranello.
Guardò l’orologio e non ci capì mezza Bacchetta di San Buco; era rubato, ma soprattutto era rettangolare e le lancette facevano un po’ quel che gli andava di fare. Massimo rispetto per loro, sia chiaro, ma si promise che al primo bidone sul suo tragitto ce l’avrebbe lanciato dentro. Buttò un occhio al cellulare e constatò, con gaudio, che ormai era ora.
Il cielo era insolitamente limpido e tirava un venticello piacevole. Il Tamigi spaccava in due Londra, il cui profilo risultava ancora più ammaliante, osservato da quella collinetta.
Tirò fuori l’armamentario e iniziò a far su, cercando qua e là una figura familiare, senza lasciarsi distrarre troppo dal panorama. Specie considerando la paranoia che la suddetta figura gli inciampasse addosso scendendo i gradini.
Un morituro gli bastava e gli avanzava pure, forse non era il caso che qualcun altro ci lasciasse le spoglie.

view post Posted: 2/5/2024, 12:56     Magic Easter Festival - Diagon Alley

CodiceHo così tanti incantesimi addosso che temo David Copperfield possa fiutare la mia presenza e sopraggiungere per domandarmi un autografo. Ho così tanto veleno di medusa in corpo da squagliare un daino adulto di medie dimensioni. Ho così tante persone addosso che il mio spazio personale ormai è diventato una leggenda metropolitana.
Io li guardo e loro non mi vedono. Non tutti. Sto nel mio séocculto per evitare interazioni sociali non gradite. Strano, perché è Pasqua.
La campagna nei pressi di Diagon Alley è diventata magicamente una fiera, a cui io ho deciso di partecipare. Mi domando ancora perché abbia accettato. Il ricordo della Grigliatona dell’anno scorso, con tanto di blitz degli antimago – rigorosamente scelti tra quelli dal QI a temperatura ambiente – ritorna a galleggiare nei miei ricordi ed io tento di annegarlo. I flutti riportano a riva qualche frammento e lo lasciano lì a marcire e gonfiarsi come la carcassa di una balena, mentre mi guardo intorno in preda ad una mania di persecuzione. Vengo da un PTSD, ma questa volta sembra filare tutto liscio.
Lo chef pasticciere, a questa ripresa, pare la versione gettata sguaiatamente in lavatrice del buon vecchio Vandermolen. So che non troverò bestie rare a rosolare in qualche padella e quasi un po’ mi dispiace. D’altro canto le opzioni vegane hanno preso il sopravvento, perché tutti hanno un po’ paura che la storia possa ripetersi, e mi sembra che gli organizzatori abbiano voluto correre ai ripari. Io ho delle carote in un bicchiere e me ne pento. C’è del ghiaccio. Mi ci tuffo dentro con lo sguardo e cerco di capire perché, e perché siano perfettamente divisi occupando la metà del loro spazio uniformemente. Uno sulla destra, l’altro sulla sinistra.
Non solo potrei non aver mescolato. Non solo potrei aver chiesto il mio succo così. Autisticamente, sono finito a dividere equamente il malloppo di cubetti arancioni da quelli trasparenti. Non è nemmeno un vero succo. Ed io non sono io.
La figura del supplente Zwick mi sta così bene addosso che me la sono portata fuori dalle mura del castello. Lavorativamente parlando sono in una sorta di limbo per cui non sono né in vacanza, né impegnato con la revisione del programma di trasfigurazione. La burocrazia mi è entrata in una rotula come un proiettile a punta cava e mi rendo conto che tecnicamente sto facendo da babysitter invisibile ad un branco di ragazzini. Alcuni per le vacanze rimanevano a Scuola, spesso non per scelta. La quantità di orfani nel mondo magico è comicamente tragica e mi verrebbe da ridere, se non fosse per il fatto che è diventata una mia rogna. Sono ad un evento importante in veste ufficiale e devo badare a disgraziati veri e perditempo farlocchi, che con qualche permesso speciale hanno cambiato idea sulla permanenza tra le mura di Hogwarts a cose fatte. Il pensiero che chi se l’è data a gambe per godersi le festività non è affar mio, in vero, un po’ mi rincuora. Per quanto riguarda gli altri, invece, la tossina che ho in circolo mi aiuta a non comportarmi come avrebbe fatto Moloch. Mi faccio coraggio pensando che devo tenerne d’occhio solo una manciata ed inizio a vagabondare senza meta, cercandoli nella folla per controllare che non finiscano in qualche strano traffico d’organi.
È tutto così magico, i contorni prendono colore ed il movimento incessante di persone, animali e stramberie varie si trasforma in pennellate vivaci nell’aria. In tutto questo caotico e cromatico via vai, riesco a riconoscere i miei polli senza fatica. È per via del loro pattern di movimenti, penso, sembrano i boss in miniatura di qualche souls-like ed a forza di averci a che fare l’ho memorizzato. Mi viene voglia di fare delle capriole in preda al panico ogni volta che uno di loro mi si avvicina, ma poi mi ricordo che non mi vedono e riprendo a respirare. Stanno bene, si divertono e direi che per ora sto adempiendo ai miei doveri in maniera quantomeno decente.
Il cestino che mi han dato all’arrivo è finito in una delle tasche espanse della mise da nonnetto elegante che mi ostino ad indossare, giusto perché ho fatto il grave errore di lanciare quella moda il giorno della mia assunzione. Conciato così sembro comunque un marmocchio e la cosa ha un’ironia tutta sua.

Nel tumulto di cristiani festanti scorgo un volto che non vedevo da tempo, insieme a qualche altra faccia amica ed un musetto che mi ispira tenerezza. Due? Tre? Forse me lo sto immaginando: inizio anche a vedere cose che non dovrei vedere. Esco dall’incanto di disillusione quando sono ad un paio di passi da lei, approfittando della distrazione.
«Signorina McLinder, è un piacere conoscerla finalmente». La saluto con un sorriso cortese ed un tono a modo. Sventolo placidamente la mano e la trovo estremamente buffa. I suoi contorni sono di una piacevole tinta acquamarina, quando è ferma. Ognuno aveva una sua aura personale, con il giallo ed il blu ad ondeggiare nell’etere, sfumando in una maniera unica ed inimitabile.
Ovviamente è tutta una truffa ed io sono un bastardo, già ci conosciamo, ma lei non mi ha mai visto sotto quelle vesti e non mi ha mai sentito parlare con quella voce.
«Edgar Zwick, credo di aver ereditato la sua cattedra». Scherzo, senza scherno e senza malizia. Voglio sembrare quanto più sobrio possibile. Mi porto la mano libera al ventre e accenno un inchino. Sembra un harakiri mimato malissimo.
In qualità di Camillo le voglio bene dal profondo dell’anima, è sempre stata un’insegnate eccezionale ed una figura di riferimento importante per la mia casata. Per quanto poco abbiamo interagito a tu per tu negli anni, è impossibile provare una qualsivoglia forma di distacco. Nelle vesti del supplente, so di essere solo un lontano ammiratore e mi comporto come tale.
«Ho sentito voci meravigliose sul suo conto, così tante che ammetto la cosa mi faccia sentire un po’ un impostore». Lo sono. «Si sta divertendo?». Ad occhio e croce non sembrerebbe.

Punto i miei studenti con uno sguardo allegro e attiro anche la loro attenzione, rompendo l’incantesimo. Immagino che con Oliver non serva, è sempre stato piú bravo di me con la magia. Per quanto riguarda le altre due, invece, non sono sicuro di esserne sicuro. L’anima di quel disgraziato di Socrate mi batte una pacca sulla spalla per la semicitazione metanarrativa ed io mi sento una sorta d’intellettualoide improvvisato.
«Ragazzi, è un piacere vedervi qui. Come procedono i festeggiamenti?» Domando, con il solito modo di fare affabile che mi trascino dietro come un cadavere. Mi auguro mi riesca decentemente, è un riflesso del vero me che torna in superficie; in teoria ho un buon rapporto con tutti loro, ma ho un po’ il sospetto di aver esasperato Camille. Per Nieve probabilmente vale lo stesso. Se non altro, io non sono io, no?
«Mi imbarazza un po’ chiederlo, non sono pratico con queste cose. È normale che ci siano delle carote nel mio ghiaccio tritato?» Lo dico serio, come se fossi appena uscito dalla mia grotta per la prima volta. Alzo il bicchiere trasparente come a voler fare un brindisi e svelo il contenuto: le carote tutte da una parte, il ghiaccio tutto dall’altra. Faccio un sorso e nascondo con maestria l’impulso di rigettare, perché odio in maniera viscerale qualsiasi vegetale di colore arancione, ma mi torna in mente un ricordo felice. Una volta mi mangiai un pezzo di zucca cruda davanti ad Horus per coglionarlo. Un riferimento umoristico tutto nostro, andando a memoria direi che riguarda il suo Zuccastrello.
Solo il mio angelo custode sa quanto sono fatto, un metro e sessantasette di sostanze devastanti per il corpo e per la mente. Da fuori sembro solo nello Spettro, come al solito.

