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view post Posted on 2/5/2017, 22:03
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all that is gold does not glitter, not all those who wander are lost

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Nella zona orientale di Galway, dove le case si diradano e la natura prende il sopravvento, non è difficile incontrare il sentiero che conduce ai Merlin Woods, una zona boschiva di antichissima origine e di ampia estensione. Sequoie, querce, faggi, noccioli e conifere si intrecciano fitte, lasciando spazio a timidi sentieri e vivaci rigagnoli. Inoltrarsi nella foresta in primavera, quando la vegetazione si fa rigogliosa, porta a perdere la percezione del tempo, a entrare in un mondo fatato e ancestrale.
Così era accaduto ai fratelli Lynch in un soleggiato pomeriggio estivo: dopo aver vagato a lungo per i boschi e aver perso l’orientamento, erano stati colti dall’imbrunire prima di poter trovare la strada di casa. Inaspettatamente, ciò che trovarono fu un nuovo rifugio, una dimora abbandonata che da quel momento divenne il loro quartier generale.
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Divorata dal tempo e dall’edera, la casa si trova al limitare di una piccola radura. L’accesso alla proprietà è monitorato da un batacchio a forma di trifoglio, che riconosce i tre fratelli e acconsente il passaggio a chi li accompagna. Altra misura di sicurezza è un binocolo posizionato nel sottotetto, in grado di individuare visitatori a distanza di circa un chilometro. I babbani vengono tenuti alla larga per mezzo di un incanto che li spinge a provare un imminente bisogno di urinare, mentre eventuali minacce di altro tipo sono annunciate all’interno della casa per mezzo di una voce metallica che ripete “intrusi”.
Coloro a cui verrà garantito l’accesso si troveranno in un ampio salone dal pavimento in legno grezzo e dalle pareti scrostate, puntellate da chiazze di colore sparse qua e là: poster dei Kenmare Kestrels, cartelli dipinti a mano, bersagli per freccette. Sulla destra, un tavolone di legno rozzo coperto di incisioni, un frigo sempre pieno di Burrobirre, e una credenza spartana. Sulla sinistra, oltre uno scaffale stracolmo di Trottole Schizzine, Frisbee Zannuti, carte da Sparaschiocco e altri giochi magici, c’è il salone vero e proprio - una stanza spaziosa che ospita un ampio divano da quattro posti e quattro poltrone sfondate.
Nei pressi di una porta-finestra che conduce al pergolato sul retro sono esposte le attrezzature di Quidditch appartenenti ai tre fratelli: cinque scope sorrette da altrettante rastrelliere, elmi, guanti, mazze, kit di manutenzione e almeno tre set di palle consumate dal tempo e dall’usura.
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Una volta usciti sul retro, ci si troverà in uno scricchiolante pergolato con vista sulla radura retrostante, arredato con qualche sedia spaiata e un paio di lanterne. Una scaletta in legno conduce all'area adiacente, ampia circa 100 metri quadri, che ospita un campo di Quidditch amatoriale in cui i tre fratelli passano gran parte del loro tempo libero. Il profumo intenso degli alberi, l’aria pulita e i rumori del bosco sono tratti distintivi della zona, che rendono quel quartier generale un posto unico al mondo agli occhi dei fratelli Lynch.


Edited by Nih . - 15/6/2019, 18:40
 
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view post Posted on 2/5/2017, 22:09
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ovWScZVConcedersi una pausa dalla vita frenetica di Hogwarts, dalle sue incombenze da Prefetto e da tutta l’onda lunga della prima partita di Quidditch del nuovo campionato era diventato imperativo negli ultimi giorni. Aveva approfittato del fine settimana per andare dai suoi, per godersi la primavera irlandese - che non era poi così soleggiata e splendente come ci si poteva aspettare - e sbrigare alcune faccende rimaste inconcluse.
Avanzando nel clima uggioso del bosco più vicino a casa sua, Eloise si rendeva conto di quanto tutto quello che servisse. A ogni passo, mano a mano che si inoltrava nella vegetazione, tutto il mondo esterno si faceva più piccolo e distante, un nulla cosmico rispetto alla bellezza delle foglie, alla brezza tra le fronde degli alberi e al profumo di natura che invadeva le narici. Teneva la Gelbsturm in mano, fidata compagna e irraggiungibile amore, e cercava di procedere tenendola al sicuro da minacce vegetali.
Gli arbusti bassi e la vegetazione selvaggia le impedivano di avanzare rapidamente, palesandole con chiarezza che quel luogo si era offeso per essere stato trascurato nei mesi precedenti. Il sentiero si intravedeva a malapena e a ogni passo la Lynch si trovava a scavalcare i rovi con brutalità o a metterli fuori gioco con l’impiego del suo coltellino. Quando muoveva i rami degli arbusti più alti le gocce di pioggia accumulate nei giorni precedenti sulle larghe foglie non tardavano a farsi notare nella loro rapida discesa, schizzandole il viso, la felpa o le mani.
Camminava già da una mezz’ora quando finalmente si iniziò a intravedere il profilo del covo segreto dei fratelli Lynch. Era una casa abbandonata piuttosto grande, su due piani, dalla struttura divorata dal tempo e dall’edera. Nel vederla il cuore di Eloise ebbe un sussulto, lo stesso che può palesarsi nei cuori delle persone quando si rivede un vecchio amico, o un amante. Amava quel posto, che seppur isolato dal resto del mondo la faceva sentire in pace con se stessa, in una dimensione coerente con ciò che era. Quel posto era lei: ci aveva impregnato talmente tanto le sue idee e le sue scelte che era diventato un’espressione del suo essere. Suo e dei suoi fratelli, s’intende.
Negli anni avevano apportato modifiche e migliorie, ma la più geniale erano gli incantesimi difensivi per impedire ai babbani di avvicinarsi: qualora avessero visto la casa avrebbero sentito la necessità impellente di andare in bagno e avrebbero perso qualsiasi desiderio di avvicinarsi ulteriormente, desiderio che sarebbe stato sostituito dalla necessità di tornare alla civiltà e trovare una toilette. Al contempo, sarebbe scattato un allarme in casa - una voce metallica e profonda che ripeteva “intruisi” tre volte. Non era capitato poche volte di usare il binocolo di vedetta, appositamente montato nel sottotetto, per individuare le povere vittime fuggire via a causa dei problemi di vescica. E c’era da rotolare dal ridere.
Giunta davanti alla porta di casa poggiò la mano sul batacchio a forma di trifoglio e quello la riconobbe all’istante, facendo scattare la serratura. Fu accolta all’interno dal solito cigolio, tanto familiare quanto inquietante. Era a casa.
L’interno era in penombra, complici le tende tirate sugli ampi finestroni, ma con un colpo di bacchetta Eloise rimediò all’oscurità e permise alla luce di entrare, ospite ben accetto tra quelle pareti. Sapeva perfettamente di non poter usare la magia fuori Hogwarts, ma quel luogo ne era talmente impregnato che era abbastanza certa che nessuno si sarebbe lamentato. I raggi colpirono l’ampio salone dalle pareti scrostate e dai pavimenti sbriciolati. Chiazze di colore comparivano qui e là: poster dei Kenmare Kestrels, cartelli dipinti a mano, una radio antica, bersagli per freccette, tavoli di legno rozzo coperti di scritte e Trottole Schizzine, Frisbee Zannuti, attrezzatura da Sparaschiocco e tantissimo altro.
La rossa individuò rapidamente la Firebolt e il Kit di Manutenzione per Manici di Scopa che, come Ned le aveva detto, erano vicini al divano. Si lasciò cadere sulla poltrona sfondata lì accanto e appoggiò la Gelbsturm con attenzione, prendendo in braccio l’altra scopa. Alternava sguardi sconsolati a lei e al kit di manutenzione, domandandosi cosa potesse fare per migliorare la situazione. Non sono l’aveva usata come ripiego, non solo avevano perso la partita, ma la malandrina aveva pure deciso di iniziare a fare le bizze. All’ultimo allenamento - il primo dopo la partita, organizzato solo e soltanto per tenere alti gli animi e ricordarsi quanto era divertente svolazzare per il campo - faceva giravolte attorno a Camillo - e quella aveva preso a virare in maniera incontrollata. Non si era mai trovata in una situazione del genere e una voce meschina dentro di lei suggeriva che probabilmente un problema del genere non sarebbe mai successo alla sua Gelbsturm. Aveva provato una manutenzione base, ma temeva che le sue idee creative potessero compromettere la resa del manico, e aveva preferito non rischiare.
Ned - a cui aveva scritto una lettera mezza impanicata - si era detto disponibile a darle una mano, affermando che conosceva la persona giusta in grado di aiutarla. La rossa immaginava stesse parlando di se stesso, visto che passava la maggior parte del tempo a farsi e prendersi i complimenti. Si erano dati appuntamento lì e non si erano detti altro, ma Eloise aveva fiducia nel suo arrivo. Scoccò uno sguardo alla porta, certa che si sarebbe aperta da un momento all’altro.

