When the snow falls, the fox tries to survive , Apprendimento Animagus

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view post Posted on 7/12/2018, 20:51
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When the snow falls, the fox tries to survive.

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When the snow falls, the fox tries to survive
Chapter I - Origins

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Maniero dei Weiss, Dicembre.

L’Inverno era ormai alle porte. Galway si era fatta più fredda, le correnti oceaniche portarono con sé il clima rigido proveniente dall’estremo Nord, mentre i venti gelidi presero a soffiare impetuosi lungo le coste. Sebbene, però, il Maniero dei Weiss si trovasse nell’entroterra, il freddo sembrava essere penetrato persino nelle radici degli arbusti, tant’è che i domestici dovettero accendere ogni camino presente all’interno della struttura antica, appartenente alla famiglia da svariate generazioni.
Aiden abbandonò la sua postazione accanto alla finestra, per potersi unire al resto della famiglia al consueto pranzo domenicale. Era tempo, dunque, di abbandonare l’aria malinconica che lo accompagnava ormai da diverse settimane, così come la vista del cielo grigio e cupo di cui aveva goduto fin a quel preciso istante; avrebbe - di conseguenza - dovuto indossare una maschera per poter celare al resto dei familiari quel suo stato d’animo, impedendo a chiunque di filtrare attraverso quel muro che aveva deciso di erigersi intorno come un guscio protettivo.
Percepiva chiaramente l’assenza di un qualcosa dentro di sé, come se in quell'immenso orologio che scandiva la sua intera esistenza mancasse un ingranaggio. Si sentiva l’Anima divisa a metà, mutilata e agonizzante, ma che - nonostante tutto - bramava disperatamente di trovare, di stringere una Comunione con essa, e pareva talmente impellente da voler fuggire da quelle quattro mura.
Dov’era dunque l’altra faccia della medaglia che componeva l’essenza stessa di Aiden Weiss?