A gamba tesa e per rompervi le palle.
Interazioni: tutti.

view post Posted: 2/5/2024, 12:29     Trouble - La Capitale del Mondo Magico

CodiceDue zollette. Forse tre. Rocky aggrottò le sopracciglia e non si preoccupò molto di nascondere quella sua aria truce alimentata dalle stramberie del suo coinquilino. Scrutò la ragazzina come se avesse voluto chiederle quante, esattamente, perché l’indecisione lo faceva innervosire e già era abbastanza incazzato di suo. Poi si arrese e due zollette volarono nella tazza che aveva passato alla fanciulletta, finendo per mescolarsi al caffè, annegate in quel piccolo vortice a cui aveva dato origine. La terza svolazzava al di sopra della ceramica, pronta per ricevere il colpetto che l’avrebbe trascinata nell’abisso scuro della bevanda. Si preparò un caffé anche lui, senza aggiunte che gli sballassero i valori glicemici. Non giudicava, ma ogni volta trovava insensato dover addolcire qualcosa che era stato creato amaro – e amaro andava piú che bene per svolgere la sua funzione. Non filosofeggiò piú del dovuto e si mise in piedi dall’altro lato del ripiano, guardando Nieve come se avesse voluto eiettarla immediatamente fuori da casa. Poi pensò che non era colpa sua se esisteva e che Breendbergh trovava sempre un modo di appioppargli delle seccature, era lui il responsabile dell’astio che lo stava consumando. Francamente? Aveva altri piani per la giornata, fare il baby sitter non gli riusciva bene.
«Mi ha raccontato un sacco di stronzate da mormone-new-age sulla tua energia». Spiegò, secco, mentre con un gesto ampio della mano andava a formare un arco sopra la figura della biondina, quasi come se questa energia fosse stata possibile da sventagliare qua e là.
«Io non ci credo in queste puttanate, metto le cose in chiaro». – se uno ha la testa calda, possiamo anche non scomodare il misticismo e farcene una ragione, no?
«Di te so che sei una strega grandiosa, vincitrice di un prestigioso premio per la tua maestria con gli incantesimi. Eppure so anche che sei una rogna e che ti capita di scannare la gente alla vecchia maniera». Un brindisi con la tazzina, poi buttò giú tutto in un sorso, bruciandosi le papille gustative. Sotto quell’aspetto – quello della violenza impartita all’antica – sembravano essere simili.
«Mi ha detto poco, in effetti, ma mi ha chiesto di insegnarti a scannarla come se dovessero attribuirti un premio anche per questo, perché a quanto pare il signorinello odia il potenziale inespresso». Lui scovava talenti, poi erano gli altri a doverci pensare. Stava valutando di sfondargli il setto nasale nonappena fosse tornato a casa.
Poggiò il gomito sul ripiano, la tazza a lato, e si stropicciò gli occhi ragionando sul da farsi. Evitava i pensieri su Mirella come se fossero stati dritti, ganci e montanti, ma la sua mente in qualche modo tornava sempre lì. A quel punto gli venne spontaneo chiedersi se tutta quella tiritera non fosse altro che un modo per tenerlo occupato. In tal caso Breendbergh avrebbe potuto dire addio all’unica palla che gli rimaneva.
«Questo è quanto». Concluse, tornando a fissarla per capire che persona fosse. Da una strega della sua età e della sua corporatura si aspettava davvero risolvesse ogni disputa a colpi di bacchetta, non che portasse gli scontri sul piano fisico. Con quel bastardo di mezzo, tutto diveniva il contrario di ciò che sarebbe dovuto essere, e non capiva mai dove andasse a pescare i disgraziati che gli portava. Era un po’ la blatta che rovesciava tutto ciò che toccava e tu ti domandavi per quale stracazzo di ragione, dove fosse il suo divertimento. Poi arrivavi alla conclusione che una blatta non pensava e ti mettevi l’anima in pace.
C’era qualcosa, però, che legava Rocky alla marmocchia, e pian piano stava scendendoci a patti. Non era solo rispetto per la sua grinta o la capacità di saccagnare cristiani, ma l’ammirazione grezza per chi sapeva parlare il linguaggio universale delle mazzate. Quando si arrivava al limite della sopportazione, all’elfo non gliene fregava un quarto di minchia di perdersi in chiacchiere e portare la sfida sul piano ideologico; per lui, l'essenza di una persona si intravedeva nel modo in cui impartiva le pizze agli ebeti, nel sangue e nel sudore – così, del resto, come nel modo in cui le incassava.
Per lui, suonarsele di santa ragione era come ritrovare un collegamento con l’Io ed un modo per toccare con mano l’essenza di chi aveva di fronte, per fare un’esperienza sensoriale soddisfacente della carne e delle ossa del nemico. Il dolore delle contusioni non era violenza fine a se stessa, ma diventava un veicolo per trasmettere la propria verità e comprendere quella dell’altro. Lottando, le maschere cadevano, mostrando cosa c'era di vero in ognuno — paure, forze, debolezze.
Era per questo che Rocky disprezzava i maghi che si nascondevano dietro i loro incantesimi, lontani dal calore dell’avversario, in una bolla sterile fatta di sortilegi costruiti proprio per mantenere le distanze. Le loro sfide, per quanto elaborate e visivamente d’impatto, gli sembravano vuote, prive di quell’essenza di cui andava sempre in cerca. La sua filosofia era radicata nel bisogno bruciante di autenticità, di sentirsi vivo nel modo più crudo. Quell'emozione che non avrebbe saputo descrivere a parole era il bisogno vitale di realtà, di afferrare al volo ciò che contava per davvero. Anche se potrebbe sembrare strano, era proprio nella vulnerabilità del combattimento che l’elfo trovava un senso di collegamento profondo e rispetto reciproco, una celebrazione del conflitto nella sua forma più pura e straordinariamente umana. Il che era buffo, considerando che lui umano non era, ma ci siamo capiti.
Si domandava se fosse lo stesso per la mocciosa o se avesse trovato in lei solamente ciò che voleva vedere.
«Allora, lo vuoi o no questo cambio?» Domandò, rognoso come sempre. Se Breendbergh – e di conseguenza Rocky – ci aveva preso un granchio, Nieve poteva alzare i tacchi. La sua agenda era piena e non concedeva eccezioni per puro diletto personale. In caso contrario avrebbe valutato con i suoi occhi.

view post Posted: 23/4/2024, 15:39     Le Gioie di Brixton - La Capitale del Mondo Magico