 
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kapitän
view post Posted on 6/6/2017, 03:25




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Avanziamo in silenzio su un sentiero che sembra abbandonato da lungo tempo. Le case di Galway allineate di fronte all’oceano, le barche coloratissime disordinatamente attraccate al porto, i pub irlandesi con le loro finestre a graticcio verniciate di fresco hanno da un po’ lasciato spazio dapprima ad una verdeggiante campagna, poi ad un bosco che si fa più selvaggio man mano che procediamo.
Gli alberi, in queste umide settimane di primavera, hanno buttato nuove fronde cariche di foglie chiare; l’erba e gli arbusti del sottobosco sono cresciuti rigogliosamente divorando i bordi della stradina, di cui perlopiù non rimane che una traccia, ma in alcuni punti i due fronti della vegetazione si sono incontrati. Un paio di rami spezzati qua e là mi fa pensare che qualcuno sia passato di lì poco prima di noi: i monconi sono verdi e umidi di linfa e non possono essere stati tagliati da molto tempo. Mentre con il pollice ne sfioro uno all’altezza del mio petto, mi stupisco delle mie doti investigative e dico tra me e me che forse sto cominciando a ragionare come un Auror.
Ned Lynch, tre passi davanti a me, apre il percorso agitando la bacchetta come fosse un machete. È un vecchio amico che ha frequentato Hogwarts ad un anno di distanza da me, nella mia stessa Casa e nella mia stessa squadra di Quidditch: fuori e dentro al campo di Volo ne abbiamo combinate delle belle. Più volte mi ha raccontato del suo covo segreto che finora non ho mai avuto l’occasione di visitare – “suo” lo definisce spesso e “suo” deve essere almeno sulla carta, ma mi è sembrato di capire che la proprietà morale di quel luogo appartenga a tutti e tre i fratelli.
Camminiamo senza parlare perché molto di quello che avevamo da raccontarci è stato già detto in un pub in centro di fronte ad una gelida pinta di birra irlandese – tra le cose, il mio nuovo lavoro da Auror – ma forse anche perché la natura ci ispira al silenzio e alla contemplazione. La sosta al bar è anche la ragione del nostro ritardo.
Non mi è molto chiaro che genere di giornata mi aspetti ma la cosa non mi dispiace: quando mi viene proposto di fare qualcosa in compagnia non discuto molto sui dettagli. Ned mi ha detto solo che avremmo incontrato sua sorella Eloise.
C’è piuttosto fresco e spesso rami bassi risparmiati dalla potatura mi frustano gli stinchi, bagnandomi i pantaloni sopra agli scarponi. Non piove, ma gli alberi sono carichi d’acqua dagli ultimi giorni e qualche goccia molesta mi arriva sulle spalle e scivola via sulla giacca di pelle. Sotto porto una maglietta nera con l’immagine di un boccino d’oro che batte freneticamente le ali e la scritta: “I got 99 problems, but a snitch ain’t one”.
La Casa si rivela molto più grande di quanto pensassi. Tra le fronde comincia a delinearsi prima la forma a spiovente del tetto, poi appaiono le finestre di cui, a questa distanza, non posso dire se abbiano i vetri oppure no. Le pareti sono in larga misura coperte da edera e muschio e l’intera abitazione ha un’aria piuttosto trasandata che, nell’atmosfera vaporosa del bosco, non fa che aumentarne il fascino. Quasi mi suscita un brivido, ma un brivido di emozione più che di paura.
Ned si ferma un momento ad ammirarla – sembra quasi di percepire quanto ne sia orgoglioso – e io ne approfitto per dargli una pacca sulla spalla e dirgli quanto mi piaccia.
Ci avviciniamo alla porta che è ornata da un trifoglio di metallo, come un pomello, a cui il padrone di casa si avvicina per azionare il meccanismo che apre magicamente l’uscio. Degna caverna delle meraviglie per giovani maghi, la stanza in cui mi ritrovo è piena di giochi, poster di squadre di Quidditch, e confortevoli divani.
Affondata in una poltrona consunta c’è una ragazza con un viso snello e pieno di lentiggini, simile nei lineamenti a quello di Ned; è volta verso di noi e la sua espressione, prima ancora che possa reagire al nostro ingresso, sublima un’aria di giovanile ilarità e ironia sottintesa. Indossa una comoda felpa che, insieme alla posa abbandonata, lascia pensare che in quell’ambiente sia molto a suo agio. È Eloise, non ho dubbi a riguardo. Io e lei ci siamo incrociati per poco ad Hogwarts ma non abbiamo avuto occasione di approfondire la conoscenza per la grande differenza d’età; da allora è cresciuta come solo le ragazze crescono in quegli anni che separano l’infanzia dall’adultità. Tiene in grembo una Firebolt, ma la mia attenzione è catturata dall’altra scopa, una Gelbsturm nuova fiammante, o perlomeno conservata con attenzione religiosa.
Non posso non lasciarmi sfuggire un fischio di sorpresa e, dimentico delle buone maniere, dire: «Bel manico di scopa!». Rendendomi subito conto della mia scortesia, cerco di rimediare aggiungendo: «Ciao Eloise, come stai?». Nel frattempo tendo una mano, incerto se il nostro grado di conoscenza richieda di presentarsi oppure no.

HP 172/172 ♦ body 120/120 ♦ mana 120/120 ♦ EXP 26

 
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view post Posted on 14/6/2017, 17:21
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ovWScZVLa superficie liscia del manico di scopa scorreva sotto i polpastrelli di Eloise come seta. Arrivata alla coda, la sua mano indugiò qualche istante, sorpresa dalla precisione con cui ogni bastoncino di legno era stato levigato e posizionato accanto ai suoi fratelli. Il pollice andò a pizzicare uno dei ramoscelli e ne verificò durezza e rigidità, constatando che tutto era come doveva essere: sembrava che l’unico problema della Firebolt fosse di ordine affettivo, lo stesso di chi si offende per essere stato messo in secondo piano.
Era la prima volta che si soffermava a guardare le sfumature di marrone che tingevano ogni suo millimetro, ed era la prima volta che riusciva a vederne la bellezza. Tra gli estenuanti allenamenti, le audaci piroette e le emozioni della partita, lei e quel manico ne avevano viste delle belle. E forse era stata troppo severa nei suoi confronti: la Firebolt era una scopa più che dignitosa, ma lei era talmente innamorata della Gelbsturm che era stata cieca davanti a questa verità. Come un’amante non corrisposta, la Firebolt gliel’aveva fatta pagare, iniziando a fare le bizze e a destabilizzare i suoi voli.
Il ticchettio dell’orologio, l’unico suono nel silenzio di quella casa persa nel bosco, si fece talmente opprimente che Eloise sollevò lo sguardo per vedere che ora fosse. Le quattro e dieci, segno che Ned era in ritardo. La cosa non la preoccupò, visto che era ritardatario di natura e che il loro quartier generale era lo scaccia-noia per antonomasia.
I suoi occhi indugiarono per qualche istante sulla cornice spessa attorno all’orologio: era divisa in quattro quadranti, uno per ogni quarto d’ora, ognuno del colore predominante di una delle Casate di Hogwarts. Al suo interno c’erano tre cerchi, ognuno dei quali portava la faccia di uno dei fratelli Lynch: in base allo stato d’animo del soggetto, il cerchietto si spostava verso una o l’altra Casata. Quello di Ned, che probabilmente stava facendo leva sulla sua spavalderia per raccontare qualche aneddoto, aleggiava nell’area Grifondoro. Quello di Jared, che senza ombra di dubbio era concentrato e alle prese con lo studio, era in area Corvonero. Il suo, che non stava facendo nulla di particolare rispetto al solito, era nella zona Tassorosso. Un modo banale per descrivere le caratteristiche di ogni Casata, ma che permetteva a tutti e tre di tenersi d'occhio a vicenda.
Con uno scatto secco i ganci che tenevano chiuso il Kit di Manutenzione per Manici di Scopa si aprirono per svelare il contenuto, e la rossa non riuscì a trattenere un mugugno di preoccupazione. Era la prima volta che ne studiava i prodotti con attenzione: l’aveva usato solo una volta, prima dello scontro con i Corvi, e si era limitata a sistemare i rametti fuori posto con un attento uso delle Forbici Ciuffi-Ciuffi d’Argento. Ricordava che aveva trovato quel nome rivoltante e inappropriato, come se fossero nate per pettinare gli unicorni. Per il resto, tutta l’attrezzatura all’interno della valigetta era immacolata, sigillata nel caso del Lucido “Il Quercione” e priva di segni nel caso del Manuale Fai-Da-Te. Ne stava osservando la copertina, domandandosi se al suo interno avrebbe trovato la risposta ai suoi problemi, quando la porta si aprì per far entrare i visitatori nel covo.
Perdendo ogni interesse per gli strumenti del mestiere, Eloise sollevò lo sguardo e studiò il loro ingresso. Il primo fu Ned, con la sua solita zazzera di capelli rossi e il volto illuminato da un sorriso smagliante. I tratti del viso e le movenze erano i medesimi di Eloise, cosa che li faceva assomigliare pericolosamente.
«È stata colpa dei Plimpli Ghiottoni» Esclamò, mettendo le mani avanti. «Ci hanno bloccati e volevano mangiarci.» Eloise sapeva benissimo che stava tirando su una scusa bella e buona, e per questo non fece altro che sbuffare, mentre allungava il collo per cercare di capire chi fosse il fantomatico esperto che suo fratello aveva deciso di portare.
Fu sorpresa dal riconoscere un volto noto varcare la soglia del loro quartier generale, perché mai si sarebbe aspettata di veder entrare Christopher "K" Channing. Certo, lui probabilmente non aveva idea di chi fosse lei, ma lei sapeva benissimo che era lui quello che si occupava di prendere i boccini prima che Mya ricoprisse quel ruolo. Era un abile giocatore, un pilastro della Squadra e, da quanto sapeva, un Tasso fino al midollo.
Un impercettibile ghigno le incurvò le labbra prima che potesse bloccarlo: non avrebbe mai prestato tutta quella attenzione alla sua esistenza se non fosse stato per una giovane Grifa che seguiva Erbologia con lei al Primo Anno, e che era ossessionata da “K”, come lo chiamavano tutti. Talmente ossessionata da stressarla ad ogni lezione nella speranza che Eloise, Tassorosso a sua volta, potesse fare qualcosa per avvicinarli. Questo era fuori discussione, visto che lei non aveva quasi mai a che fare con i più grandi e che non le andava proprio di passare per l’invasata di turno. L’unica volta che si era prestata alle sue ottuse proposte era stato per recapitargli un bigliettino in dormitorio, uno di quei cartoncini colorati ricoperti di cuori rosa e profumo. Che poi in quell’occasione ne avesse approfittato per introdurre delle Pallottole Puzzole sotto il letto di un suo compagno di stanza, quella era un’altra storia. Non ricordava il nome della Grifa, né aveva idea di che fine avesse fatto, ma di sicuro sapeva che al posto suo, ora, sarebbe morta dall’emozione.
Si riscosse dal flusso dei ricordi solo al suo commento sulla Gelbsturm, e si rese conto che in quell’arco di tempo Ned era riuscito a stappare tre Burrobirre e sedersi su uno degli sgabelli accanto al loro “bancone” personalizzato.
«Quella sì… Questa un po’ meno.» Disse Eloise sbuffando e alzandosi in piedi. Tenne la Firebolt salda nella sinistra, mentre la destra andava a stringere la mano dell’ex-Tassorosso. Buffo modo di presentarsi, quello dei grandi. «Ciao, K.» Fino a prova contraria, era così che lo chiamavano tutti. Lei non voleva essere da meno. Lo guardò negli occhi per qualche istante, cercando di inquadrare il tipo di persona con cui aveva a che fare. Il volto era affabile, le labbra sorridenti: parevano esserci i presupposti adeguati per un’amicizia sincera con suo fratello. «Non c’è male, tu?» Risposta di circostanza a una domanda che probabilmente lo era a sua volta. Senza indugiare oltre, Eloise si diresse verso il bancone, prendendo posto accanto a Ned e appoggiando il manico di scopa sulla superficie. Si sentiva come un chirurgo davanti a un’operazione.
«Allora, Ned dice che potresti sapere qualcosa in più di noi sulle scope e sulla loro manutenzione. Ti ha già spiegato il problema?» Spostò una Burrobirra verso il posto in cui probabilmente K si sarebbe seduto, e portò la sua alle labbra. Lanciando uno sguardo in tralice a Ned nella speranza di scoprire quanto gli avesse raccontato, non si sorprese nel vedere che faceva il vago. Tipico di suo fratello.