«Caro, vieni. Siediti vicino a me.» La voce dolce di sua nonna giunse alle sue orecchie come una tenera carezza e Aiden scoprì, con sommo stupore, di averle sorriso con gioia.
Aoife Whelan-Weiss un tempo era stata una donna davvero affascinante, molto contesa nella Contea di Galway, ma solo Regan Weiss era stato capace di conquistarla con il suo selvaggio fascino da orso dietro l’abito da perfetto gentiluomo.
Ora, però, la donna era invecchiata e molto rispetto alla sua reale età, ma la di cui causa era da imputare alla perdita del suo unico figlio, Charles. Il lutto aveva reso quei capelli, un tempo di un bellissimo biondo cenere, in una distesa di secchi e fragili fili bianchi come la neve. Ella, tuttavia, restava comunque una bellissima donna, con un sorriso gentile sempre pronto a apparire su quelle labbra rosee, e gli occhi azzurri come il cielo estivo che nascondevano il vuoto lasciato dal figlio.
Aiden, poco prima di accomodarsi accanto a lei, si sporse verso la tempia dell’anziana matriarca e le depose un tenero bacio sulla tempia, facendola sorridere compiaciuta. C’era sempre stata una certa devozione e affetto verso quella donna che lo aveva cresciuto, assieme a zia Clarisse, ritirandosi dalla vita da Auror per provvedere ai nipoti. Inoltre, era stata proprio lei ad insegnarli qualche trucchetto a Quiddich quando ancora giocava come Battitore nella squadra di Grifondoro.
«Ti trovo sciupato, mio caro. Ma mangi?» Sentì gli occhi di sua nonna addosso, mentre il rosso era alle prese con il tovagliolo da sistemarsi sulle gambe. Nulla sarebbe sfuggito a quegli occhi attenti e sua nonna aveva il raro dono di scorgere al dì là della semplice apparenza, di vedere persino attraverso le maschere.
Le parole della donna, tuttavia, attirarono l’attenzione della nuora. Annabelle O’Brien-Weiss si schiarì la voce dall’altra parte del tavolo e alzò un sopracciglio, per nulla convinta che suo figlio fosse sciupato come la suocera credeva che fosse. «Aoife, lui è Aiden. E mangia, sì.» scandì con chiarezza, senza però dare l’impressione che il figlio fosse grasso; cosa che non era nonostante l’ancestrale appetito.
Da quando il padre di Aiden era morto, Aoife era sprofondata in una depressione profonda, quasi senza fine, tant’è che a volte trattava i nipoti come se fossero Charles. Il suo caro Charles. Aiden, in particolare, era quello che veniva scambiato più spesso per via della sua netta somiglianza con il padre.
Il fulvo lanciò uno sguardo confuso a sua nonna, finché non ritenne opportuno rincuorarla a dovere, stringendole una mano esile e sempre più ossuta. «Mangio tanto, nonna. Non preoccuparti, sto bene.»
«Sei triste...»
«Oh, no. Te lo assicuro.» Trattenendo l’imbarazzo nell’essere stato smascherato, il giovane uomo aiutò sua nonna a riempirsi il calice del vino bianco di cui lei andava particolarmente matta.
In tutta risposta la donna distese le labbra in una smorfia poco convinta, ma non osò replicare, preferendo di gran lunga sorseggiare il proprio vino mentre il pranzo venne servito dai domestici. Delle ostriche marinate come antipasto, segnarono l’inizio di un pranzo piuttosto sofferente per Aiden, il quale mal sopportava il pesce dopo anni e anni in cui si era nutrito prevalentemente di ciò, tant’è che si coprì la bocca con una mano. Non voleva rigettare sul piatto o suo nonno gli avrebbe fatto assaggiare una poderosa bastonata tra capo e collo, perciò fece per alzarsi e congedarsi per andare in bagno e sfogare così tutto il proprio disgusto: ma qualcosa sembrò bloccarlo sul posto, facendoli raggelare il sangue nelle vene.
Gli occhi di sua nonna erano spalancati dal terrore, la bocca era aperta e annaspava nel disperato tentativo di respirare, mentre delle sottili linee di un rosso scarlatto presero a scendere dalle sue narici, fino a scenderle lungo il mento. La pelle iniziò a tingersi di un bianco innaturale, mentre le labbra - a mano a mano - divennero sempre più cianotiche; le unghie della donna scavarono nella propria gola, lasciando profondi solchi in quella pelle divenuta fragile a causa del tempo. Il panico serrò il cuore di Aiden per qualche breve istante, finché non trovò le forze per reagire e allora scattò al fianco di sua nonna nel disperato tentativo di aiutarla a respirare. «Nonna! Nonna, sono qui! Avanti! Forza! Respira!» esclamò, cercando di strappare via le mani della donna dalla sua stessa gola, onde evitare che si ferisse maggiormente. «Sam! Sam, presto!» tuonò al fratello.
Sia Regan che Samuel reagirono tempestivamente e raggiunsero la donna in breve tempo, anche se l’anziano Weiss per poco non travolse tutti quanti con il suo incedere sulla gamba di legno. Ci furono diversi ordini che partirono da entrambi i due uomini: i domestici si affrettarono ad andare a preparare la stanza che avrebbe ospitato la padrona di casa, Lena corse a prendere la borsa di Sam con tutto l’occorrente per le emergenze, Ophelia si precipitò a spedire un gufo al San Mungo per chiedere assistenza aggiuntiva, mentre lo stesso Sam, Aiden e Richard presero Aoife di peso e la trasportarono nella sua stanza.
Ora solo gli Dei sapevano come sarebbe finita...


«Sta morendo...» annunciò infine Sam. Dopo svariate ore passate nella stanza a cercare di salvare sua nonna da quell’attacco improvviso, il giovane Medimago ne uscì devastato e visibilmente provato. Aveva certamente fatto il possibile, ma la sorte di Aoife sembrava irrimediabilmente segnata. «La crisi è cessata, ma non le resta molto ormai. Io... sospetto si tratti di un veleno, ma che mi è sconosciuto.»
La notizia sconvolse tutti: Lena e Ophelia scoppiarono in un pianto disperato, aggrappandosi ad una madre silenziosa ma comunque addolorata, Richard rimase a capo chino e appoggiato contro il muro come aveva fatto in tutto quel tempo da quando erano stati costretti ad attendere fuori dalla stanza, Aiden singhiozzava e tentava disperatamente di trattenere suo nonno che ebbe l’impulso di colpire Sam con il proprio bastone.
L’Orso scalciava, tentava disperatamente di liberarsi dalla presa del nipote, troppo ferito e fuori di sé per placare la propria inesorabile furia. Sia Aiden che Regan avevano il volto arrossato: uno per l’immane sforzo nel cercare di trattenere la belva, l’altro per la collera che lo divorava dall’interno come un cancro.
«Voglio la testa di quel bastardo! Voglio uccidere con le mie mani il responsabile di questo atto ignobile!» L’urlo di Regan fece vibrare le parete e colmò ogni spazio vuoto. «Voglio il nome! Il nome di questo insignificante verme che mi vuole portare via la mia unica ragione di vita! Mia moglie! Chi ha osato toccare una donna tanto buona e dolce come la mia Aoife? CHI?» Strattonò la presa, per poi perdere l’equilibrio: Aiden si ritrovò di conseguenza tra la schiena di suo nonno e il muro, grugnendo quando impattò con violenza, lasciandolo stordito. La presa cedette, ma di poco, tuttavia Regan sembrò accorgersene e ne approfittò per libersarsi definitivamente dalla presa del nipote. Aiden venne sbattuto e compresso contro la parte diverse volte, finché il dolore alla schiena non lo costrinse a mollare. L’Orso fu libero e mollò una bastonata a Sam, scansandolo dalla porta, per poi fiondarsi al suo interno e raggiungere l’amata moglie.
«Aiden? Sam? State bene?»
Aiden si tenne alla parete e si massaggiò la schiena, guardando prima suo fratello e poi sua madre, annuendo flebilmente. «Il vecchio è ancora forte...» borbottò.
«E senza la nonna sarà persino pericoloso. E’ totalmente fuori controllo...» sospirò Sam, massaggiandosi la spalla. «Entrate uno alla volta. E’ molto debole.»