CodiceNiahndra aveva quell’incredibile capacità di passare dall’atteggiamento passivo-aggressivo all’aggressione attiva in un battito di ciglia. Ok, era vero, farsi borseggiare forse non era l’esperienza piú lieta che si potesse sperimentare. D’altro canto l’olandese rimaneva dell’idea che la rabbia, quella vera, era un’emozione che montava piano. Sicuramente la Alistine sembrava essere saltata in sella già da un pezzo, considerando com’era partita alla carica, ed in effetti – come presto avrebbe potuto constatare – galoppava a cavallo di qualche rancore serbato da tempo.
Se c’era un grosso “ma” in tutta quella faccenda, era che Breendbergh, da buon disgraziato qual era, si stava divertendo come poche altre volte. Sorpassato lo shock da contatto fisico, tutta quella scenetta con lei aveva un pizzico di comicità intrinseca, una cosa che lui amplificava, esagerandola a tal punto da far sì che le labbra si schiudessero, mostrando un sorriso sincero. Alla base c’era lo scherno, neanche a dirlo, ma era comunque una reazione consona alla vista di una nanerottola che gli andava incontro a muso duro.
Ma lei era così seria – o recitava così bene – che gli occhi, celati dalle lenti tenui, non riuscivano a leggere con chiarezza le sue intenzioni. Si era domandato cosa avrebbe dovuto aspettarsi. Uno spintone, uno schiaffo, un pugno forse? Una coltellata, giusto per rimanere in tema? E la cosa ancor piú assurda è che era pronto ad accogliere ciò che la vita gli avesse riservato, con quel linguaggio del corpo aperto e con l’immancabile sorriso sgraziato a decorare il viso da cretino. Una provocazione bella e buona.
Poi l’impatto. O meglio, lei lo aveva raggiunto, ed ora che erano muso a muso, gli stava leggendo la vita in faccia. La montatura scivolò fino alla punta del naso, permettendogli di sbirciare l’altra, senza filtri ad offuscargli la vista ed i pensieri, da sopra il vetro vermiglio.
Non si era tirato indietro quando era giunto il momento di uno scontro diretto e, pur conscio di cosa stesse combinando l’altra, frugandogli nella tasca, non si era opposto.
Per dovere di cronaca, trovava la sua tecnica priva di eleganza e pensava che andasse affinata, ma nella lunga scalata dei piccoli reati contro il patrimonio, riappropriarsi di ciò che le apparteneva era il primo gradino che doveva compiere per metabolizzare il percorso che aveva davanti. Lasciò che facesse. Lì dentro ci teneva il borsello e l’anello che le aveva sfilato, del resto, oltre che un altro coltellino a scatto. Cromato, un pezzo di design niente male, sulle tonalità dell’indaco e del lilla.
«Mi dà fastidio che mi tocchi, ma non sei tu nello specifico il problema». Glielo disse chiaro e tondo, con quell’anda da “Il problema non sei tu, sono io” che tanto piaceva alle coppiette quando era ora di darci un taglio. Metafora buffa, considerata la presenza di un’altra arma bianca.
Il respiro gli era quasi venuto a mancare per l’ennesima volta ed in aggiunta dovette tenersi il suo dolore per sé, senza darle chiari segnali del disagio che stava provando. Il pubblico non c’entrava nulla. Come le aveva lasciato intendere, la malattia mentale era sua e sua soltanto. Si sporse in avanti, giocando con la differenza di stazza per intimidirla un po’, o quantomeno provarci.
«Trovo tutta questa situazione molto intima, non è lo stesso per te?». Aggiunse poi, fingendo non gli avesse fatto del male sentire le mani di un’altra persona addosso. Ed ecco l’ennesima battutina allusiva che Niahndra tanto odiava. Lui era nato per rompere i coglioni, sollecitava ogni leva a sua disposizione e schiacciava ogni singolo bottone rosso con la noncuranza di un pianista che si esercitava, per poi far comunque cagare in un concerto a teatro.
«Non lo dico solo perché messa così sembra tu mi voglia baciare, sia chiaro». Scherzò, mentre le lasciava sfilare tutto ciò che fosse riuscita ad estrarre dalla giacca.
«È che ti tieni le cose dentro, poi scoppi. Non riesci mai ad essere seria fin quando non sei completamente satura, e allora ti partono le rotelle». Si ricompose, fece un passo indietro. Poi un altro ancora.
«Sento che sei veramente mia amica e riusciamo a parlare solo quando ti esaspero, perché altrimenti tra una frecciatina e l’altra pare ti dia fastidio tutto, quando invece a certe cose dai peso e per altre scocchi puttanate dal tuo arco, tanto perché ormai ti sei costruita un personaggio e ci stai pure comoda dentro». Aggiunse, poi rincarò.
«Ma se non ti divertissi a passare del tempo con me, so che mi eviteresti» Quindi qualcosa che le piaceva, in tutto quell’ambaradan di stronzate, doveva pur esserci. Difficile capire cosa, se ogni volta sembrava dovesse buttarla in una vasca piena di ghiaccio e asportarle un rene senza anestesia, da come si comportava.
«Ora dimmi che era una messinscena per riprenderti il borsello e ti scatarro in entrambi gli occhi». Sputò anche lui la sua buona dose di veleno, ringhiandole contro giusto perché gli piaceva cogliere la palla al balzo e tenere vivo il mood che si era da poco acceso. Chiamatelo come volete, metodo Stanislavskij, esaurimento nervoso, fare il Niahndra, ma Breendbergh era dell’idea che per recitare così bene, bisognasse per forza aggrapparsi a qualcosa. E se lei ne aveva davvero pieni i boccini, come diceva, per sembrare così sincera da qualcosa aveva pur dovuto attingere.
«Io non so tenere la bocca chiusa, attiro rogne come una calamita perché non riesco a darmi una regolata. E a me, povera principessina in pericolo, non me ne frega un cazzo se un demente mi massacra, ho perso il conto delle volte che mi han dato fuoco e ho un’arma puntata contro un giorno sì e l’altro pure. Ora spiegami cosa ci guadagni a passare del tempo con uno come me se sai benissimo che le cose stanno così». Si sbracciò, lasciando inconsciamente che il taglio sul collo si allargasse ancor più di prima ed il sangue finisse per colargli sul collo della t-shirt, tingendola di una macchiolina scura. Poi si ficcò la mano destra in tasca e diede un colpetto all’insù col naso, perché gli occhiali tornassero al loro posto.
«Vacci tu al Diavolo, è sicuramente un coglione più noioso di me, sono certo che te la passerai meglio in sua compagnia». E lì finì la sua sceneggiata, con il bellissimo cliffhanger da “Vaffanculo, Alistine, oppure ammettilo che queste parentesi fottute ti piacciono”. Questo senza contare che potevano sventrarsi ancora ed ancora, tante erano le cose che entrambi si portavano dentro. Il materiale per dare spettacolo non mancava. In fin dei conti, melodramma per melodramma, l’intrattenimento era assicurato.

view post Posted: 23/4/2024, 15:24     Van(o) - La Capitale del Mondo Magico

camillo breendbergh ▸ 20 anni ▸ mastrobarbone
5mtQebG«Anche tu mi piaci, sai». Non esisteva un modo giusto per fare quella domanda, né per rispondervi. L’unica cosa che si poteva fare era essere diretti e sinceri quando arrivava l’ora di maneggiare certi sentimenti. Erano delicati, bastava poco per frantumarli. Una parola sbagliata, una bugia, una piccola omissione e tutto andava in pezzi. E così, il legame che univa due persone, quasi per proprietà transitiva, ne risentiva, emulava quella rottura. Non era una cosa che si poteva riparare e chi pensava che le crepe potessero essere aggiustate con l’oro, per impreziosire con dettagli raffinati la forma di qualcosa ormai distrutto, era un folle. Almeno nella sua assurda visione delle cose.
Era stato anche per quello che, colti i primi segnali, aveva voluto fare chiarezza. Una piccola incrinatura era gestibile, ma i cocci sparsi spesso si rivelavano taglienti.
Il tono di Camillo era allegro, anche se non riuscì a celare un velo di tristezza nel suo sguardo. Lex aveva bisogno di qualcosa che lui non poteva dargli ed in un certo senso, questo lo faceva sentire in difetto nei suoi confronti. Ammorbidì la presa e reggendo il proprio peso sulle ginocchia, ancorate al materasso, ancora una volta andò ad accogliere il viso dell’amico tra le sue mani.
«Ma non nel modo in cui vorresti, mi dispiace». Non gli aveva staccato gli occhi di dosso, nemmeno le mani. Restava sempre in quello stato d’animo conflittuale, tra la piú sincera curiosità ed il desiderio di esprimere affetto. Cazzo, se gli era mancato. Era anche arrabbiato e geloso per via di tutto quel tempo che avrebbero potuto passare insieme e che invece aveva condiviso con qualcun altro. Alla fine si arrese e lasciandosi cadere morbidamente, finì per stampargli un bacio sulla fronte, prima di raccoglierlo a sé in un abbraccio, se lui glielo avesse permesso. La testolina bionda di lui contro il proprio petto ad ascoltare il battito di un cuore che stava correndo, come se avesse dovuto battere ogni record nella sua aritmica follia.
«Sei importante per me, voglio che tu lo sappia, e non voglio perderti ancora». Confessò poi in un sussurro sincero.
Ripensò a quanto era stato male negli anni passati, alla fatica fatta per liberarsi dal peso che si portava dentro. Se si ricordava del sé di pochi mesi prima, quello che si sentiva sotto l’effetto di un Crucio al piú misero contatto fisico con un altro essere umano, il sé che scappava dalle manifestazioni d’affetto perché era convinto di non meritarsele, tutta quella situazione gli faceva uno strano effetto. Ora era lì, in uno spazio angusto, con un altro essere umano, a condividere un vuoto inesistente con la sua controparte. E nonostante il peso di quelle dichiarazioni che si erano scambiati reciprocamente, stava bene. O almeno, non sentiva il desiderio di morire tuffandosi in un rogo chimico.
«Fammi spazio». Gli avrebbe chiesto poi, con una gentilezza fin troppo cauta, se l’altro fosse stato in vena di avere ancora Camillo Breendbergh lì, nella sua casa mobile. Si sarebbe sistemato per sdraiarsi vicino a lui e avrebbe condiviso volentieri la comodità di quel Van.
«Ho un sacco di progetti in ballo in questo momento, ma ci sono anche un sacco di posti che voglio mostrarti, persone che voglio farti conoscere». Non parlava di amicizie, o meglio, gli sarebbe piaciuto renderlo a tutti gli effetti parte della sua cricca di sventurati. Ripensò ad una frase che un’amica gli aveva detto una volta: “Londra si sveglia di notte”. Quella dei Maghi, oltre che quella dei babbani. Era sicuro che, al netto di quanto emerso, qualche distrazione lo avrebbe aiutato a sentirsi piú a suo agio con quella città, con Camillo. In effetti, c’era un certo posto che gli era venuto subito in mente. Non ci tornava da un po’, ma ora che era Adulto e piú maturo, ma soprattutto in buona compagnia, gli sembrava la meta perfetta per introdurre l’amico ad uno stile di vita piú frizzantino. Anche se i loro interessi potevano essere del tutto differenti. A lui piaceva la musica ed il gioco. Quelli di Lex ancora non li conosceva bene, ma una mezza idea già se l’era fatta. Sì, era il posto perfetto per lui, almeno così pensò.
«Devo rimediare due biglietti per un certo locale notturno, è un tantinello esclusivo e discreto, ma amano fare le cose in grande. Che dici, è il tuo genere di serata in città?» Domandò poi, con un’espressione furba sul viso, una di quelle che promettevano un divertimento privo di inibizioni. Del resto, le premesse lasciavano intendere che certi segretucci imposti conferissero un fascino misterioso all’esperienza che gli stava proponendo. Nonostante le mille variabili, pensò, finché era con lui potevano stare tranquilli entrambi. Camillo conosceva le regole della casa e, sebbene non ci fossero santi, la compagnia non era affatto male. Forse addirittura migliore.