Giusto per orientarti...
 
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kapitän
view post Posted on 26/6/2017, 22:45




ZMqR484

«È stata colpa dei Plimpli Ghiottoni, ci hanno bloccati e volevano mangiarci».
Dapprima sorrido di fronte all’espressione scusereccia di Ned, che mette le mani avanti come uno studente sorpreso a copiare in flagranza. Poi cerco di ricompormi per stare al gioco, e aggiungo spalancando gli occhi e annuendo con simulata convinzione: «Erano decine, forse centinaia. Siamo fortunati ad esserne usciti illesi». Nel frattempo mi chiedo cosa siano esattamente i Plimpli Ghiottoni, se siano reali o una leggenda del Cavillo, e che aspetto abbiano presumibilmente. Spero che non mi chiedano di descriverli, perché dovrei inventare di sana pianta.
Il poliziotto cattivo, nel nostro caso, è l’orologio, che documenta il nostro ritardo con inflessibile precisione. A proposito, mi giro un po’ attorno in cerca di un orologio da parete (al polso non lo porto quasi mai - a che serve, quando la puntualità non è una priorità?). Ne trovo uno alle mie spalle, vicino alla porta di ingresso, ma non sono certo che sia un orologio. Non nel senso stretto del termine, almeno: ha un bordo suddiviso in quattro quadranti che sembrano rappresentare le Case di Hogwarts e tre cammei raffiguranti i fratelli Lynch. Ciò che mi lascia perplesso è che non si trovino tutti sui colori di Tassorosso, e mi domando che significato abbia.
Nel frattempo colgo più dettagli del quartier generale: vi sono numerose comode superfici su cui rilassarsi e dalle finestre entrano raggi di luce filtrati dalle fronde degli alberi che circondano la villetta; non si può dire che la sala non sia luminosa. L’open space è in qualche modo separato da un angolo cucina, ma senza opprimenti pareti, e il bancone che riesco solo a intravedere, e verso cui si sta dirigendo Ned, dà all’ambiente un intimo aspetto da bar o taverna, completato dal bersaglio per freccette appeso alla parete vicino alla porta sul retro.

«Quella sì... Questa un po’ meno» risponde la ragazza alla mia esclamazione. Be’, la scopa „non bella“ è una Firebolt in ottime condizioni. Eloise la tiene in mano con cura, ma c’è qualcosa, una distanza prossemica, uno sguardo annoiato, uno sbuffo infastidito, e la particolare enfasi con cui si è soffermata sul contrasto con la Gelbsturm, tutti indizi che mi lasciano intendere che il suo rapporto emotivo con il manico di scopa sia difficoltoso.
Si alza per venire a stringermi la mano - sembra che un lieve imbarazzo sia presente da entrambe le parti, ma per quanto si possa dire di una persona conosciuta da pochi secondi i nostri caratteri sembrano compatibili - e mi dice: «Ciao, K. Non c’è male, tu?»
«Alla grande» rispondo a mia volta con uno sguardo luminoso.
Devo ammettere a me stesso che so molto poco di lei, sarà per quella strana abitudine per cui a scuola ci si interessa più spesso ai compagni più grandi che ai più piccoli. Ned mi ha qualche volta raccontato qualcosa della sua famiglia, ma solo in quei rari momenti in cui ci fingiamo adulti e intratteniamo discorsi „impegnati“. È un’appassionata giocatrice di Quidditch, ma non è necessario essere detective per rendersene conto: lo dice il modo in cui maneggia la Firebolt, lo dicono i poster affissi alle pareti, lo dice - lo grida, per la barba di Merlino - il campo di allenamento nel cortile sul retro, che cerco di intravedere spiando fuori dalle finestre; Ned se ne è tanto vantato da gonfiare la mia curiosità. Tutti questi indizi non sarebbero in realtà necessari perché, se la genetica conta qualcosa, la giovane Lynch non può essere tanto diversa dal fratello.
Marcia con fare deciso verso il tavolo dove Ned si è accomodato, si siede, e con chirurgica attenzione posa il manico di scopa sulla superficie. L’atmosfera ha un che di sospeso, ho come l’idea che Eloise si aspetti qualcosa da me, e cerco di mantenere un’espressione di rilassata indifferenza per mascherare lo sguardo da Labrador confuso. Approfitto dell’invitante tacita offerta della Burrobirra appropriandomi dello sgabello di fronte a cui è stata appoggiata.
«Allora, Ned dice che potresti sapere qualcosa in più di noi sulle scope e sulla loro manutenzione. Ti ha già spiegato il problema?».
A questo punto è improbabile ch’io riesca a contenere la sorpresa. Mi giro verso Ned con fare accigliato, mentre lui prende un sorso ec-ces-si-va-men-te lungo di Burrobirra, palesemente per evitare la conversazione. Forse si è dimenticato di dirmelo, forse ha pensato che non mi sarei preso questa responsabilità (e forse aveva ragione di pensarlo), ma ormai sono in ballo e mi vedo costretto a rispondere.
«In realtà non mi ha detto proprio nulla» dico infine con tono di rimprovero. «E io non sono neanche lontanamente un esperto, mi occupo solo della manutenzione della mia scopa. Non prometto niente, ma prova a spiegarmi qual è il problema».


