La sensazione di sollievo insieme a quella di vuoto, si mischiavano ogni volta che prendevo l'Hogwarts Express per tornare a casa. Quell'anno era stato diverso da tutti gli altri, nei miei appena compiuti quindici anni avevo avuto la consapevolezza che un universo che non conoscevo si stesse svelando ai miei occhi. Stavo cambiando idea, mettendo in discussione ogni cosa, prendendo posizione dove prima non avevo mai osato. Fu così anche in quel viaggio di ritorno, in cui scambiai le ultime battute e frecciatine con i miei compagni per quell' anno scolastico.
Ero quello che rideva di più, quello che scherzava di più, come se dentro di me avessi già saputo quello che mi aspettava. Avevo dato il meglio di me, consapevole che quello che mi avrebbe aspettato a casa sarebbe stata un'atmosfera profondamente diversa da quella che stavo respirando in quel vagone.
Una volta arrivato alla stazione, mi ci volle un'occhiata veloce alla banchina per vedere mio padre, ci scambiammo dei brevi commenti. Era la prima volta che mi veniva a prendere in stazione senza mia madre, ma non volli indagare.
Il ritorno verso casa fu silenzioso, ma per fortuna breve grazie alla metropolvere.
Dubhghlas, il mastino di famiglia, mi accolse con il suo entusiasmo canino incontenibile.
Mentre la mia visuale veniva alternata da un muso e una coda scondinzolante, avevo percepito già un'atmosfera completamente diversa in casa. Era come se qualcosa si fosse cristallizzato nel tempo, come se tutte le superfici fossero state ricoperte di una brina, di una malinconia appiccicosa, che trovava manifestazione in ogni soprammobile fuori posto.
La cucina, la posizione delle tazze, fino a come era disposto il centro tavola, urlava della mancanza costante di mia madre.
Fu così che per la prima volta nella mia vita ebbi paura. Paura, di vedere la mia stessa madre.
La avevo vista durante le vacanze pasquali, in cui mi ero reso conto delle sue condizioni reali, rispetto a quelle che mi aveva comunicato lei stessa o mio padre via gufo.
Erano due settimane che ricevevo lettere solo da parte di mio padre, il peso che avevo rimandato fino ad allora, i pensieri concreti legati a quella situazione, mi piombarono tutti in una volta addosso. Quella cosa, quella sensazione, quel momento non lo sapevo gestire.
Non mi ricordo come andò, probabilmente feci quello che era naturale e normale fare, cercare mia madre per salutarla. Non chiesi, sapevo dove era.
Bussai alla porta della camera dei miei, una voce flebile mi rispose.
Entrando dalla porta, mi accorsi che la donna che era sdraiata nel letto non era mia madre. Parlava come lei, sorrideva come lei, ma non era lei...Era come se fosse stata un ricordo sbiadito di ciò che era. Come un foglio accartocciato che voleva ancora fare parte di un libro.
Nel chinarmi per darle un bacio, mi resi conto di avere il timore di poterle fare del male, di sgualcire quella superficie diafana che era diventato il suo viso.
Non parlammo della sua condizione, ma di me. Guardandola in quegli occhi di mare e di fiume, non riuscì a chiedere nulla, non avevo bisogno di parole, seppur nessuno me lo avesse detto chiaramente, avevo già capito.
Accettai di sedermi dalla parte del letto che mi aveva lasciato libera, non mi tolsi nemmeno le scarpe, mi sdraiai con la testa sul suo grembo. Mi chiese e le raccontai, tutto quello che mi passò per la mente in quel momento. Ridemmo, scherzammo, ogni tanto le mancavano le parole o la voce ma imparai in fretta a colmare quei vuoti, quella sua necessità di prendersi dei suoi piccoli momenti che lasciava sparsi come briciole di pane. Io, li raccoglievo e li custodivo nei miei sorrisi e nei miei sguardi.
Presi l'abitudine di fare colazione con lei, la mattina era il momento migliore per stare insieme.