Aiden fu l’ultimo ad entrare.
La stanza era buia, solo delle candele erano presenti e illuminavano la zona in cui sua nonna giaceva morente. Anche se non poteva vedere il resto della stanza, Aiden sapeva che suo nonno era lì dentro, probabilmente appostato in un punto strategico per tenere sott’occhio la situazione.
Si sedette nella sedia posta accanto al letto e accarezzò la mano fredda e magra di sua nonna, con tutta la delicatezza di cui era capace, come se temesse di distruggerla al minimo tocco troppo energico.
«Ehi… ciao bella fanciulla...» sussurrò flebilmente.
L’appellativo usato dal fulvo, sembrò far sorridere sua nonna, seppur con una certa sofferenza. «Oh Charles, ancora quella canzone? Lo sai che a tuo padre non piace per niente...» gracchiò, per poi tossire.
«Nonna… Sono Aiden.»
«Ohhhh...» La mano della donna si sciolse dalla sua presa e iniziò a dargli dei deboli buffetti sul braccio. «Il mio bambino vivace… Quanto sei cresciuto… Hai troppa barba...»
Ad Aiden venne quasi da ridere, peccato che tutto si tramutò in un pianto silenzioso, fatto di qualche singhiozzo che - di tanto in tanto - spezzò il silenzio della stanza. «Ho ventisette anni ora. Sono diventato Auror, come il nonno e papà, ricordi?»
«Sì, ricordo. Sì. E assomigli tanto a lui, al mio Charles...» Con la mano cercò il viso di Aiden e lui si sporge per lasciarsi toccare, mentre a sua volta prese ad accarezzare il braccio dell’anziana. «Dobbiamo organizzare un bellissimo ballo sai? Sì, così ti troveremo una moglie e… I bambini? Come stanno i bambini?» Aoife, in quelle che probabilmente sarebbero state le sue ultime ore, aveva preso a delirare e alternava quei momenti in cui lo scambiava per suo padre con attimi di lucidità. Ad Aiden sembrò più che sufficiente per scoppiare in un pianto disperato e riuscì a capire come mai aveva visto persino Richard uscire dalla stanza con il viso stravolto dalle lacrime. Il veleno, in un qualche modo, le dava una visione distorta di quanto la circondava, eccetto - forse - per il suo Regan.
Il fulvo si era sentito morire nell’udire quelle parole. Non capì se sua nonna lo stesse ancora vedendo come il suo Charles e quindi volesse sapere come stavano i suoi nipoti, oppure che fosse convinta a tal punto da credere che Aiden fosse sposato e con dei figli suoi. Eppure sua nonna sapeva che lui aveva sacrificato la possibilità di una famiglia per via del proprio ruolo da Auror. Era certo, dunque, che ella stesse peggiorando e che i deliri non le stessero dando tregua. «Stanno bene...» mentì d'impulso. Non se la sentì di darle una delusione, non proprio mentre stava morendo. Aiden le accarezzò lentamente la testa. «Stanno bene...» ripeté nuovamente, sorridendo flebilmente alla donna.
Aoife allargò il proprio sorriso e al quel punto sembrò una bambina entusiasta, non tanto una vecchia sofferente sul proprio letto di morte; dopo mesi e mesi di infinita tristezza, il cuore di Aiden ebbe un balzo e si chiese se aveva fatto la cosa giusta nel mentirle: eppure l'aveva resa davvero felice. Per qualche secondo il fulvo non si pentì di quella risposta, finché sua nonna non si rabbuiò all’improvviso. «Avrei davvero voluto vederti felice in questi ultimi mesi, magari in compagnia di una fidanzata. Non è ancora troppo tardi, puoi rompere la promessa ed essere un buon marito, un buon padre. Sei triste…»
«Io sono distrutto, nonna. Completamente a pezzi e non esiste donna al mondo capace di rimettere insieme i cocci. Sono destinato a restare da solo...»
Sua nonna scosse una mano con uno degli ultimi residui di forza rimasta e schioccò la lingua contro il palata per palesare tutto il proprio disappunto. «Prima o poi incontrerai una donna in grado di spaccarti quella testaccia dura da mulo che ti ritrovi!» sbottò o poi tossì bruscamente. «Testardo di un Weiss!» La battuta fece arrossire Aiden, che abbassò la testa per l'imbarazzo. «Ti senti perduto, lo so, ma non durerà per sempre. E tu sei giovane e vigoroso, se sarai paziente e - soprattutto - confiderai negli Dei, allora vedrai che un giorno troverai la tua strada per la felicità.»
«Mi basterebbe essere completo dentro, avere la piena consapevolezza di me stesso. Nella mia solitudine ho scoperto di non essere attratto dal materialismo, mi sento umile e privo di qualsiasi pretesa.»
«Devi farmi una promessa, mio piccolo e grande uomo.» mormorò dopo un po’ Aoife. Tossì e allungò una mano verso un punto buio, probabilmente cercando di richiamare l'attenzione di Regan. Egli, infatti, non tardò ad arrivare e zoppicò fino a letto il più velocemente possibile. «Entrambi mi dovete una promessa.» Seguì una pausa.