HP 172/172 ♦ body 120/120 ♦ mana 120/120 ♦ EXP 26

 
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view post Posted on 5/7/2017, 11:18
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ovWScZVLo sguardo di K non poteva essere più esplicito: era chiaro che l’informazione non gli era arrivata in maniera efficace, che non aveva avuto gli strumenti sufficienti per comprendere quale fosse il suo ruolo lì. E le parole che pronunciò poco dopo furono la conferma di quell’ipotesi di cui Eloise era così sicura.
Seguì lo sguardo del suo interlocutore fino a incontrare il volto di Ned. Era inutile fare il vago e sorseggiare la Burrobirra come se non fosse successo nulla di strano, perché sua sorella sapeva perfettamente che gli stava passando per la testa. Lo conosceva troppo bene. Lei sorrise, i lineamenti angelici a formare una faccia di bronzo invidiabile, in attesa. Non ce l’aveva con lui, anzi, se l’era aspettato che si dimenticasse dei passaggi, ma adorava vederlo arrampicarsi sugli specchi.
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«Ma no, ma che, cosa dici…! Non ricordi, prima dicevo che c’era un bisogno… E-ehm, sì, legato al volo… Sì, della scopa!» Arrancava e lanciava sguardi a K per ottenere il suo sostegno, ma Eloise non escludeva che si fosse dimenticato ogni elemento del problema.
Tra loro era sempre stato così.
Eloise ricordava con chiarezza un episodio risalente ad almeno otto anni prima, in cui era stata lasciata nel bel mezzo di un bosco sconosciuto mentre erano presi dalla ricerca di Bobotuberi. Ned aveva letto - probabilmente sul Settimanale delle Streghe di qualche amica - che avrebbe potuto migliorare lo stato della sua acne adolescenziale, e l’aveva coinvolta nella ricerca del vegetale. Salvo poi dimenticarsi della sua presenza: lei era rimasta a vagare per il territorio boschivo irlandese finché non aveva ritrovato la strada per casa di nonna Cindy - che non era così distante come aveva pensato. Era tornata stanca, arrabbiata e infangata ma, a seguito di qualche insulto e una lavata di capo da parte della nonna, quell’episodio era diventato un’arma nelle mani di Eloise. Ogni volta che Ned dimenticava qualcosa, la Lynch non perdeva l’occasione per punzecchiarlo riportando a galla quella vecchia storia.
Non aveva poi sofferto così tanto, anzi, aveva scoperto che il suo senso dell’orientamento non era così scarso, ma lei e Ned avevano fatto di quell’episodio - e dei numerosi che seguivano - un gioco fraterno.
«Che ti vada di traverso la Burrobirra...» Escalmò, sbuffando, con voce atona. Tornò a volgere lo sguardo verso l’ospite ed esperto, venuto lì espressamente per badare alla scopa, e non per sentire le loro scaramucce. Sul volto di Eloise era comparso un ghigno, il ghigno, segno che nel suo scambio con suo fratello non c’era stata alcuna serietà. Anche lui, mentre si alzava e allontanava con la scusa degli gnomi in giardino, sorrideva.
Finalmente la rossa riuscì a focalizzare la sua piena attenzione sul problema che le premeva. Sette anni e passa di volo e manutenzione della scopa erano un’esperienza notevole, decisamente meglio di ciò che lei aveva a sua disposizione. Forse non era un vero esperto, ma era probabile che riuscisse a darle qualche strumento in più.
Bevve un sorso di Burrobirra, fece un leggero sospiro e si accinse a raccontare.
«È iniziato tutto durante l’allenamento dopo lo scontro con i Corvonero. Partita che abbiamo perso...» Si erano ritrovati in campo insieme al gruppo sparuto degli sconfitti gialloneri e avevano cercato una nuova energia positiva e un nuovo stimolo per risalire a cavallo delle scope. Era forse la prima volta che salire sul suo manico non la metteva di buon umore, ma aveva deciso che il Vice-Capitano non poteva permettersi di assentarsi. Lo doveva a Horus, con cui aveva condiviso ogni goccia di delusione, e al resto della Squadra. «All’inizio è andato tutto bene, sembrava tutto regolare, ma d’improvviso la Firebolt ha iniziato a fare le bizze.» Lo ricordava con chiarezza: una volta ad alta quota il peso che le opprimeva il cuore si era alleggerito e, più che fare la musona e stare a rimuginare su quanto erano stati sfigati, si era messa a fare l’idiota. Aveva volato vicinissima alla testa di Camillo, spettinandogli i capelli dall’alto e urlandogli idiozie, ed era accaduto. «In un primo momento ha sbandato, si è messa ad andare a zig-zag, e ho creduto che qualcuno mi stesse facendo uno scherzo...» Si era guardata attorno, aveva cercato di capire se ci potesse essere qualche malandrino, ma non avevano pubblico - chi voleva vedere l’allenamento dei perdenti? - e nessuno dei suoi compagni aveva la bacchetta con sé. «Ma non era così. Lì per lì si è calmata, ma poi ha iniziato a fare come un cavallo imbizzarrito, come se volesse disarcionarmi.» A tratti il Campo di Quidditch era diventato la location di un rodeo, e solo avvinghiandosi prepotentemente al manico era riuscita ad evitare di cadere. «E poi, quando ha deciso che andava bene così, si è inchiodata. Non andava più avanti, se non ai due allora. Qui, come un mulo ostinato.» Armandosi di una pazienza da far invidia al più tollerante dei Tassorosso, era scesa e aveva abbandonato l’impresa. «Le volte successive in cui l’ho provata ha ripetuto questi atteggiamenti in ordine sparso...» Fine del racconto. Qualsiasi intervento istantaneo da parte di esterni burloni era da escludere, ma Eloise aveva ben poche ipotesi sull’origine del problema.
«Hai qualche indizio? È stata manomessa? Non ho mai visto una roba del genere!» Si stava affidando lui, con la stessa aria smarrita che aveva assunto quando era stata abbandonata per i boschi. Ma, almeno per questa volta, qualcuno era lì per darle supporto.

 
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kapitän
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ZMqR484

Assisto silenziosamente allo scambio di battute tra i due fratelli, girando la testa ora verso l’uno, ora verso l’altra quando parlano. Non sono nuovo a queste dinamiche famigliari e so bene che è meglio lasciare che si esauriscano nel modo più naturale.
«Ma no, ma che, cosa dici…! Non ricordi, prima dicevo che c’era un bisogno… E-ehm, sì, legato al volo… Sì, della scopa!»
Anche quando Ned si rivolge a me cercando il mio supporto, rispondo allo sguardo sbarrando gli occhi, senza fiatare, scuotendo leggermente la testa come a dire no, no, non mi risulta. Ma il sorriso a denti scoperti che non riesco a trattenere tradisce il fatto che sto godendo di questa piccola vendetta.
«Che ti vada di traverso la Burrobirra...»
La scaramuccia si conclude quando Ned si alza con qualche scusa e lascia soli me ed Eloise a parlare di scope.
Dal suo sguardo mi sembra evidente che il problema la disturba parecchio, e posso capirlo perfettamente: per gli appassionati un manico di scopa diventa molto più di un mezzo di locomozione; è un compagno di viaggio e di avventure, e assume quasi la connotazione affettiva di un animale o una persona.
Io ho sempre giocato a Quidditch, mi è sempre piaciuto. A Hogwarts adoravo festeggiare le vittorie con la squadra Tassorosso. Ma la mia vera passione è sempre stata il volo. In sé. Non lo sport di squadra, ma l’emozione di sfrecciare nell’aria, di sfidare i venti e fare le capriole tra le nuvole.
I miei ricordi migliori sono le estati passate a solcare i cieli della Scandinavia e della Scozia in sella al mio manico di scopa, solo nella natura incontaminata.
Le parole della ragazza mi riportano al presente.
«È iniziato tutto durante l’allenamento dopo lo scontro con i Corvonero. Partita che abbiamo perso...»
Storco leggermente e involontariamente il naso, come hanno potuto perdere contro i Corvonero? Ma non la interrompo; che diritto ho di mettere il naso negli affari del Castello? Ho lasciato la scuola da ormai più di due anni e, si sa, la vita, là, va avanti senza di me. Non so più chi gioca nell’una e nell’altra squadra, e questi pensieri mi danno un po’ di dispiacere.
«All’inizio è andato tutto bene, sembrava tutto regolare, ma d’improvviso la Firebolt ha iniziato a fare le bizze. In un primo momento ha sbandato, si è messa ad andare a zig-zag, e ho creduto che qualcuno mi stesse facendo uno scherzo...»
Prendo un lungo sorso di Burrobirra, perché già comincio ad intuire che non avrò la più pallida idea di cosa consigliarle. Nel frattempo annuisco per segnalare che sto seguendo il discorso.
«Ma non era così. Lì per lì si è calmata, ma poi ha iniziato a fare come un cavallo imbizzarrito, come se volesse disarcionarmi. E poi, quando ha deciso che andava bene così, si è inchiodata. Non andava più avanti, se non ai due allora. Qui, come un mulo ostinato».
Effettivamente sembra un grosso problema, e molto strano. In tanti anni non mi è mai capitata una cosa simile, e la prima cosa che verrebbe da pensare è che qualcuno stesse lanciando un Malocchio sulla scopa…
«Le volte successive in cui l’ho provata ha ripetuto questi atteggiamenti in ordine sparso... Hai qualche indizio? È stata manomessa? Non ho mai visto una roba del genere!»
Rimango in silenzio per qualche secondo, fissando il bancone con aria seriosa. Poi prendo un altro sorso di Burrobirra.
«Quello che descrivi è un comportamento del tutto inusuale; capisco perché tu abbia inizialmente pensato che fosse manomessa. Ma non credo che sia così…»
No, non credo che si tratti di uno scherzo. Una fattura avrebbe un effetto limitato nel tempo, oppure sarebbe facile da individuare. Ho piuttosto l’impressione che qualcosa, nel rapporto tra la Firebolt e la pilota, si sia incrinato. Alla ricerca di un evento che possa avere scatenato una simile reazione, mi domando se la partita persa possa aver avuto un ruolo, ma sembra improbabile: sicuramente non è la prima partita andata male per la giovane Lynch, e non ho mai visto una scopa reagire così ad una sconfitta sul campo.
«Un manico di scopa, un po’ come una bacchetta magica, è un oggetto capace di incanalare il potere di un mago. Io credo che tra mago e scopa si venga a creare un rapporto intenso, che ha molta influenza sulla performance».
La guardo per un attimo, cercando di intendere dal suo sguardo se stia tenendo il filo del mio discorso o se si stia convincendo che sono pazzo. Mentre parlo, gesticolo abbondantemente e mi soffermo di volta in volta per cercare le parole migliori.
«A volte verrebbe da pensare che un manico di scopa abbia… una personalità propria. Ora, se questa sia una caratteristica della scopa o un… riflesso dell’umore o del carattere del proprietario, non so dirlo. Però non è così importante. Qualcuno pensa anche che al manico rimanga qualcosa del fabbricante. A proposito, sapevi che la Firebolt è prodotta dal Goblin?»
Dopo quest’imbarazzante tentativo di spezzare il flusso di pensieri (e completamente convinto che ormai mi creda pazzo), prendo l’ennesimo sorso dalla bottiglia.
«C’è qualcosa, un evento, un pensiero, una preoccupazione, che potrebbe aver cambiato il tuo rapporto con la Firebolt?»