Passavo le mattine con mia madre nella camera dei miei, invece il pomeriggio e la sera la dedicavo ad aiutare mio padre nell'attività di famiglia. La situazione diventò surreale, mia madre viveva nella nostra stessa casa, sotto il nostro stesso tetto, ma non vi era volta che mio padre nominasse il suo nome o facesse riferimenti per il futuro. Avrei voluto chiedere, ma quel gelo di mio padre, quel suo arginare la situazione mi portò a smontare qualsiasi domanda. Forse fu la cosa più giusta, nel suo paradosso. Perché quelle mattine passate con mia madre diventavano sempre più piacevoli, dopo un mese dal mio ritorno da Hogwarts mi ero convinto che quella situazione avrebbe potuto andare in quel modo all'infinito.
Ma la situazione reale era ben diversa, eppure trovai il modo di starle accanto anche in quei momenti invece di parlare iniziai a leggerle dei libri e di tanto in tanto, osavo, cambiando intonazione e voce per dare più mordente ai personaggi. Gradiva, a volte addirittura rideva per quel mio modo buffo.
Iniziai a vivere solo per quelle avventure immaginarie, per quelle pagine che portavano lontano me ma anche mia madre.
Passò così il tempo, tra un'avventura e un'altra, tra lo svezzamento di una nuova creatura e l'altra.
Ero diviso a metà, tra mio padre e mia madre, tra una vita e un'altra.
Finché una sera ci fece nuovamente visita il medimago di famiglia.
Di solito non mi riservava più che un saluto cortese, ma quella sera mi guardò con uno sguardo che mi ricorderò per tutta la vita. Aveva frantumato la barriera della sua professionalità, per guardarmi non come medico, ma come uomo. Per sorridermi, uno sbuffo gentile sui capelli, si era fermato sulla veranda di casa mia mentre le cicale cullavano il vento estivo, parlammo di tutto e di nulla. Ma quel suo ultimo sorriso, lo rividi sbiadito sulle labbra di mia madre la mattina seguente.
Il sole d'Agosto all'esterno splendeva quasi a sfregio, in un ossimoro di quello che stava accadendo all'interno di quella stanza.
Mia madre mi aveva accolto con un sorriso che era più che sbiadito, nessuno mi aveva detto esattamente quali fossero le sue condizioni, nessuno si era realmente preoccupato delle mie soste in quella stanza. O così almeno credevo, o avevo dedotto, senza davvero capire.
Mi rivolse lo stesso sorriso del medimago, era una smorfia consapevole, di quello che stava per accadere.
Mi fece sistemare nel letto con lei, come avevo fatto al mio ritorno da scuola. Rimanemmo in silenzio, mi sistemò i capelli come quando da bambino mi dava la buona notte. Mi chiese nuovamente di leggere per lei, mi sistemai su quella che ormai era diventata la mia sedia, accanto al letto.
Iniziai a leggere, ma mentre le mie parole fluivano la mia mente rincorreva una consapevolezza, a cui non potevo sfuggire in alcun modo.
Tutto ciò che avevo fatto in quel momento, tutti i momenti trascorsi con mia madre, mi avevano portato lì. Davanti a lei, davanti al suo letto, davanti...
Alzai lo sguardo, finendo il capitolo. I miei occhi che in confronto ai suoi non erano che stagni, si immersero nello sguardo di mia madre. Quello sguardo, quell'intesa, quel modo di capirci senza alcuna parola. Non avevo mai avuto bisogno di parlare con mia madre, ne lei me lo aveva mai chiesto.
«Romeo, con quegli occhi grandi che sembrano il mare, dove finirai se non inizi a svelare...»
Finimmo la frase insieme, in quella che era la frase che mi ripeteva sempre. La sua premura più materna nei miei riguardi, a svelare ciò che mi passava per la testa. In quel modo poetico e da filastrocca, che le era tipico. Quante sue lettere finivano in quel modo, quanti nostri discorsi erano iniziati a quel modo.
Non ebbi bisogno di inviti, una mia mano che mi sembrò enorme in confronto a una sua, si avvolse attorno la mano di mia madre. Piccola, diafana e fragile.
Mi sporsi, quasi nella necessità di proteggerla, ma ciò che stavo proteggendo era la mia fanciullezza.
« Impara a far funzionare le cose »
Fu questo il suo lascito, ciò che ritrovai anche nell'incisione dello zippo che le era appartenuto.
Ricordo che annuii, non so per il suo modo di porsi, se finsi di aver capito...Se...
Prima che potessi realmente rendermi conto, un sospiro si era impossessato del corpo di mia madre, finalmente liberandola.
Era finalmente libera.