van(o)

view post Posted: 29/3/2024, 13:47     A.A.A. Cercasi adulto promettente che possa fare da Supplente - Primo Piano

edgar zwick ▸ 20 anni ▸ supplente in prova
5mtQebGCamillo, sotto mentite spoglie, immaginava che alcuni studenti fossero abituati ad un certo tipo di approccio per quanto riguardava i compiti. Il metodo classico, quello che lui avrebbe definito il fare “all’antica”. Ragion per cui non si meravigliò quando lo stesso studente rosso-oro che era intervenuto prima, chiese delucidazioni riguardo i compiti.
Evidentemente, si disse, non era stato abbastanza chiaro. O magari l’alunno si era solamente distratto, capitava. Lui stesso per anni si era affezionato al dover compilare pergamene e quadernetti, tempestandoli d’inchiostro per volere dei docenti. Una pratica barbara e poco stimolante, a suo avviso.
Non si scompose, ma guardò il ragazzo, mostrandogli un sorriso genuino. Forse, si era detto, avrebbe potuto proporre un compromesso tra ciò a cui la classe era abituata ed il suo modo poco ortodosso di affidargli delle consegne.
«Oh sì, come dicevo prima, mi basta che sperimentiate con il Commuto nel tempo libero. Quello che cerco sono utilizzi pratici ed innovativi. Sta a voi trovare le applicazioni più interessanti per questa classe di incantesimi». Ribadì quanto già detto, con fare gentile. Poi aggiunse.
«Non è obbligatorio, ma vi suggerisco di prendere qualche appunto e registrare i vostri progressi e le vostre scoperte su un diario, credo tornerà utile a molti. In ogni caso, dedicheremo una parte della lezione alla discussione, credo fermamente nella condivisione delle idee e che possiate prendere spunto reciprocamente da ciò che ne tirerete fuori. Vedetelo come una sorta di gioco di squadra». Concluse così. Quelli erano i compiti. Lui stesso era piú interessato a cosa sarebbe uscito dal cazzeggiare responsabilmente – e magari irresponsabilmente, perché no? – con quella diavoleria. I giovani sapevano rivelarsi estremamente creativi quando gli si lasciava carta bianca, letteralmente e metaforicamente. Piuttosto che annoiarli con un carico di compiti scritti, avrebbe preferito si dessero alla pazza gioia, per poi parlare apertamente di come avevano integrato il Commuto nella loro quotidianità. Sperava fosse tutto, ma se ci fossero state delle obiezioni, era lì per trovare un punto di incontro, tra le tante cose.
E così, chi avesse voluto adottare il metodo Zwick, avrebbe potuto liberarsi del fardello di un lavoro extra, mentre gli irriducibili avrebbero potuto darci dentro con la scrittura.

Una rapida panoramica della classe svelò al supplente in prova che le sue indicazioni avevano dato i frutti sperati. Già gli alunni avevano iniziato a sperimentare, per sua grandissima gioia, senza evidenti problemi nel gestire l’Incantesimo di Scambio.
C’era una piccola eccezione, quel corvonero alle prese con una matita, di cui poté notare l’insoddisfazione.
Con gli altri studenti impegnati ad esercitarsi, trovò il tempo di muovere qualche passo in sua direzione. Una volta raggiunto, avrebbe ispezionato piú da vicino e con discrezione il suo operato.
«Posso dare un’occhiata?» Gli avrebbe chiesto, affabile, con la palese intenzione di aiutarlo. Non era lì per rimproverare nessuno, né mettere qualcuno in imbarazzo. Parlò quasi sottovoce.
Se il bronzo-blu glielo avesse permesso, avrebbe tastato con mano la matita, notando egli stesso che non era stato in grado di trasferire completamente le proprietà della carta al legno e alla grafite. Poi l’avrebbe rimessa al suo posto.

«Un successo parziale è comunque un successo, specialmente al primo tentativo, non trovi? Ora vediamo di sistemare come si deve questa matita». Lo avrebbe incoraggiato così, anche perché non se la stava cavando male. Un incantesimo appena spiegato non era facile da padroneggiare immediatamente, qualche incidente sul percorso era inevitabile.
«Rifacciamo tutto da capo, insieme. È il metodo migliore». Avrebbe quindi aggiunto. Era inutile tentare nuovamente con la matita in quelle condizioni, un po’ perché la trasfigurazione già l’aveva incasinata – il che rendeva le cose piú difficili –, un po’ perché doveva abituarsi a far tutto in un colpo.
Con la bacchetta pronta, un Inversum gli avrebbe permesso di riportarla al suo stato originale. L’avrebbe puntata contro l’oggetto, sfiorandolo appena, enunciando mentalmente la formula: “Inversum”. Un “Otummoc” avrebbe avuto lo stesso effetto, ma preferì mantenere le cose sul semplice.
Controllò la disposizione dei due oggetti, per verificare se fossero abbastanza vicini al corpo dello studente, per pignoleria li avrebbe sistemati, tenendo conto di alcuni fattori, tra cui la statura del ragazzo e la lunghezza delle sue braccia.

«Ora chiudi gli occhi, immaginati la matita, stessa consistenza della carta. Immagina di poterla ripiegare come un Origami, immagina di poterla stropicciare. Concentrati su queste immagini e sulle sensazioni che rievocano». Gli avrebbe proposto, per far sì che iniziasse a percepire l’oggetto non piú come un’ asticella di legno con cui scarabocchiare, ma come un banalissimo foglio di cellulosa lavorata. Era certo che nella sua vita gli era capitato di giocherellare con la carta, ma se anche così non fosse stato – per quanto assurdo, era un ragazzino –, avrebbe avuto altri ricordi a cui appellarsi.
«Quando li riapri, tieni viva quell’immagine. Mi raccomando, cerchi ampi, in senso antiorario, li stringi pian piano. Poi una piccola stoccata. Mi raccomando anche per la formula, Commuto. Ogni pezzo di questo puzzle si deve incastrare con naturalezza». Inutile dire che l’ispezione citata in precedenza gli avrebbe permesso di capire qual era il risultato che voleva ottenere. Lo avrebbe indirizzato con gentilezza, senza mettergli pressione, mimando lui stesso i gesti, questa volta non piú di fronte a lui, ma al suo fianco, così che potesse imitarlo.
Se fosse riuscito a farsi ascoltare, gli avrebbe fatto un cenno affermativo con la testa, per dargli il via. Ed una sicurezza in piú.
«Se qualcosa va storto ci sono io». Ora attendeva solo di vederlo all’opera.