«So che hai fatto di tutto per farti amare da tuo fratello, che hai provato ad andarci d'accordo, ma inutilmente. Per questo non chiederò a te di promettere nel provarci ancora, ma lo chiederò al mio Regan.» La donna si rivolse dunque al marito. «Devi promettermi che non ti lascerai morire per il dolore. Devi promettermi che resterai per i nostri nipoti, hanno bisogno di una guida. Devi promettermi che aiuterai Aiden e Richard ad amarsi. Promettimelo! Promettimelo, Regan, promettimelo!»
Aiden osservò le mani di sua nonna avvinghiarsi attorno a quelle di suo marito, il fedele compagno che non l’aveva mai abbandonata per un secondo, e la cui espressione granitica e feroce si sgretolò come del fango essiccato sotto la potenza di quelle parole supplichevoli. Per la prima volta il fulvo vide suo nonno come un qualsiasi altro uomo, nella propria umana vulnerabilità ed impotenza: cosa poteva fare quel vecchio ex-Auror dinanzi alla Morte?
«Io--- Aiden dovrebbe pensare a cercare il responsabile, invece che starsene qui a fare il sentimentale!» Il vecchio Orso tentò di sviare il discorso, volgendosi verso il nipote e scoccandogli un’occhiata di fuoco: era palese quanto suo nonno non volesse fare una simile promessa, di quanto desiderasse seguirla anche dopo la morte e non dover pensare più a guidare la famiglia. Cos’era Regan senza la sua Aoife? Era ben consapevole, inoltre, quanto i rapporti tra i suoi nipoti fosse pressoché impossibile, perché quindi sua moglie voleva a tutti i costi che si amassero? Persino Aiden, con l'aiuto di Sam, era riuscito a comprendere quanto fosse inutile, che quell'amore che aveva sempre ricercato in Richard non era altro che un'infima Chimera che se avesse potuto lo avrebbe distrutto in pochi istanti.
Aiden fu quindi sul punto di alzarsi e prendere congedo, forse assecondando le aspettative del vecchio sarebbe riuscito ad addolcirlo un poco, evitando così che sua nonna sprecasse energie nel tentare di calmare il marito; invece Aoife non risparmiò il compagno e lo colpì con un leggero schiaffo sulla mascella squadrata. «Non ti azzardare, il suo dovere ora è stare qui con me. Non sarà mai la tua macchina da guerra, mi hai capito?»
Regan si fece remissivo e sospirò profondamente. «Aoife… Io...»
«Promettimelo!»
«Te lo prometto, mia cara...»
«E tu, mio dolce Aiden, mio caro ragazzo. Promettimi che troverai la tua felicità, che sarai libero da tutta questa solitudine. Promettimi che un giorno amerai e che ti lascerai amare. Magari non da quel genere di amore di cui hai così tanta paura, però… da un amico?»
Sua nonna era sorprendente: vedeva più cose di qualsiasi altra persona, persino più di lui, e ci riusciva anche in punto di morte. Per questo si ritrovò a tremare, a piangere come un bambino, completamente consapevole di aver un tremendo e spasmodico bisogno di sua nonna, una delle poche donne che facevano parte della sua vita. Aoife era speciale, era come una seconda madre per lui e la stava perdendo. «Io non ho paura...»
«Ahhhhh! Questi Weiss così testardi e che si credono senza paura! Non ti ho forse insegnato nulla?»
«Non c’è maschera abbastanza spessa o accurata per impedirti di scorgere la verità, non è così?»
«Perché io so chi sei… Ora però promettimi che lo farai.»
A quel punto al giovane uomo non restò altro che acconsentire alle ultime volontà di sua nonna, a renderla felice un’ultima volta. Sospirò profondamente, finché in tono solenne disse: «Lo prometto.»
«Vai. Sii libero.» La mano di Aoife accarezzò la sua guancia umida e ispida, mentre Aiden notò uno strano sguardo negli occhi della donna morente: essi erano vitrei e sempre più spenti, rivolti verso un punto indefinito oltre le proprie spalle, persi nel buio più totale; eppure sembrava che ella fosse riuscita a scorgere qualcosa in quell’oscurità, come una presenza invisibile che solo ai morenti era concesso scorgere. «Libero… da tutto… Charles...» Un flebile respiro, un nome sussurrato come un dolce richiamo, mentre un sorriso incorniciò quelle labbra sottili e bluastre in quello che fu tenero addio. Aveva visto suo figlio attenderla, aveva teso la mano verso di lui per lasciarsi accompagnare in quella che sarebbe stata la sua nuova casa. Poi cadde all’improvviso, inerme, sospesa nel vuoto; gli occhi si chiusero lentamente, mentre l’ultimo alito di vita lasciò il corpo della donna, per poi spegnersi per sempre.
Aoife Whelan-Weiss giaceva morta tra Aiden e Regan, due degli uomini della sua vita. Si era spenta serenamente per potersi ricongiungere nuovamente con suo figlio, lasciando i vivi a piangere i propri morti.