HP 172/172 ♦ body 120/120 ♦ mana 120/120 ♦ EXP 26

 
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view post Posted on 22/8/2017, 16:41
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ovWScZVGli istanti di pausa che seguirono il suo racconto furono, agli occhi di Eloise, ricchi di attesa. Non sapeva cosa aspettarsi dall’intervento esperto di K, né prevedeva di riuscire a risolvere il problema con uno schiocco di dita, ma sperava di poter ricostruire - o più semplicemente creare - quel ponte grazie a cui le sue performance a cavallo della Firebolt avrebbero funzionato per davvero. Prese un abbondante sorso di Burrobirra, lasciando che le bollicine le solleticassero le narici, e tornò ad appoggiare la bottiglia sul tavolo con un piccolo tonfo. Trovare l’incognita di quell’equazione non poteva essere semplice quanto trovare l’antidoto a una pozione blanda: la rossa sentiva che doveva richiedere sforzo e allenamento, altrimenti - aveva fiducia - sarebbe già stata sulla buona strada per trovare una soluzione.
Ascoltò la voce profonda del suo interlocutore escludere possibilità e presentare motivazioni plausibili. Concentrata sulle sue parole, si appoggiò con i gomiti sul piano e iniziò ad accarezzare con i polpastrelli della mano destra il legno liscio della Firebolt. Non si stupiva che la maledizione, o il malocchio, fosse un’opzione da eliminare: era un’ipotesi blanda, immediata e ingiustificata. Eloise Lynch non era certo il tipo da farsi nemici tra le schiere degli avversari, né aveva mai dato a nessuno ragione di prendersela con lei. Certo, si sarebbe potuta trattare di una vendetta riguardo a qualche sua malefatta, ma non credeva davvero che metterla in difficoltà durante un allenamento potesse essere una possibilità soddisfacente. No, convenne la rossa annuendo alle parole di K, doveva trattarsi di altro.
E se si metteva a pensare alla relazione che intercorreva tra lei e la Firebolt, cosa veniva fuori? Probabilmente avrebbe fatto congelare il sangue nelle vene di qualsiasi produttore di manici di scopa, giocatore o allenatore di Quidditch. Lei l’aveva bistrattata, snobbata, confrontata alla Gelbsturm e denigrata, trattandola come un calderone sfondato o un telescopio dal vetro rigato. La promessa che sarebbero bastate due semplici partite per soddisfare il suo desiderio di mettersi a cavallo del migliore manico di scopa sul mercato, poi, non faceva che alimentare il distacco verso l’unico manico valido che poteva effettivamente usare. Probabilmente non c’era modo peggiore di porsi nei suoi confronti, considerò la rossa sconfortata, ed era altrettanto plausibile che non si sarebbe mai permessa di trattare la sua bacchetta magica in egual maniera.
Il suo sguardo indugiava sui lineamenti di K, mentre la sua mente soppesava la possibilità che quelle ipotesi potessero essere tanto veritiere e affidabili quanto lo era la Divinazione: in linea di pensiero con il resto della sua famiglia, Eloise non si era mai mostrata propensa a credere nella veridicità di quella disciplina, né pensava di poter iniziare in quel momento. Eppure quello era il suo unico vero appiglio, l’unica possibilità valida e non sondata che finora le era giunta alle orecchie. Aveva forse altri strumenti? No, le parole di K e la sua esperienza era tutto ciò che aveva a disposizione.
Come colpita dalla consapevolezza che la Firebolt stesse provando una sorta di astio nei suoi confronti, la mano di Eloise interruppe il contatto con il manico e tornò a poggiarsi sulla bottiglia. Prese un altro sorso e, una volta buttato giù, si mise a giocherellare con l’etichetta, grattandola via in uno degli angoli.

«Dei Goblin non ne avevo idea, ma se è così allora non mi stupisco del suo temperamento...» Sollevò un sopracciglio con aria divertita, pensando che quella le pareva l’opzione più campata per aria tra tutte quelle presentate dall’esperto. Fu contenta di poter aggiungere quell’informazione alle sue conoscenze riguardando al mondo del Volo, sebbene la sua parte più ambiziosa la punzecchiasse e le dicesse che avrebbe dovuto saperlo. La mise a tacere, dicendosi che l’onniscenza non era proprio nelle sue corde.
«Qualcosa c’è.» Con un sospiro si appoggiò allo schienale e si accinse a sganciare il resto della storia, il punto cruciale della questione. Non si sentiva in imbarazzo davanti a K, ma osservandolo per qualche istante percepì il distacco esperienziale che li separava: si sentì una sciocca ragazzina alle prime armi, e non aveva per niente voglia di essere compatita. «Diciamo che non l’ho presa esattamente bene, questa sconfitta. Era la mia prima.» Fece una smorfia e si ostinò a guardare la Burrobirra, che certamente era più apatica del suo interlocutore. Non le piaceva parlare di queste cose e di sentimenti con tanta serietà, ma era inevitabile, se volevano provare a risolvere il problema. «Essendo Vice-Capitano e avendo perso per un soffio l’occasione di segnare prima del fischio di fine… Beh, insomma, puoi immaginare. Probabilmente con lei avrei raggiunto l’area di tiro.» Il suo pollice indicava la Gelbsturm e il suo tono di voce si era leggermente abbassato, come se stesse cercando di non ferire i sentimenti della sua rivale.
Era probabilmente un legame spezzato il denominatore comune di tutti quei problemi, e non restava che trovare un modo per provare a riallacciarlo. Batté con leggerezza la mano sul tavolo.
«Allora, dottore, cosa raccomanda?»

 
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MURMURATIONI dreamed I flew with the saints last night
I know them all by wing size
And up there it just doesn’t count for naught
Whether you’re clever or wise
When everyone is talking at the very same time
I’ll still hear your voice, my dear

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disponibile qui



Edited by Nih . - 25/1/2021, 13:07
 
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I'm ready to go anywhere,
I'm ready for to fade
Into my own parade

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L’aria della sera solleticava le cime degli alberi, mentre le ultime luci del giorno lasciavano spazio alle prime stelle, che già si intravedevano nelle zone più scure del cielo. Frullii d’ali provenienti da punti indefiniti si mescolavano al frusciare delle foglie, in un ritmo scandito dai passi cadenzati della più giovane tra i fratelli Lynch. Camminava solitaria nel bosco, ma il terreno scosceso e i sentieri sconnessi erano scolpiti nella sua memoria tanto profondamente da consentirle un’andatura spedita.
Fin da quando la Passaporta che l’aveva condotta da Diagon Alley a Galway si era messa in marcia, fermandosi un’unica volta per ammirare i colori del tramonto oltre le sommità scure dell’area boschiva. Individuate finalmente le luci calde provenienti dal Quartier Generale, scorte le figure umane oltre i quadrati accesi delle finestre, aumentò il passo, azzerando le distanze tra lei e la porta della casa diroccata e affidando al batacchio a forma di trifoglio il compito di riconoscerla.
Il fragore delle voci raggiunse le sue orecchie un istante prima di comprendere che il freddo che sentiva alla mano derivava dalla Burrobirra ghiacciata che le era stata appioppata. L’atmosfera era calda e vivace, chiassosa e allegra, e gli schiamazzi facevano il paio con quelli delle serate più festose in Sala Comune Tassorosso. Si sentì a casa.
Frugò nello zainetto che aveva con sé con la mano che le era rimasta libera, individuò il bottino che aveva procacciato ai Tiri Vispi e lo lanciò a Ned: era una scatola di Fuochi d’Artificio da Stanza di Filibuster, che aveva arraffato poco prima di concludere il suo turno pomeridiano. Il fratello non ebbe bisogno di spiegazioni: incendiò la miccia e quelli presero a tracciare ghirigori di luce per tutto lo stanzone, gravitando intorno alle teste della gente. Jared, poco più in là, era talmente immerso in una concitata dissertazione dedicata a uno dei suoi cavalli di battaglia - la superiorità dell’arte pozionistica rispetto alle bacchette - da non accorgersi di nulla. Eloise ghignò, provando pietà per la ragazza che lo stava ascoltando, e bevve un lungo sorso della Burrobirra che le era stata destinata.
Era Ned la vera anima della festa: in seguito a un lungo periodo di gavetta, si preparava a un tirocinio all’estero, uno step che i suoi capi avevano definito essenziale nel suo apprendistato da Spezzaincantesimi. Pur restando a una Passaporta di distanza, lo attendeva un periodo impegnativo, in cui il lavoro avrebbe richiesto gran parte del suo tempo. Ecco la ragione di quella festa di addio alla sua compagnia di amici, la cui location non era neanche stata messa in discussione. I due Lynch più giovani erano soliti presenziare a serate come quella - divertendosi non poco - e il resto della compagnia era composta in buona parte da amici storici, ma anche conoscenti dell’ultimo minuto e amici di amici. Eloise rivolse un saluto a quelli che conosceva meglio, individuando altri volti noti solo a una seconda ricognizione. Tra questi, c’era anche Geralt Lennox: gli dedicò un cenno fugace e leggermente imbarazzato, le dita strette al vetro della bottiglia.