Nel mentre, teneva le orecchie aperte, e gli occhi che placidamente scandagliavano i suoi studenti, perché nessuno facesse stupidaggini. Era pronto ad intervenire, in caso, ma confidava nella distrazione che gli Incantesimi di Scambio fornivano. Un intrattenimento piú piacevole dei crimini contro le cioccorane o del ping pong con la stagnola. Ai crimini che sarebbero derivati da un uso sconsiderato del Commuto, invece, ci avrebbe pensato più avanti. O magari, si disse, non sarebbe stato affar suo se Hogwarts avesse rifiutato la sua candidatura. E lì avrebbe augurato buona fortuna al sostituto della buona e vecchia Atena.

”Fate pure bordello, affari del bidello”



Come dicono in Cina: “Condizionale è meglio che essele condizionati” :ph34r:

view post Posted: 19/3/2024, 20:51     A.A.A. Cercasi adulto promettente che possa fare da Supplente - Primo Piano

camillo breendbergh ▸ 20 anni ▸ supplente in prova
5mtQebG«Domanda eccellente, confesso che me lo sono chiesto anche io». Camillo si ritrovò a fare i conti con la promessa fatta in precedenza. Era soddisfatto del risultato ottenuto, del caos prima e del chiacchiericcio incessante poi, per un breve momento trasformatisi in quiete, attenzione. Ciò che aveva domandato agli studenti gli era stato dato, ed ora toccava a lui saldare il debito che aveva con loro.
Il motivo – quello principale – per cui non si era ancora presentato, era che non aveva un ruolo definito. Ad Hogwarts serviva un supplente per trasfigurazione e lui aveva colto l’occasione al volo per mettersi alla prova. Senza contare il fatto che, una professione al Castello, gli avrebbe permesso di stare piú vicino alla sua frizzantissima metà.
Ma se li era già immaginati, tutti quegli alunni, al “Buongiorno, sono il supplente in prova per oggi”. Si era domandato chi mai, a quell’età, avesse potuto prenderlo sul serio. Impiego precario, tizio che probabilmente non avrebbero visto mai più. Sarebbe stato come invitarli a cazzeggiare impunemente.
Sì, decisamente la strategia di tenersi la cosa per sé, almeno all’inizio, aveva dato i suoi frutti.

Ma quando Breendbergh aveva risposto al Grifondoro, si era completamente disfatto del turbamento interiore, e la sua voce risuonò allegra. Sulle labbra dell’olandese si era formato un sorrisetto divertito, segno che voleva sdrammatizzare, alleggerire un po’ l’atmosfera. Guardò con aria curiosa tutti quei volti giovani e poi continuò, ripensando al fatto che – per come si era conciato – poteva benissimo sembrare un paio d’anni più vecchio di loro, all’anagrafe.
«Come ben saprete l’ex Vice-Preside McLinder ha lasciato la cattedra di Trasfigurazione. La Scuola mi ha chiesto di sostituirla per il momento». In realtà l’iter era stato un tantinello diverso. Lui aveva fatto domanda, c’era stato un breve colloquio con la segretaria e terminato il colloquio gli era stato affidato il compito di badare a quel branco di scappati di casa, magari ficcandogli in testa qualche nozione sulla materia. Un po’ per vedere se fosse stato adatto come insegnante, un po’ – presumeva – per diletto della beneamata Darmont, che non aveva esitato ad appioppargli una classe un tantinello su di giri già al primo round. Immaginava che anche quello facesse parte della sfida, al terzo anno per qualche strana ragione a tutti piaceva dare di matto. I più giovani erano ancora troppo timidi e superato quello scoglio, mostravano un po’ più di maturità.

Un mezzo inchino, mano sul petto, un po’ come faceva Alexander quando era in vena di coglionarlo.
«Edgar Zwick, al vostro servizio, per oggi. Domani si vedrà». Ritornò alla sua corretta postura con un sorriso ancora piú largo, il riflesso di un animo felice di aver lasciato qualcosa alle nuove leve. Non gli sarebbe dispiaciuto accompagnarli durante il loro percorso di studi, ma fino a che non avesse firmato un contratto con la scuola, era tutto un po’ sospeso per aria. Ragion per cui costruì la frase con un pizzico di ironia, come a volergli dire di non affezionarsi, se si fossero sentiti in vena di smancerie. Poteva arrivare da un momento all’altro qualcuno con delle qualifiche migliori ed un metodo d’insegnamento più raffinato. Potevano semplicemente rifiutare la sua candidatura per altre mille ragioni.

Ora, per la questione della falsa identità e delle millemila trasfigurazioni umane con cui si era presentato agli studenti, è bene aprire un piccolo inciso. Aveva già avvisato la segretaria che, a suo dire, quello era il modo migliore per gestire la cattedra senza impedimenti di sorta.
A partire dalla questione che lui, i MAGO, non li aveva dati, e che se aveva ampliato la sua comprensione della materia, era anche grazie al suo lavoro principale. Tra progetti e brevetti, scambi d’idee con clienti e fornitori, per forza di cose aveva comunque bisogno di rimanere costantemente aggiornato, ampliare il suo bagaglio di incantesimi. Pur non avendo un pezzo di carta in mano a confermarlo, il programma degli anni non seguiti non sarebbe stato un problema per lui.
Ma era anche vero che era stato egli stesso uno studente da poco, e mai una figura di riferimento per i suoi compagni, anzi. Trovarsi Camillo Breendbergh a spiegare la materia avrebbe potuto suscitare un po’ di controversie, specialmente tra chi frequentava il sesto e settimo anno al castello.
Ed era vero, come gli era stato fatto notare, che prima o poi la cosa sarebbe saltata fuori, ma il metodo di dimostrare e rivelarsi solo in un secondo momento, pareva aver già funzionato alla grande. Avrebbe rimandato la questione ad un futuro ipotetico.

«Bando alle ciance, queste domande sono ottime». Sviò il discorso, posando lo sguardo sul serpeverde. In realtà non lo erano affatto, il Commuto funzionava un po’ a braccio, per non dire che gli incantesimi, in generale, facevano sempre come gli pareva. In fin dei conti pronuncia ed esecuzione erano linee guida per incanalare la propria volontà ed il potenziale magico, sarebbero stati i maghi e le streghe presenti a doversi arrangiare per trovare un metodo che gli fosse congeniale. Aveva qualche consiglio da dargli.
«Per quanto riguarda la distanza, vi posso consigliare di tenerli abbastanza vicini al corpo da poter dire “questi oggetti sono qui” e non “quegli oggetti sono là”. L’importante è che vi riesca comodamente e con naturalezza il movimento del braccio quando andrete a tracciare i cerchi con la bacchetta».
C’era un'altra questione in ballo.
«Per quanto riguarda le proprietà da trasferire, vi consiglio di sperimentare per prendere confidenza con l’incantesimo. Proprietà complesse richiedono una padronanza maggiore del Commuto, ma con la giusta dose di pratica ed esperienza direi che nulla è impossibile».

Le regole le sapevano, i trucchetti pratici erano stati svelati.
«Se ora vogliamo dare inizio all’esercitazione, sono a vostra disposizione per qualunque cosa, ma vi invito a farlo con coscienza ed etica anche nel tempo libero. Tenete presente che ogni singola cosa intorno a voi vi potrebbe tornare utile per un Incantesimo di Scambio». E con quella premessa, introdusse un argomento tanto odiato dagli studenti.
«Data la natura dell’incantesimo, non vi riempirò di compiti, ma farò affidamento sulla vostra libertà creativa. Per la prossima lezione vi chiedo solo di sperimentare, sono interessato a sapere quali saranno gli utilizzi piú pratici o ingegnosi che scoprirete usando il Commuto». Si sarebbe ricordato, in caso l’avessero riconfermato, di dedicare un quarto d’ora o poco più alla discussione con la classe. Quindi, niente ricerche tediose sull’inventore, per quello c’era la biblioteca se qualcuno avesse voluto approfondire. Niente rotoli di pergamena impregnati di inchiostro. Niente che non fosse pratico all’atto della creazione.
Tanto, si era detto, il gradino successivo di quella scalinata era una variante di maggior complessità del Commuto. Se qualcuno avesse voluto rifilargli qualche balla, per dire che aveva fatto il suo dovere, si sarebbe fregato con le proprie mani al tempo dell’esercitazione successiva.
Per il momento, salvo domande dell’ultimo momento, si sarebbe concentrato nell’aiutare come poteva chiunque avesse incontrato delle difficoltà. Era lì anche – forse soprattutto – per quello.