Correrò libero per te, nonna… E troverò finalmente me stesso. Mentre permise che quel pensiero scalfisse in maniera indelebile, come una promessa, la sua mente ancora piuttosto provata dalla perdita, Aiden cercò di farsi forza e riordinare le idee.
Ora la propria Anima urlava a più non posso, graffiava e scalciava affinché venisse completata ed - infine - liberata. Percepiva il proprio Corpo come un serbatoio troppo stretto per contenere la propria essenza nella sua interezza, perciò il desiderio di trovare qualcosa di più, di scoprire la parte mancante di sé stesso era decisamente più accentuato, fondamentale, vitale.
Aiden capì che era giunto il momento di invocare i favori di Cernunnos e prendere il posto che gli spettava di diritto in quell’immenso Universo. I tempi erano maturi e lui pure: doveva solo accettare quanto il Dio gli avrebbe concesso, nel Bene e nel Male.
Sarebbe tornato a casa per il funerale una volta che avrebbe terminato la sua ricerca, non sarebbe scomparso per degli anni per via dell’ennesimo lutto; qualche ora in solitario, a fare ciò che andava fatto, e poi sarebbe ritornato più completo di prima. Il lago nascosto all’interno del boschetto in cui sorgeva la propria dimora, a pochi minuti da Hogsmeade, si sarebbe rivelato un ottimo punto di partenza e di certo lì avrebbe trovato Cernunnos ad aspettarlo; o se non altro sarebbe stato in quel luogo in cui avrebbe supplicato il Dio di aiutarlo nella propria missione.
«E' tempo per me di andare...» disse più a sé stesso che a qualcuno di specifico. Era pronto per davvero, doveva solo concentrarsi per giungere fino a Dublino con la Smaterializzazione: poi, da lì, la Scozia lo avrebbe atteso.
L’Auror spalancò e la porta d’ingresso del Maniero e fissò il cielo: l’Inverno stava arrivando, era questione di tempo, così come la sua Libertà.