Le luci del tramonto si erano ormai spente, e la penombra della serata aveva accolto i suoi inquilini. Erano passate un paio d’ore, parecchie Burrobirre erano state bevute, numerose canzoni erano state intonate e ripetuti brindisi si erano susseguiti. Con l’innalzarsi del tenore alcolico erano aumentati anche gli schiamazzi nei pressi del pergolato esterno, e qualche birichino aveva finito per imboscarsi nella selva. Altri, non necessariamente più sobri, erano coinvolti in conversazioni accorate. Eloise si era presa una pausa temporanea dal flusso inarrestabile della festa, e fissava le fiamme nel caminetto con cupo interesse, rimuginando sulle ceneri che avevano afferrato il suo foglietto bruciato a Natale.
Era dall’incontro con lo specchio che aveva sentito un peso gravare sulle spalle, come se di punto in bianco le fosse stato chiesto di prendersene carico. Ma se aveva compreso qualcosa di quell’oggetto incantato, quel fardello era sempre stato lì, e si era aggravato negli ultimi tempi: l’Eloise appesa non aveva fatto altro che puntare il dito in quella direzione, e darle coscienza del macigno che rappresentava. E le aveva suggerito schiettamente che, per quanto cercasse un senso nel sopportarlo, avrebbe fatto meglio a toglierselo di dosso.
«Qual buon vento.» La voce sorniona e sorridente che aveva pronunciato quelle parole proveniva da un punto imprecisato alle sue spalle, ma Eloise aveva ben chiaro a chi appartenesse. Era tutta la sera che cercava una scusa per stabilire un dialogo, ma aveva qualche difficoltà a trovare un momento adatto a non farsi sentire da altri. E sollevare la richiesta di parlare in privato era un’ipotesi fuori discussione.
Quando si voltò, Geralt le stava porgendo un bicchiere da taverna con un’espressione indecifrabile, complici le fiamme che gettavano ombre ballerine sul suo volto. Accettò l’offerta allungando la mano, e considerò che neanche per lui sarebbe stato semplice decifrare la sua: camminavano nel territorio neutro del Fuoco, un Elemento che non apparteneva ad alcuno.
Fece tintinnare i bicchieri, portando alla bocca quello che scoprì essere un gin tonic semplice. Forse per l’imperativo di trovare qualcosa da dire, il suo sguardo fu distratto da un movimento alle spalle del giovane: suo fratello Ned era preso da una danza irrefrenabile, un casco da Quidditch in testa, il bicchiere in mano che gettava grandi ondate di liquido a destra e a manca. Era una fortuna che almeno lui fosse dotato con gli incantesimi casalinghi. «Sempre sobrio.» Inclinò le labbra, soddisfatta della scena, mentre una voce acuta dentro di sé le dava della stupida per aver subito spostato l’attenzione su faccende futili. Voleva approfittare di quel momento per parlare con Geralt, e non aveva certo l’intenzione di mettersi a sproloquiare sul nulla.
Fu una fortuna che il suo interlocutore avesse parecchi anni in più, e che fosse dotato della capacità di mantenere il polso della situazione. Dopo essersi appoggiato al bracciolo di una delle poltrone sfondate, giunse al nocciolo della questione in un attimo. «Allora… Hai sperimentato qualcosina?» Eloise si prese qualche istante per osservarlo, godendo di quel momento che aveva atteso da tanto. Aveva condotto le sue ricerche sull’identità di quell’amico di Ned, tratteggiando a grandi linee la storia che legava la sua famiglia al Quidditch, e domandandosi se ci fossero connessioni tra loro e gli elementi - salvo scoprire, in un secondo momento, che quella dell’Elementalismo (così l’aveva definita il suo Geralt) non era una magia legata al sangue, ma si manifestava causalmente nello stesso modo della Metamorfomagia. Essendo Geralt l’unico mago dotato di tale Elementalismo e annoverabile tra i suoi conoscenti (o meglio: di coloro di cui conosceva l’abilità), interpellarlo sul tema le sembrava la strada migliore da percorrere - anche senza considerare che aveva conquistato la sua simpatia da tempo. Primo, perché si era presentato a un'amichevole di Quidditch con un Boccino d'Oro originale, e secondo per quella faccenda dell'averle salvato la vita. Per quanto la distanza di anni tenessero a bada desideri romantici, la sua esperienza e la sua maturità suscitavano un qualche vago desiderio di impressionarlo, prima a Quidditch, poi con l’ausilio dell’Aria.
Nella fatidica giornata in cui gli eventi l’avevano spinta sull’orlo del precipizio e portata a scoprire quella dote sopita nelle sue cellule, aveva scelto istintivamente di non raccontare a Ned e Jared i dettagli dell’acccaduto. Atterrati a terra, lei e Geralt avevano esitato un istante, ma non appena la rossa aveva cominciato ad attribuire al giovane i meriti del suo salvataggio, lui l’aveva seguita a ruota, rispettando il suo desiderio di mettere a tacere la questione. Da allora non l’aveva più visto, ma in ogni occasione in cui si era ritrovata a esercitare quel potere si era ripromessa di coinvolgerlo.
«Non esattamente, io… Ho fatto delle prove, ma sento di avere un controllo limitato sul mio potere.» Osservava le luci danzanti sul volto del ragazzo, indugiando sulle parole giuste per esprimere i concetti che aveva in testa. Decise di optare per la schiettezza: aveva bisogno di essere condotta per quel cammino, e affidarsi era il primo passo per stabilire un rapporto di fiducia. «Vorrei conoscere meglio questa connessione, vorrei capire come plasmare l’Aria, come governarla, come condurla, ma… La verità è che ho paura di perdere il canale di comunicazione con il mio Elemento.» Era un timore che faticava a scollarsi di dosso quando lasciava la bacchetta e provava a richiamare l’Aria, e ammetterlo ad alta voce la lasciava con un certo amaro in bocca. «La sola idea di non utilizzare la bacchetta mi confonde, come se non potessi riuscire a ottenere nulla, se non in grave pericolo.»
«Sarà un commento banale, ma all’inizio è normale accumulare queste incertezze, e almeno in un primo momento è controproducente cercare di pensare di abbandonare la bacchetta. Gli Elementi sono indomabili, testardi, imprevedibili. La fortuna che abbiamo noi Elementalisti è di aver stabilito questo canale di comunicazione, ma la sintonizzazione è una conquista continua, un processo con infiniti gradi di profondità. Io stesso imparo ogni giorno.» Le parole che usava erano pesate e scelte saggiamente, e il risultato era il totale coinvolgimento della Lynch. «C’è qualcosa di unico e speciale nel poter avere accesso al senso profondo delle cose che ci circondano, nel conoscerle nella loro natura intrinseca. L’Elementalismo è questo: è arrivare alla radice di ciò che compone il mondo, che lo plasma e lo determina, ma senza incedere con i piedi pesanti o imporre il proprio volere. Siamo noi al servizio degli Elementi, e non il contrario. Tienilo presente.» Il suo sguardo, prima fisso su un punto alle sue spalle come a voler afferrare un concetto etereo, si era spostato su di lei. «Devi essere costante con l’allenamento. Esattamente come il Quidditch. Conosci gli incantesimi FATA?» Eloise aggrottò le sopracciglia in un’espressione interrogativa, ammettendo di non sapere di cosa si trattasse. Non lo interruppe, e il ragazzo procedette nella spiegazione. «Fuoco, Acqua, Terra, Aria. Sono gli incantesimi di cui gli Elementalisti si possono servire per richiamare il proprio elemento. Si inizia dal livello più semplice, che per l'Aria è il Napteria, e puoi prenderlo in considerazione come esercizio per provare a comunicare con il tuo Elemento.» Ascoltava attentamente, e appuntava ogni parola che usciva dalla bocca del suo interlocutore. «Lo farò.» Disse solenne, rimuginando sulle sue parole, desiderando poter sfruttare quella conoscenza ancora a lungo. Il resto della stanza era sfocato e distante, ma sapeva che molto presto quello spazio protetto in cui avevano trovato il loro attimo di pace sarebbe stato travolto dal flusso festaiolo della serata. E di certo non l’idea non le dispiaceva, ma voleva sfruttare quell’opportunità rara fino alla fine.
Pur avendo raccolto qua e là informazioni sul conto di Lennox, fino a quel momento non era stata stuzzicata dalla curiosità di scoprire le origini del suo potere. Adesso, quando il suo percorso veniva appena accennato, quel certo appetito di informazioni raggiungeva la sua coscienza, convertendosi immediatamente in interrogazione. «Tu… Hai scoperto il tuo potere da tanto? E come?» Studiò l’espressione del ragazzo, con l’intenzione di non perdersi la risposta spontanea che i tratti del suo viso le avrebbero concesso. In effetti, vide una luce nostalgica nel suo sguardo, unita a un certo sorriso un po’ sghembo che tradiva le sensazioni positive che quel ricordo doveva suscitargli. «Non è andata molto diversamente da quello che è successo a te...» Assaporò le parole seguenti, consapevole in anticipo dell’impatto che avrebbero avuto. «E per assurdo anche per me la colpa è stata di un manico di scopa.» Come Geralt doveva aver previsto, sul volto di Eloise si dipinse un misto di stupore, sorpresa, meraviglia e ammirazione. «Era un periodo in cui con i miei compagni stavamo provando una serie di cazzate per capire fino a che punto potevamo spingerci. In quel caso abbiamo deciso di provare il Quidditch subacqueo. E se te lo stai chiedendo...» Proseguì, cogliendo quella punta di desiderio di mettersi alla prova nello sguardo della rossa. «Non è per niente una buona idea. Quando il mio incanto Testabolla ha ceduto ero troppo in profondità per risalire.» Aprì le braccia, abbandonandosi al fato che gli era stato destinato. «Mi ero immerso-»
Uno schiamazzo fragoroso e uno spalancarsi di porte annunciò l’ingresso imprevisto dalla veranda sul retro, ponendo fine all’equilibrio che Geralt ed Eloise si erano ricavati. Un ragazzone corpulento e provvisto di una chioma spettinata di capelli color paglia veniva trascinato da una moretta mingherlina, ma quando i suoi occhi individuarono il ragazzo se lo prese sotto braccio, ondeggiando pericolosamente e affidandogli il compito di reggere il suo peso imponendo. «Vecchio Lennox, ecco dov’eri! Non hai ancora finito di pagare la tua scommessa…» Geralt, che sopportava con fatica il peso di quel ragazzone, rise di rimando, alzando la sinistra, quella libera dal cocktail. «Hai ragione, hai ragione, non mi sono dimenticato...» Eloise lo vide spostare lo sguardo su di lei, quasi con aria interrogativa. Alzò il bicchiere, soddisfatta del risultato ottenuto quella sera. E, prima di portarsi il gin tonic alle labbra e riprendere a far festa, diede a Geralt la sua benedizione. «Ogni scommessa è debito.»