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Tutto al condizionale, come nella vita! :ph34r:

view post Posted: 11/3/2024, 23:14     A.A.A. Cercasi adulto promettente che possa fare da Supplente - Primo Piano

camillo breendbergh ▸ 20 anni ▸ supplente in prova
5mtQebGSistemata la questione Simmons, Breendbergh ritrovò un po’ della serenità e della pazienza che il giovanotto gli aveva sottratto. Ancora ripensava al fatto che lo avesse chiamato “Bro”, cosa che, fuori dall’aula, gli avrebbe fatto scattare a molla un sorrisetto divertito. In quella circostanza, era necessario che gli studenti riconoscessero la separazione dei ruoli. In fin dei conti era lì per insegnare, non per cazzeggiare, per quanto le due cose non fossero del tutto incompatibili.
Ciò a prescindere, l’aspirante supplente non si era dimenticato del chiacchiericcio di fondo che ronzava nell’aria. E si era persino detto che gli studenti avevano un’infinità di buone ragioni per spettegolare. Al loro posto, pensò, avrebbe schioccato qualche commento irriverente, frutto della propria curiosità.
Nonostante non si fosse presentato come tale, gli alunni piú svegli avrebbero già dovuto intuire fosse lì per spiegargli come funzionavano i benedetti incantesimi di Scambio, al di là della carica che ricopriva. Non era un docente di ruolo e nemmeno aveva ancora ottenuto il contratto per la supplenza – in fin dei conti, quella era la sua “giornata di prova” –, ma doveva assolvere ai suoi doveri e tanto gli era bastato per ritrovarsi lì. Se non aveva detto nulla su di sé, anche lui aveva i propri buoni motivi, primo tra tutti la domanda che continuava a porsi: *Io, oggi, cosa rappresento per questi ragazzi?*
Smise di pensarci. In quel momento non contavano titoli, cariche e qualifiche, ma lo scopo con il quale si era presentato a lezione.

Gli occhi dell’aspirante supplente si illuminarono quando una ragazza alzò la mano. Come aveva potuto immaginare, la risposta piú esaustiva gli venne data proprio da una studentessa che indossava i colori bronzo blu, con tanto di buone maniere. Un piccolo indizio confermò il dubbio, quel “Signore”; in effetti non si era annunciato come un professore. Poteva essere chiunque, specialmente considerate le fattezze da giovanotto ancora in età accademica.
Camillo sorrise ed annuì, lasciando intendere alla ragazza che aveva fatto centro.
«Molto bene, premio aggiudicato!». Esclamò euforico ed un’espressione tutto sommato allegra ad addolcirgli il viso. «Entro stasera, le cioccorane saranno sue, signorina…? Mi dispiace, faccio ancora fatica a ricordare tutti i nomi». Domandò, facendo il finto tonto. Simmons lo conosceva perché lo aveva avuto in sala comune, per quanto riguardava le altre casate, per lui quelli del terzo anno avevano tutte facce nuove.

«Un momento di attenzione per cortesia!». L’olandese alzò la voce, non con un tono irritato, ma come una richiesta gentile ai suoi studenti. «Se avete delle questioni di cui volete discutere sarò lieto di chiarire a breve, ma per ora è bene che rimaniate concentrati, se vi perdete il prossimo pezzo di spiegazione avrete serie difficoltà piú avanti». Continuò poi, questa volta, piú che un suggerimento, l’inflessione suggeriva che fosse un ordine. Una premessa funesta e una promessa sincera, sperava fosse abbastanza per calmare il chiacchiericcio generale, almeno per il tempo necessario di discutere dell’incantesimo.

«Fondamentalmente quanto detto è corretto. Gli incantesimi di Scambio permettono di scambiare una proprietà tra due elementi delle tre categorie menzionate: oggetti, regno animale e regno vegetale». Mentre spiegava, si sarebbe voltato per scrivere con il gesso sulla lavagna. Un diagramma semplicissimo.
La parola “Oggetto” in cima, poi tre frecce bidirezionali, ognuna delle quali congiungeva alla parola d’origine gli elementi in questione. Quindi una che andava da “Oggetto ad Oggetto”; una che andava da “Oggetto a Pianta”; una che andava da “Oggetto ad Animale”. Ovviamente, essendo frecce bidirezionali, funzionavano sia interpretate a partire dall’alto che dal basso, indicando che quella scritta in cima, ovvero Oggetto fosse sia punto di partenza che di arrivo, in base alla volontà di chi eseguiva l’incantesimo.
Tornò a spiegare alla classe, con voce chiara ed un volume consono, affinché potesse raggiungere i banchi in fondo all’aula. Magari sovrastando eventuali pettegoli seriali, se ce ne fossero stati, nonostante la sua richiesta.

«Per quanto riguarda la lezione di oggi, apprenderete le classi del Commuto che, obbligatoriamente, coinvolgono un oggetto all’interno della trasfigurazione, come potrete vedere da ciò che è illustrato sulla lavagna». Nessuna freccia indicava che le proprietà di piante ed animali fossero interscambiabili.
«Per quanto riguarda lo scambio di proprietà tra elementi del regno animale e di quello vegetale, tra loro, beh… sarà argomento della prossima lezione, per ora facciamo pratica con le basi». Anticipò questa chicca ai suoi studenti, considerando che serviva un incantesimo differente per far sì che ciò accadesse e che senza un’adeguata maestria del Commuto, il Commuto Interspecies potevano sognarselo.

«Per eseguire l’incantesimo è necessaria, innanzitutto, una buona dose di concentrazione. Dovete aver ben chiara la proprietà da trasferire e focalizzarvi sul risultato che desiderate ottenere». Continuò, calibrando adeguatamente i decibel. Non avrebbe urlato, ma si sarebbe espresso in modo che chiunque fosse stato interessato a non essere deflorato con il sabbione, accademicamente parlando, avrebbe potuto ascoltare la spiegazione.
Andò a dare una stoccata con il gessetto alle parole del diagramma.
«Ricordate che la difficoltà varia in base a cosa sceglierete di utilizzare per la trasfigurazione, in ordine crescente…» Oggetto, Pianta, Animale. Al terzo anno presumeva sapessero che fottere con organismi complessi era un po’ come giocare a carte con la sorte ed avere una brutta mano.

«Ed ora, le indicazioni. Come alcuni di voi mi avranno visto fare in precedenza, è importante mantenere i due elementi da voi selezionati vicino al proprio corpo. Dovrete tracciare dei cerchi con la bacchetta, in senso antiorario, dal diametro sempre piú stretto». Mimò il gesto con la bacchetta, utilizzando sempre il ranocchio di stagnola (ex cioccorana) e la palla di carta stagnola. «Ricordate di fare in modo che entrambi gli elementi rimangano sempre all’interno dell’area dei vostri cerchi». Continuò, gettando un’occhiata panoramica alla classe per individuare chi fosse attento e chi fosse intento a cazzeggiare.
«Una volta ristretti i cerchi, imitate una piccola stoccata con la bacchetta, in concomitanza con la formula “Commuto”. Formula che, per inciso, non richiede inflessioni particolari». Mimò anche quel gesto, a scopo illustrativo, senza l’intenzione di lanciare l’incantesimo.
«Mi raccomando la concentrazione, quando dico che è fondamentale, è per risparmiarvi brutte sorprese». Concluse così, con un pizzico di ironia per alleggerire l’atmosfera.

«Prima di iniziare con le esercitazioni, c’è qualcosa di cui vorreste discutere?» Domandò alla classe. Si era implicitamente offerto di rispondere sia domande sugli incantesimi di Scambio che domande personali. Se questo fosse servito a far chiarezza o a farli concentrare meglio sulla parte pratica della lezione, sarebbe stato lieto di aiutare.