▵▵▵

Aiden Weiss
ps: 221 | pc: 163 | pm: 170 | exp: 33.5


Animale Guida: Volpe (Madadh-Ruadh, Sionnach in Gaelico irlandese)
La Volpe rappresenta l’astuzia, la velocità, l’adattamento ed il sapersi muovere ed osservare senza farsi notare. Aiuta a prevenire i movimenti altrui donando un vantaggio sulle azioni del prossimo. L’intelletto risulta la migliore arma, che se affinata conduce le persone di questo totem a divenire vincenti.
I Celti hanno sempre considerato la Volpe un animale dalla grande saggezza e una guida nel mondo degli Spiriti, per la sua approfondita conoscenza dei boschi e delle foreste. Nelle tribù Native Americane invece è stata sempre considerata come un nobile messaggero.

Inventario:
• Bacchetta in legno di biancospino, piuma di Ippogrifo, 12 pollici e mezzo, flessibile;
• Anello e ciondolo d'argento;
• Tomo "Trasfigurazione Umana Avanzata Volume III: l'Animagus";
• Polvere di Cernunnos;
• Bracciale Celtico originale.

Note Off: Si potrebbe avere il titolo in grassetto e in bianco con le scritte "Snow" e "Fox" in corsivo? :flower:
La musica potrebbe cambiare di post in post per dare maggiore pathos. Enjoy!


 
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view post Posted on 17/12/2018, 10:40
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Il Fato

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jPI8POX

"Io sono anche il Custode della chiave della morte e della rinascita; guido le anime attraverso e oltre i Cancelli della morte, verso le terre dell’eterna estate."

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Irraggiungibile alle anime ancorate ai dettami del reale, il dolce profumo di un'eterna Estate avvolse Aoife. I polmoni si riempirono un'ultima volta, svuotandosi in un soffio delicato come la donna a cui per anni era appartenuto quel respiro. Gentile e premurosa, l'anziana non si era smentita nemmeno sul letto di morte, cercando rassicurazioni anche oltre i confini della ragione. La bellezza di Galway non era mai venuta meno, anche oltre gli occhi resi vitrei dall'età si sarebbe potuto intravedere la meraviglia nello sguardo di chi posava i propri su di lei. Giunta all'improvviso, però, la Morte con la sua lunga falce d'ombra aveva sfiorato il cuore della nonna, disancorandone l'anima. Alcuni ricevevano in dono il tempo dei saluti, delle raccomandazioni e delle promesse che forti come patti avrebbero avvolto i cuori dei presenti. Altri, invece no.
Con una carezza e con la mente confusa dall'età e da un dolore mai scomparso, Aoife Whelan-Weiss aveva lasciato la terra mortale per sempre.

Il ruggito dell'Orso, il pianto delle fanciulle, la rabbia dei cavalieri e il bacio di Giuda. Ognuno dei presenti al capezzale, e non, aveva un ruolo prefissato nel tempo, ma il momento delle verità era lontano tanto quello del cordoglio era prossimo. La furia dell'uomo che aveva d'un tratto perso la compagna di una vita, infuocava Regan. L'istinto selvaggio sussurrava al suo scheletro. Cieco alla sofferenza dei nipoti. Sordo ai loro richiami. Necessitava di un colpevole da additare, di un mostro da sconfiggere, di una vendetta dal sapore amaro. L'insinuazione che piangere la morte non fosse il compito principale di Aiden, s'infiltrò crudele sotto la corazza dell'Auror. Dettare i tempi del lutto dei propri nipoti, però, non rientrava tra i poteri dell'anziano capostipite, sebbene impegnarsi allo stremo delle forze avrebbe distratto mente e cuore dal dolore ancora troppo grande per essere affrontato. Incontenibile, la battaglia animava i due uomini in vita più importanti per Aoife. Da una parte, Regan, l'Orso d'Irlanda che fremeva per rilasciare l'altra metà di se stesso e sottoporre ai ruggiti della bestia tutto il dolore che l'essere umano non sopportava più. Dall'altra, Aiden Weiss, che in quel momento più che mai percepiva la necessità di una nuova forma, perché la semplice umanità non bastava a contenere la sofferenza. Cernunno, tra gli Dei, avrebbe potuto aiutarlo, guidarlo lungo il percorso delle trame ramate. Se ci fosse stato un vuoto da colmare, e se davvero la sua anima comprendeva una zona scura che doveva essere liberata, allora il Dio della Caccia avrebbe accolto l'ennesimo figlio. Ma se l'Auror era pronto a risolvere il conflitto interno in un lungo attimo solo per sé e per i propri Dei, l'anziano vedovo non lo era affatto.

Il profumo pungente dell'Inverno solleticò le narici di Aiden. L'aria fresca, libera dall'umidità delle stagioni precedenti, avrebbe presto richiesto una copertura per gli esseri senza pelliccia che abitavano quel mondo.
Prima che il mago potesse fare un passo oltre la soglia della casa che si era stretta attorno al corpo esanime della nonna, una voce trafisse il silenzio.
Apparteneva a Regan che, scuro in volto, richiamava il nipote all'ordine.