Erano le prime luci dell’alba quando l’ultimo degli invitati si Smaterializzò scompostamente alla volta di casa propria - ignorando il buonsenso e le qualsiasi ragionevole raccomandazione a usare quel mezzo da sobri. Eloise, che aveva osservato la scena dalla finestra, si volse a osservare il caos che una notte di bagordi aveva generato nel quartier generale, ma non c’era preoccupazione nello sguardo. Non appena Ned si fosse ripreso dalla sbornia - ora russava sonoramente sul divano - avrebbe fatto un lavoro coi fiocchi a colpi di Gratta e Netta.
La ragazza sospirò, lasciandosi andare su una poltrona in buono stato, e sollevò le gambe sul bracciolo. In parte stordita, in parte soddisfatta della serata, stava osservando la parete in attesa di addormentarsi, quando il suo sguardo venne catturato dalla Gelbsturm assicurata al gancio sulla parete. Oltre a ripromettersi di non lasciarla mai più alla mercé degli invitati di suo fratello, c’era qualcosa di strano tra la saggina. Si alzò di scatto - o almeno, così avrebbe fatto se fosse stata nel pieno delle sue capacità mentali e fisiche - e si avvicinò al punto incriminato, comprendendo solo in un secondo momento di cosa si trattasse. Incastrato tra i ciuffi del suo manico c’era un piccolo foglio di pergamena arrotolato. Lo prese, incerta su cosa aspettarsi.

Ora non ti resta che sperimentare.
Se mai avrai bisogno potrai trovarmi qui.

Geralt Lennox
23 Paton’s Lane
Montrose, Scozia
Regno Unito


GL
 
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L'APPESO ELEMENTALISMO II
hI6dJbF
ELOISE LYNCH PS 250 PC 148 PM 164 EXP 40,5
Era una luminosa giornata estiva, ed Eloise Lynch stava seduta al centro del salone principale del Quartier Generale dei fratelli Lynch, le chiappe a terra, il muso infilato dentro un armadio. Attorno a lei, piccole montagnette di cianfrusaglie - per lo più immondizia - continuavano ad aumentare di volume, segno che le pulizie stavano procedendo per il verso giusto. Presto, molto presto, le avrebbe fatte Evanescere nell’oblio.
Era arrivato quel momento dell’estate in cui caldo e pigrizia prendono il sopravvento, e i progetti più improbabili acquisiscono una forma tangibile, come risposta automatica all’indolenza. I viaggi estivi erano ancora lontani, e i compiti erano decisamente troppo noiosi. Così, quando quell’armadio aveva fatto la sua comparsa alla bottega magica di suo padre (era un caso che l’ex proprietario avesse scelto proprio un posto che si chiamava Armadio Stregato?!) la più piccola di famiglia aveva allungato gli artigli e ne aveva ottenuto la patria potestà. Certo, aveva dovuto barattarlo con le mattine di quel mese, in cui avrebbe aiutato il padre in negozio quando i turni ai Tiri Vispi glielo avessero permesso, ma già dalla prima analisi le sembrava che ne fosse valsa la pena.
Aveva intravisto le potenzialità di quell’oggetto di arredamento apparentemente innocuo, e iniziato a millantare un possibile impiego per migliorarsi la vita, ma sapeva che prima avrebbe dovuto assicurarsi che non fosse dotato di proprietà magiche preesistenti.
Scoccò un’occhiata in tralice alla pila di libri posati sulla poltrona usurata, considerando che conoscere il Veritatem Reperio sarebbe stato decisamente utile per evitare di tirare a casaccio, e si sentì colpevole per non averne ancora aperto mezzo. Erano libri di incantesimi e di approfondimenti teorici che aveva preso per ampliare le conoscenze magiche, ben cosciente che certe chicche non venivano insegnate tra le mura di Hogwarts - o almeno non fino ai Mago. Voleva assolutamente mettersi alla prova con il secondo volume di Tempeste d'Aria, e magari con Celeri attacchi di difesa, e sebbene la voce della sua coscienza la rimbrottasse, ricordandole che forse doveva prima passare dal Nebula Antigravitas e dal Reducto. La verità era che a lei non importava un fico secco: nessuno diceva ai professori che Peverell li ficcava costantemente nei guai al punto da insegnare quella roba a suon di mazzate?!
In effetti, nonostante l’interesse che gli affari magici e la conoscenza continuavano a suscitare in lei, in quell’anno scolastico non era stata propriamente al passo con gli studi. L’avevano visto bene, i suoi, stringendo la pagella finale con aria perplessa, e certo le giustificazioni riguardanti impegni e doveri non erano serviti a rassicurarli. Quando aveva tirato fuori la faccenda che senza la spilla avrebbe avuto moltissimo tempo in più per dedicarsi diligentemente agli studi, avevano sollevato le sopracciglia con perplessità, fiutando la menzogna a distanza di chilometri.
«Non mi pare una ragione valida, Eloise, ma poi perché non sei più Prefetto? Mi sembrava che l’esperienza ti stesse piacendo.»
«E almeno evitavi di avere altro tempo da perdere in faccende poco raccomandabili…»
E così via. Se un tempo avrebbe preso il fatto a cuor leggero, e con una battuta brillante avrebbe potuto distrarli da quei fatti, ora si sentiva punta sul vivo, e quasi offesa. Aveva iniziato a serbare per i suoi genitori quel risentimento adolescenziale che sorge spontaneo durante la fase di ribellione, ma era chiaro a tutti che quel muso non sarebbe durato.
Ripensandoci, non si sentiva particolarmente ferita: liberata dal fastidio di mettere in bella vista i suoi insuccessi, superata la vergogna di aver preso sottogamba gli impegni scolastici, si era spronata a fare meglio. E con meglio si intendeva, ovviamente, spendere le giornate a rimettere a nuovo un armadio che avrebbe utilizzato per le sue losche faccende.
Raddrizzò la schiena e tirò indietro la testa con l’intenzione di osservare la situazione a distanza. Nonostante i suoi sforzi gli scompartimenti erano ancora talmente zozzi da necessitare una dose pesante di Gratta e Netta, più che di un Veritas. E visto che le sue abilità negli incantesimi casalinghi erano proverbialmente scadenti, forse avrebbe dovuto prima focalizzarci sulle robe semplici.

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Amuleto di Hermes Amuleti propiziatori, in bronzo ed argento, consacrati a diverse divinità appartenenti a varie epoche, che ne recano l'effigie sul fronte.
Phusikes Akroaseos, trattato di Aristotele
Anello Vegvisir Il Vegvisir è un simbolo runico conosciuto anche col nome di "bussola runica". Aiuta chi si è perso a ritrovare la strada, infondendo coraggio e fiducia in se stessi.



Edited by Nih . - 13/7/2020, 17:29
 
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view post Posted on 21/7/2020, 19:47
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Il Fato

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Era una luminosa giornata estiva, ed Eloise Lynch stava seduta al centro del salone principale del Quartier Generale dei fratelli Lynch. Attorno a lei - a tutto ciò che era attorno a lei - vi era un manto impalpabile e insapore che ne seguiva ogni movimento, dal minimo al più grande. Per la verità era sempre stato lì, al suo seguito, attorno a lei, che si divertiva a carezzarle le gote e a spostarle i capelli davanti agli occhi nel tentativo di distrarla.
Com'era divertente coglierla negli attimi più impensabili, punzecchiarla con toni diversi di calore e refrigerio. Era sempre stato un modo per dirle "Ehi, sono qui, anche se non mi vedi. Mi senti? Ti sto guardando" e da quando lei stessa ne ha memoria non ho mancato un colpo. Potrebbe sembrare un gioco perverso il mio, un modo infimo di appropriarmi della vita altrui, ma è così che sono fatta. Non sono destinata a cambiare, per quanto la mutevolezza sia insita nella mia natura.
Sono stata sempre accanto ad Eloise, dal primo vitale vagito al momento presente in cui si affanna per levare le croste di polvere dalla sua nuova scoperta da travisare. Non c'è malignità in quel che faccio, né secondi fini. Rimango nelle retrovie del vissuto e continuo a insufflare il mio essere in ognuno di voi senza fare distinzioni. Certo, è vero che anche voi, esseri viventi, ci mettete del vostro. Respirare non è cosa da poco, dovete fare una gran fatica per aprire la vostra boccuccia e respirare al primo incontro con la vita e poi ricercarmi annaspando quando la gola si stringe e quel muscolo pulsante fatto di carne e sangue che avete nel petto rischia di strapparvi dal mio abbraccio. Ma fatto questo rimane ben poco. Respirare vi diviene naturale come per me lo è soffiare le bufere sui tetti delle case e spingere via le foglie secche dai marciapiedi; come portare il profumo del mare fino in collina da chilometri e impollinare i fiori.
Sono sempre qui con voi, come gli altri miei pari. Siamo vita e parti tangibili di essa, dentro e fuori di tutti voi. Vi sono però alcuni elementi come la vispa Eloise Lynch che osserviamo con maggior attenzione. Carezzarle le gote e soffiarle sui capelli per spostarglieli davanti agli occhi sono ormai giochi confidenziali che mi permettono di credere di poterci sintonizzare su un altro canale - o almeno di provarci - fatto di reciproca comprensione e ausilio. Oh, se solo ella scavasse non il fondo di un armadio o le pagine di un libro ma il mentre del suo presente, sentirebbe quel formicolio premente alle narici e poi sul resto del corpo. Adesso so che è tempo, che è tutto pronto e che poche altre occasioni vi saranno, e la richiamo a me. Ho scostato la copertina e le pagine del vecchio filosofo fino al mio simbolo per farglielo comprendere.

La foresta respira al di là di queste finestre, i tronchi si dilatano, le chiome si gonfiano.
Puoi percepirlo, Eloise.