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EDIT: col permesso del master per sistemare una parola



Edited by Camomillo - 12/3/2024, 07:55
view post Posted: 8/3/2024, 22:11     +7TOPIC DELL'APPREZZAMENTO - Off-Topic
Ho creato un coltello da una piastra di ferro

L'ho mostrato agli operai

Abbiamo avuto un momento Neanderthal collettivo

Mi sento uga uga

ho troppo tempo libero in ufficio
view post Posted: 7/3/2024, 22:26     A.A.A. Cercasi adulto promettente che possa fare da Supplente - Primo Piano

camillo breendbergh ▸ 20 anni ▸ supplente in prova
5mtQebGA Camillo le teste di cazzo tutto sommato piacevano, forse perché gli ricordavano il sé di qualche anno addietro. Non che nel periodo della sua prova come supplente avesse smesso di esserlo, se vogliamo essere del tutto onesti, ma almeno in quel lasso di tempo – quello trascorso da quando era l’olandese a ricevere la lezioncina sul Commuto – aveva imparato come ingraziarsi il favore del prossimo. Anche quella era una lezione che i piú vivaci in classe avrebbero presto appreso, in un modo o nell’altro. Perché, come aveva pensato poco prima, c’erano mille modi per far sì che una determinata cosa succedesse: che fosse perché prima o poi qualcuno te le suonava di santa ragione, e allora per forza di cose il sale in zucca trovava una crepa nel cranio in cui intrufolarsi; che fosse perché si sperimentava in prima persona che la diplomazia apriva molte piú porte, molte molte di più di quante ne potevi chiudere rimanendo una testa di cazzo. Avrebbe voluto spiegarglielo, ma fare la predica ai disgraziati non era nel suo stile.

Ora, per quante se ne potessero dire, il “Secco” improvvisato aveva sollevato una questione interessante. I suoi modi erano discutibili, ma non per questo meno validi.
Breendbergh si prese un istante per guardare Simmons, il suo ex-concasato. Se lo ricordava ancora alle prese con il Waddiwasi ed ora era lì con un obiettivo ben delineato nella sua vita. Macinare il grano. *Crescono così in fretta*.
Per dovere di cronaca, lo guardò con un’espressione difficile da decifrare, le labbra distese con neutralità e gli occhi che balzavano oltre la montatura tartarugata, come un tasso del miele balzava per farti passare la voglia di… esistere, fondamentalmente. Quegli animali non erano brava gente, gente con cui scherzare. Ed in effetti, il messaggio implicito nella sua mimica facciale era “potrei suonartele, creparti la zucca e ficcarci io stesso il sale” ed al contempo “ma ora ti mostro che c’è un modo migliore per condurre questa entrevue in maniera civile”.
Stemperò la tensione sorridendo, mentre le lenti sfumate tornavano a coprirgli gli occhi.

«Ebbene signor Simmons, non posso prometterle che avrà effetto sui nostri conti bancari». Spiegò, trattenendo una risata amarognola. Tra evasione, prestanomi, castelletti cinesi, paradisi fiscali e altre pratiche economiche bizzarre, almeno agli occhi del ministero, gli sarebbe servito qualcosa di piú di un Commuto, anche solo per capire con quale conto eseguire lo scambio. Per quello avrebbe potuto indirizzarlo dal professor Drake, ammesso che Divinazione comprendesse anche la pratica della rabdomanzia finanziaria.
«Ma quello che posso garantirle è che se ne farà un uso sufficientemente estroso, quando uscirà da scuola, non avrà una camera blindata alla Gringott’s per cui provare invidia». Rincarò con entusiasmo. Per come la vedeva lui, il giovane Tassorosso non aveva bisogno di nessun altro incantesimo che non avesse già visto quella giornata, se voleva mettersi qualche galeone in tasca. Gli bastava quello ed un po’ di creatività. Ma se voleva parlare la lingua dei soldi, aveva trovato la persona giusta con cui farlo.
«Per non parlare di altri utilizzi egualmente stupefacenti, che sono sicuro potrebbero interessarla». Aggiunse, con un pizzico di sarcasmo, la quantità adeguata – a suo dire – per non rendere evidente di cosa stesse parlando all’anziana segretaria. Per uno studentello del terzo anno, invece, la faccenda era diversa.
Avevi una cimetta di maria ed un sacco pieno di patate? Buon per te, bastardello fortunato. Sballo illimitato, e tanti saluti alla cara Mireen.
Insomma, ∆9, a buon intenditore, poche parole.
Si domandava, infine, se il messaggio fosse stato recepito, ed in tal caso, quanto tempo sarebbe trascorso prima che il bricconcello avesse iniziato a rendersi conto che, no, la versione di Camillo che aveva davanti non era il suo bro, e che c’era molto che avrebbe potuto imparare da lui. Si disse anche che, dal momento in cui avesse iniziato a vederlo come un professore, invece che come un povero stronzo nessuno, avrebbe iniziato a riferirsi a lui con il dovuto rispetto, magari aggiungendo Prof – non pretendeva la pomposità di “Professore” da lui nello specifico – per rivolgerglisi.
Purtroppo, il tempo che aveva intenzione di concedere alle sue uscite impertinenti si era esaurito. Si tornava a fare sul serio.

«Ultima possibilità». Si riferiva alla promessa delle cioccorane. «Qualcuno vuole spiegare al nostro Simmons come funzionano gli incantesimi di Scambio?». Dopo aver provato a coinvolgere lui, seppur con metodi poco ortodossi, avrebbe provato ad individuare i secchioni. Riponeva fiducia nella casata di Corvonero, per convenzione, ma non si sarebbe stupito se fosse stato proprio colui che aveva fatto caciara ad attivarsi. Magari spinto dall’intuizione, dal desiderio di diventare così ricco da rovinarsi i pollici a forza di contare i galeoni, o da quello di affettare patate psicotrope a vita.
Ognuno, in quella classe, aveva un'ambizione. Lo sapeva bene. C’era chi sognava in piccolo e chi in grande.
Trasfigurazione era una di quelle materie che ti permettevano di realizzarli, questi sogni. Certo, non senza la giusta dedizione.

”Fate pure bordello, affari del bidello”



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Me la gioco con una tattica semplice, ma a mio avviso redditizia, questo round, per acchiappare l'attenzione dei giovanotti e tentare di ingaggiare l'entusiasmo del Simpson di turno

view post Posted: 7/3/2024, 10:47     A.A.A. Cercasi adulto promettente che possa fare da Supplente - Primo Piano

camillo breendbergh ▸ 20 anni ▸ supplente in prova
5mtQebGLa situazione nell’aula era un pandemonio e quando Breendbergh fece il suo ingresso, si sentì a suo agio con il caos che permeava l’ambiente. Mentre si avviava verso la cattedra, un ricordo vivido del suo periodo tra i banchi di scuola rinfrescò la sua mente, logorata per l’interazione con la segretaria Darmont, per quanto fosse stata breve. Ancora nutriva forti sospetti sulla sua figura, il suo collegamento con Argus Gazza, e dire che si sorprese nel vederla continuare a svolgere la propria mansione indisturbata era un eufemismo in piena regola. Detta in parole povere, avrebbe voluto carbonizzarla in loco, ma dovette fare buon viso a cattivo gioco e mostrarle una faccia da culo. Non si trovava lì per indagare, men che meno per giustiziarla arbitrariamente. Si limitò ad accogliere la sua richiesta come se i loro trascorsi non si fossero mai verificati, mostrandosi affabile, in favore di una buona prova come aspirante supplente. Forse, si disse, ci avrebbe pensato in seguito, una volta ottenuta la carica a cui ambiva, ma per l’appunto se ne sarebbe preoccupato in seguito.

Per quanto riguardava la questione della docenza, si sentiva abbastanza rilassato. La fiducia che riponeva nelle sue abilità come trasfiguratore rasentavano i livelli di un delirio maniacale di onnipotenza. Per non parlare del fatto che insegnare ciò che amava, tutto sommato, non gli riusciva poi tanto male. La sua esperienza in Atelier, con Lex, Niah, fornitori e clienti vari, gli dava le conferme di cui aveva bisogno, in tal senso.
Tirate le conclusioni, gli studenti avrebbero avuto a che fare con un insegnante che trasmetteva loro la propria serenità d’animo e l’amore per la materia. Ciò non voleva dire che si sarebbe lasciato sopraffare da una manica di scappati di casa, ma per fare una singola cosa, esistevano piú di mille modi. Si promise di non essere il rompicoglioni di turno, quello burbero e fin troppo austero nei confronti delle nuove leve. Tantomeno di lasciare che si prendessero troppe libertà. Sapeva come trovare il giusto equilibrio.