- Dove stai andando?


Inverno ed Estate.
Morte e Rinascita.




Benvenuto nella tua Quest.
Se dovesse insorgerti qualche dubbio, non esitare a contattarmi.


 
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view post Posted on 19/12/2018, 11:46
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When the snow falls, the fox tries to survive.

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When the snow falls, the fox tries to survive
Chapter II - Between Heaven and Earth

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Il piede si arrestò per una frazione di secondo, il tempo per udire quella domanda che sapeva di rimprovero: suo nonno stava cercando di riportarlo all’ordine, di fargli capire quale fosse il suo posto in quel preciso momento. Eppure, Aiden lo sapeva, non poteva più attendere: il bisogno si era fatto più forte e non poteva ignorarlo, non quando c’era in gioco il suo stesso equilibrio, se non l’Anima stessa.
Il giovane uomo si voltò appena verso il vecchio patriarca e sorrise, tra mistero e sofferenza, affinché Regan capisse quanto avrebbe lottato pur di non rimanere lì inchiodato con solo metà di sé stesso. Non poteva più essere obbligato, non ora che era un uomo fatto e finito. Una scintilla ribelle apparve improvvisa negli occhi blu come l’oceano dell’Auror, annunciando l’intento di ribellarsi nel caso vi fossero stati ulteriori impedimenti. «A cercare me stesso...» fu la risposta.
Il piede toccò quindi i gradini di pietra scura e lì discese tutti il più velocemente possibile: una corsa che doveva andare a discapito della menomazione del vecchio, oltre che a qualsiasi tipo di incantesimo che avrebbe potuto raggiungerlo, fermando così quella che all'apparenza poteva sembrare una fuga. Il fulvo, ovviamente, cercò di essere il più lesto possibile e nel mentre la sua mente andò a focalizzare un punto ben preciso di Dublino: la torre del Dublin Castle. Deserta e in fase di ristrutturazione, la struttura si sarebbe rivelata una valida prima meta in quella sua ricerca, poiché la Materializzazione non consentiva lunghe tratte e pertanto era costretto a stabilire delle tappe così da giungere in sicurezza in Scozia. La Metropolvere non rientrava tra i mezzi di trasporto che più preferiva e oltretutto non era stato ancora stabilito un collegamento tra il Maniero dei Weiss e la Tana della Volpe; avrebbe solo rischiato di finire in un camino a caso se solo ci avesse provato. La Passaporta, poi, era totalmente da escludere: Aiden non aveva ancora le giuste capacità per crearne una ed erano tutte regolamentate dal Ministero; perciò, se solo ci avesse provato, probabilmente sarebbe solo finito nei guai per aver usufruito di una Passaporta illegale, indipendentemente dalla ragione che lo spingeva ad allontanarsi dal Maniero.
La bacchetta era stretta in pugno, mentre la mente elaborò il punto d’arrivo. Visualizzò con accuratezza e precisione le pietre che costituivano la torre, come tanti robusti tasselli che avevano affrontato le varie insidie del tempo. La Record Tower, infatti, fu l’unica ad essere rimasta in piedi a seguito di un incendio che colpì il castello diversi secoli prima. Aiden si era Materializzato su quella struttura diverse volte durante i suoi viaggi, era una delle sue mete preferite e sicure, perciò non gli fu particolarmente difficile ricordarsi com’era fatta. Anche le merlature presero forma nella sua mente, così come i soppalchi e i teli messi dagli operai Babbani addetti alla ristrutturazione; e non appena ebbe formato l’immagine completa della torre, capì di aver soddisfatto la prima D, la Destinazione.
L’uomo iniziò a desiderare con tutto sé stesso di voler trasferire ogni fibra che costituiva il proprio essere in quel determinato luogo, al voler ancorare i piedi alle pietre della torre piuttosto che calpestare il terreno di famiglia. La Determinazione, dunque, giunse infine ad alimentare l’intero processo, a spingere Aiden nel voler raggiungere a tutti i costi il Dublin Castle, mitigando tuttavia il senso d’urgenza o si sarebbe spaccato. Calma e sangue freddo, l’Auror mantenne la mente lucida e placida come la superficie di uno stagno, mentre la Decisione si fece strada in lui così da poter infine aggiungere l’ultima D mancante. Era sicuro di sé, certo che sarebbe andato tutto bene e che il proprio desiderio e volontà lo avrebbero guidato lungo una via sicura.
Nessuna incertezza, nessuna esitazione. L’Auror si sentì pronto e ben concentrato, mentre ognuna delle tre D necessarie al compimento della Materializzazione vennero ben più che soddisfatte, perciò ruotò su sé stesso ed infine scomparve, accompagnato dal caratteristico rumore.