Benvenuta, Nih, nella tua quest di Elementalismo II! Sembra essere tutto in regola, dunque ti auguro un buon gioco e ti ricordo che per qualsiasi dubbio o necessità sono disponibile via MP.

 
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view post Posted on 28/7/2020, 19:45
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In un moto di fastidio nei confronti dello sporco incrostato sul fondo del vano principale, la mano di Eloise si avventò sul raschietto per farlo fuori, anticipazione e presagio della casalinga impeccabile che sarebbe potuta diventare. Rabbrividì all’idea, e si mise attaccare con fervore il suo nemico, somigliando più a un manovale di bassa lega che a una donzella precisa. La sua combattività sortì l’effetto sperato, perché nel giro di poco le minuscole bricioline erano andate a unirsi al resto della polvere, lasciando il fondo liscio e omogeneo. Soffiò a pieni polmoni per liberarsi dello sporco e rendersi conto del risultato, ma qualcosa la distrasse dal flusso principale dei suoi pensieri.
Era stata una giornata pigra e immobile, di quelle in cui tutto sembra fermo ed eterno. Le finestre del Quartier Generale erano spalancate nella speranza di provocare una corrente anche lieve, e alleviare la calura, ma niente, fino ad allora, aveva smosso i tessuti meno tesi. Anche la polvere appena soffiata via aveva gravitato per qualche istante tra i raggi obliqui del sole, pesante e densa, diretta al pavimento.
Un guizzo rapido l’aveva risollevata a sorpresa, niente più di uno sbuffetto, incapace di muovere altro, ma sufficiente a suggerire che qualcosa era cambiato. Lo sguardo vispo di Eloise aveva subito catturato l’evento, la sua pelle aveva risposto a una vibrazione nota, e il naso, puntato all’insù, annusava come un segugio quella traccia familiare. Non era - non poteva essere - indifferente all’evento. Sentiva che il nome sussurato dal fruscio era il suo, che non era un caso fortuito e piacevole, ma un atto intenzionale e premeditato.
Rimase immobile per una manciata di secondi, cercando di capire per cosa fosse richiesta, quando un dettaglio in movimento nella zona della poltrona catturò la sua attenzione. La pagina di un tomo spesso oscillava pigramente, scandendo il suo sono sempre stata qui; ma Eloise era abbastanza sicura che non lo fosse, fino a poco prima e si alzò in piedi certa di aver individuato una pista. Si pulì le mani impolverate sulla salopette, ed esitò. Lei, che si precipitava sulle novità con l’irruenza del vortice, si era fermata per saggiare sul palato la dolcezza della chiamata. Era stato solo un guizzo rapido, nulla di più di una sbuffata come tante prima di lei, ma c’era una stretta alla bocca dello stomaco che le suggeriva che questa volta era speciale. Era viscerale, un apostrofo rosa tra la richiesta della quest e l’ok del Master.
Azzerò le distanze che la separavano dalla poltrona in un balzo ferino, perché una volta che il momento era scivolato via non voleva perdere tempo in rincorse inutili. L’immagine che le veniva restituita confermava le teorie di pancia e diventava prova tangibile, segno concreto di una realtà impalpabile: il simbolo alchemico dell’Aria stava lì, in bella mostra, un triangolo tagliato a metà. Resistendo l’impulso di sputarsi sul palmo, strinse mentalmente la mano al suo Elemento, il patto era valido; lo dimostrò prendendo il tomo tra le mani, attenta a non perdere il segno.
Uscì all’esterno con la volontà di togliersi da quell’ambiente chiuso, di vedere il cielo sulla testa e sentire l’aria sulla pelle. Sul porticato la luce del tardo pomeriggio arrivava sbieca e rossastra, e le fronde, in lontananza, avevano preso a frusciare il loro saluto. Appoggiata al parapetto, chinò il capo, gli occhi che scorrevano sull’inizio del paragrafo con acceso interesse.
Il vento si stava alzando.

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Il primo legame che unisce l'uomo alla vita, l'ultimo che si spezza quando egli si approssima alla morte.
La lieve brezza che scompigliava i capelli di fiamma e che voltava le pagine dell'antico libro possedeva la stessa leggerezza e lo stesso tepore del respiro di una giovane ragazza. Dal sapore timido ma malizioso, questa andava a pungere lì dove le interessava, desiderosa di scuotere gli animi e di rompere la staticità imposta dal sole caldo e impietoso del clima estivo. Bramava spazio, bramava di imporsi per un po' rompendo qualche regola piuttosto naturale e di prendere per mano le sue complici, irriverente nei confronti di ogni chiarezza, conscia di non poter mai essere realmente afferrata. Chiunque avesse tentato di conquistarla non solo era un illuso, ma persino un terribile fellone. Non è necessario possedere un animo morigerato per comprendere che il movimento e il mutamento, persino nella stasi, sono il paradossale punto fermo della mia natura.
D'altronde quello che Eloise aveva seguito era solo uno sbuffo, un alito di vento in una giornata erosa e impigrita dall'arsura. Che si trattasse dell'incipit di un nuovo stato poteva essere eloquente solo per chi veramente avrebbe puntato tutto sul proprio naso. Così fu, in un certo modo, per la vispa Eloise, che colse la palla al balzo per comprendere se quella giovane ragazza avrebbe dato a lei la mano per trascinarla nelle sue bighellonate. Ma non sarebbe mai stato così semplice afferrare quelle dita, nemmeno per chi aveva sentito il richiamo. Sono sempre stata qui per ognuno dei miei figli, e l'unico modo in cui loro possono accostarsi a me è lasciandomi entrare.
Forse era già stato così, volente o nolente, nelle narici e nel particolare abitacolo rimesso in piedi dai fratelli Lynch. Bussare alla porta d'entrata sarebbe stata solo una galanteria forzata, puri costumi che avrebbero mascherato in miasma la mia trasparenza.
Eloise sembrava pronta a cogliere e a lasciarsi trascinare dal respiro della foresta gettando alle proprie spalle tutto il resto. Ragion per cui, proprio alle sue spalle, il riconoscibile rumore di due ante che sbattevano avrebbe risaltato alle sue orecchie. Adesso un soffio, un po' più forte del primo, veniva attratto dalla mobilia e dalle suppellettili del quartier generale, amabili strumenti musicali su cui rimbalzare e su cui far rimbalzare l'attenzione di Eloise.
L'Aria non può che essere la più temibile delle sfidanti nel gioco del nascondino. E poi, gli armadi erano da sempre uno dei migliori posti in cui nascondersi.

 
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La testa china sul libro e la copertina rigida che gravava sull’incavo del gomito facevano della posizione prescelta per leggere una delle più scomode mai assunte. Stoica, spostò il peso dalla destra alla sinistra e proseguì, le labbra che scandivano le frasi antiche e lo sguardo concentrato.
Per quanto desiderasse rispondere al richiamo dell’Aria e dimostrarsi pronta, sveglia e diligente, mano a mano che lo sguardo di Eloise scorreva sulle parole di Phusikes Akroaseos la sua mente deviava su un binario alternativo. Era estate, il momento vacanziero per eccellenza, e incanalare i pensieri verso lo studio era pressoché impossibile. Aggrottava le sopracciglia in uno sforzo anche fisico, ma era evidente che dopo essersi scontrato con parole tanto specifiche e approfondite, il suo cervello era andato a farsi un giro. Vagava come un’ape distratta tra i fiori del pensiero, si scopriva curiosa di capire dove la lettura la stesse trascinando, si domandava perché l’Aria le avesse indicato quella pagina, riprendeva il filo della lettura e ancora si distraeva al pensiero di non riuscire a concentrarsi. La studentessa modello che un tempo aveva dimostrato di essere - o quasi - era stata sepolta dallo spirito ribelle che le aveva fatto perdere il ritmo degli studi, e ora neanche l’Aria riusciva a tenerla buona e ferma, a studiare.
Risultò chiaro che quelle non erano le sue intenzioni.
Lo sbattere delle ante alle sue spalle la portò a voltarsi di scatto verso il rumore, con tanto di libro al seguito. Le spalle e la punta del mento spingevano verso quell’insperata fonte di distrazione esterna, che ritrattava le premesse dell’appuntamento e la legittimava ad abbandonare il metodi di studio più classici. La vista e l’udito le centellinavano indizi sui punti in cui quel refolo giocoso si soffermava, e mentre lo sguardo indugiava al suo inseguimento, l’orecchio si tendeva per cogliere di più.
Aveva sempre attribuito all’Aria e ai suoi compagni Elementi una dimensione di libertà primordiale, scollegata e indipendente dalle cose umane. Acqua, Aria, Terra e Fuoco erano per lei espressione di una Natura cruda, crudele, istintiva e nuda. Erano contrapposizione alle società e alle sovrastrutture elaborate dalla coscienza evoluta, richiamo a quel che stava prima della foglia di fico. Ma ora il vento la richiamava all’interno del salone, ricordandole che era nel pieno delle sue attività umane che era andata a farle visita nelle occasioni precedenti, che se ne fregava delle sovrastrutture artificiali, che le abitava e sfruttava a suo piacimento, e le faceva farle risuonare come meglio le aggradava. Il confine tra Natura e Coscienza era più labile di quanto Eloise credesse, e lo sventolio imprevisto di uno stendardo dei Kenmare Kestrels ne era una prova visibile.
Fu lo sbattere delle antine dell’ultimo arrivato al Quartieri Generale a fare scacco alle sue elucubrazioni, a interrompere il flusso di ipotesi a favore dell’istinto. Aveva deciso di assecondare quel richiamo prima ancora di esserne consapevole, e fu con un’obbedienza automatica che si ritrovò di nuovo davanti all’armadio, questa volta con il libro fra le braccia. Il suo cipiglio, curioso e indagatore, setacciava la zona alla ricerca di ulteriori indizi.
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