Raggiunta la sua postazione, dietro la cattedra di legno, rimase in piedi, silenzioso, osservando il delirio dipanarsi nell’ambiente, attraverso le lenti dal gradiente chiaro. Individuò subito un paio di elementi che gli sarebbero tornati utili per richiamare l’attenzione dei suoi studenti. Gli stessi elementi che si erano rivelati la principale fonte di distrazione.
Aveva deciso di richiamarli a sé, con due colpi rapidi della bacchetta. La pallina di carta stagnola, all’apice di un lancio da manuale, l’avrebbe appellata con un Accio, non verbale, ed aveva intenzione di ripetere la medesima scena con una cioccorana ancora intera, per risparmiarla da un destino funesto. Dopo il primo salto, quelle esaurivano la loro vitalità e se ne stavano ferme dove atterravano.
La procedura era la stessa da ché l’incantesimo era stato inventato. Avrebbe puntato il Salice, prima sull’uno e poi sull’altro bersaglio, ed enunciato mentalmente la formula, accompagnata dal nome dell’oggetto designato, intenzionato acchiapparli con la mancina una volta che lo avessero raggiunto. Una volta attirati a sé, li avrebbe posati sulla cattedra e si sarebbe presentato alla classe, seppur non in maniera convenzionale. Avrebbe omesso le proprie generalità, con tutte le buone ragioni del mondo, mettendo comunque in chiaro quale fosse il suo ruolo. Bussò vigorosamente con le nocche per tre volte, facendo riecheggiare il canto del legno massiccio.
«Buongiorno a tutti, vedo che avete energia da vendere, quindi direi che possiamo sfruttarla al meglio per la lezione di oggi!». Si sarebbe espresso con un tono raggiante, ed un volume della voce misurato per sovrastare il chiacchiericcio e gli schiamazzi. Avrebbe mostrato il suo solito sorrisetto divertito, mentre saltando la montatura, lo sguardo spensierato avrebbe fatto una panoramica della classe, pronto a soffermarsi ed affondare nelle pupille di chiunque avesse mostrato una carenza di disciplina.
Il contatto visivo, per sua esperienza personale, era più che sufficiente per richiamare all’ordine un subordinato, specialmente ora che si trovava in una posizione di potere, ma se non fosse bastato si sarebbe inventato qualcosa. In linea generale, a nessuno piaceva essere preso di mira da chi aveva l’autorità per fargli passare un brutto quarto d’ora, ma i preadolescenti – così come gli adolescenti – a volte sapevano rivelarsi delle vere e proprie spine nel fianco.

«Noto con piacere che alcuni di voi hanno una certa predisposizione nel manipolare gli oggetti, ma quello che mi interessa davvero è sperimentare la vostra creatività». Avrebbe lanciato un paio di occhiate d’interesse sia al gruppo che si dilettava a scagliarsi la stagnola accartocciata, sia ai marmocchi che sadicamente squagliavano le rane di cioccolata. Questi ultimi, a dire il vero, erano quelli in cui riponeva la maggior fiducia. Non avrebbe escluso nessuno dei presenti, tuttavia, nemmeno i piú timidi.
La scelta delle parole non era casuale. Per quanto fosse poco ortodosso, voleva incoraggiare anche gli animi che avevano dimostrato una maggiore vivacità a sperimentare con le trasfigurazioni più eccentriche e fantasiose. Quello che aveva fatto prima, però, era mirato a destare la curiosità dei presenti, con la promessa di lasciare che dessero sfogo al loro lato piú artistico. Arrivò al dunque.

«Oggi tratteremo una nuova classe di incantesimi, un’aggiunta estremamente versatile al vostro repertorio, quindi prestate attenzione». Avrebbe spiegato entusiasta, dando loro una piccola dimostrazione pratica.
Sulla cattedra altresì libera, gli studenti avrebbero potuto notare i due oggetti di cui si era appropriato.
Partendo con ampi cerchi in senso antiorario, avrebbe gradualmente ristretto il perimetro tracciato dalla bacchetta; entrambi gli elementi, sarebbero rimasti all’interno dell’area disegnata dai movimenti circolari, anche quando questa si fosse ristretta. Da prassi, gli obiettivi della trasfigurazione sarebbero rimasti prossimi alla sua figura per tutta la durata di quel rituale, mentre il supplente in prova si concentrava sulla proprietà da trasferire, immaginandosi la superficie della ranella acquisire la lucidità argentea e riflettente della stagnola. Al completamento dell’ultimo cerchio, quello piú stretto, avrebbe enunciato mentalmente la formula “Commuto”, in concomitanza con la leggera stoccata necessaria.
E così, se fosse riuscito nell’intento di trasferire la qualità desiderata alla cioccorana, si sarebbe rivolto alla classe.

«Qualcuno sa dirmi qualcosa riguardo gli incantesimi di Scambio?». Avrebbe poi domandato, con il primo indizio evidente sotto gli occhi della classe intera, ed il secondo intrinseco nella domanda posta.
«Per la risposta corretta e piú esaustiva, ci sono 51 cioccorane come premio, quindi non siate timidi e fatemi vedere qualche braccio alzato». Avrebbe promesso, prendendo in prestito dalla sua dolce metà il vizio di sparpagliare dolciumi ai propri studenti. Non che volesse farle concorrenza, certo, ma riconosceva fosse un buon incentivo per spronarli a partecipare attivamente alla lezione.
Lezione che era appena cominciata.

”Fate pure bordello, affari del bidello”



Tutto al condizionale e via! :ph34r:

view post Posted: 29/2/2024, 20:57     Magie Sinister - Nocturn Alley

Codice- Trasfigurazioni Umane
- Vestis
- Commutus vocus
- Visibula Noctambulus

«Cowabunga sia, mio giovane Darbula!». Camillo aveva fatto tintinnare la campanella del Negozietto di Antiquariato, inalando a pieni polmoni le muffe tossiche che aleggiavano in quell’antro ombroso. Inutile dire che non si era risparmiato e non aveva perso tempo nel salutare il suo vecchio amico, noncurante di chi fosse o non fosse presente nel locale.
«Articoli di San Valentino, non mi starai mica dicendo che il vecchio finalmente è spirato!». Domandò, richiudendosi la porta alle spalle e osservano il serpino attraverso le lenti colorate. Gli pareva assurdo che il bastardo avesse permesso di far entrare l’amore in un luogo permeato solo e soltanto dall’odio – per sé stessi e per il prossimo. Si chiedeva se quella fosse la volta buona che l’avevano sepolto a faccia in giú.
In realtà, aveva esteso la domanda anche al garzone, quindi supponeva gli sarebbe arrivata una risposta presto o tardi.
«Come te la passi?». Si preoccupò poi, immaginando già la tiritera. “Di merda” “E te credo!”. O magari gli affari stavano andando alla grande proprio per quella trovata di marketing.
Dava per scontato che il signorinello Shaw ormai fosse abituato alla sua filigrana e potesse intravedere Breendbergh dietro qualunque maschera si celasse, anche – soprattutto? – quando esagerava con le trasfigurazioni umane. Nel mentre, lui diede una rapida occhiata allo stock tematico.
Ok, sì, come pensava. Erano articoli per gli innamorati e come nell’amore, alcuni di essi nascondevano una fregatura. Ma doveva ammettere che un paio di quelli esposti non erano affatto male. Certo, non li avrebbe regalati alla sua bella, ma non gli sarebbe dispiaciuto averli nella sua collezione di stranezze maledette. Sbuffò un paio di volte dalle narici e sentì l’aria partirgli da dentro il cervello.
«Allora, mi fai un uuuuuuuh…». Ragionò ad alta voce, come se fosse stato al drive through del fast food di turno, un po’ indeciso ed al contempo frizzantino. La voce modificata inaspriva molto le consonanti.
«Un Bracciale del Chiarore e uno di quei Medaglioni omoerotici del Fascino». Concluse, alzando lo sguardo sulla figura del cristiano, notando qualcosa di diverso in lui.
«Ti vedo piú alto o è il taglio di capelli?». S’interessò, come una zia troppo entusiasta che non vedeva il suo nipotino da anni.
Galeoni in saccoccia, gli avrebbe dato quanto dovuto e dopo l’ennesimo giro di saluti se la sarebbe filata con il suo bottino. Giusto due souvenir, ma sapeva già cosa combinarci.
Aveva voglia di pizza.Il mio regno per una pizza!


Acquisto: Bracciale del Chiarore + Medaglione del Fascino

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