Un leggero vento mosse i teli trasparenti di nylon mentre l’Auror apparve sul posto. Era Domenica, per sua fortuna, e nessuno era presente sul luogo di lavoro.
Si concesse un attimo per ammirare la zona di Dublino che circondava il Castello, sospirando e riflettendo su quanto era appena successo, su come una mano misteriosa e maligna avesse portato nella sua vita l’ennesimo lutto. Prima suo padre, ora sua nonna. Quanti altri avrebbe dovuto perdere per un capriccio del Destino? Quante altre vite sarebbero state prese per soddisfare una Profezia che lo vedeva come principale protagonista?
Erano pensieri cupi ma che dovette mettere da parte, conscio del fatto che prima avrebbe dovuto pensare a ben altro, a rispondere ad un richiamo a lui irresistibile, dolce come il miele e caldo come il latte appena munto. Il fulvo di Galway proiettò la propria mente e concentrazione alla radura su cui sorgeva la propria dimora, la Tana della Volpe, in cui il manto d’erba estivo si era spento e aveva lasciato spazio ai colori autunnali, diventando secco e ricoperto da uno spesso strato di foglie delle betulle e dagli aghi dei pini circostanti. Un muro di legna tagliata era accatastata vicino al portico che dava sull'entrata della villetta, mentre quest’ultima era fatta quasi totalmente in pietra e ricoperta di edera, rendendola meno appariscente. Scelse come punto d’arrivo un pezzo d’erba piuttosto spoglio e terroso a due passi dal portico di legno.
Ancora una volta una tenne a bada le proprie emozioni, lasciando che fosse la propria Determinazione a prevalere. Un uomo saldo come lui non si sarebbe di certo abbattuto alla minima difficoltà, per questo la sua risolutezza era un fattore assai presente e saldo di lui, uno dei tanti mattoncini che costituivano il suo intero essere. Se poi si univa il desiderio costante nel voler arrivare a destinazione e compiere quanto si era prefissato, il tutto sarebbe - forse - venuto da sé.
Infine, non appena si sentì pronto, Weiss si diede la spinta decisiva, nonché quella definitiva: era sicuro di farcela - doveva farcela! -, di riuscire ad arrivare a casa senza il minimo cenno di spaccatura, poiché aveva svolto quella tratta di viaggio un sacco di volte e nulla lo aveva distratto al tal punto da fallire. Per quanto il dolore del lutto fosse forte, Aiden aveva però un obiettivo specifico e realizzarlo era una prerogativa che vinceva su tutto il resto, persino sulle proprie afflizioni. Fu proprio con questo movente che ruotò nuovamente su sé stesso e scomparve.


L’aria circostante venne riempita dal suono di chi si era appena Smaterializzato e la figura dell’Auror apparve nel punto stabilito. Sospirò profondamente e una nube di aria calda fuoriuscì dalle sue narici: il freddo era giunto fin lì e ipotizzò che data l’altitudine in cui risiedeva il luogo che aveva pensato di raggiungere, probabilmente doveva fare decisamente più freddo. Aiden però non se ne curò affatto, aveva in mente una soluzione perfetta e perciò entrò in casa per prepararsi al meglio.
Lancillotto alzò il muso dal divano sul quale si era accucciato e scodinzolò nella sua direzione, sebbene lanciò un verso facilmente riconducibile ad un pianto. «Ciao bello...» mormorò, avvicinandosi e accarezzandolo, prima di lasciarlo buono dov’era e salire al piano superiore. La gatta, invece, sembrò stranamente seguirlo, mossa da uno strano interesse. Ginga balzò sul letto di Aiden e lo fissò con intensità dopo aver miagolato, quasi con dispiacere, come se la felina avesse percepito il dolore del suo padrone e volesse stare con lui. In un certo senso ognuno dei suoi fedeli animali aveva mostrato atteggiamenti contrastanti alla loro consueta natura: Lancillotto era rimasto fermo al proprio posto con sguardo triste, quando solitamente era iperattivo, mentre Ginga fece l’esatto opposto piuttosto che starsene sulle sue. Era come se avessero intuito cosa fosse successo e anche loro stavano affrontando il lutto assieme ad Aiden. Si sporse dunque verso la gatta e le baciò il muso con affetto. «Tra non molto, piccola mia, saprò se ne sarò degno.» mormorò, per poi strapparle dolci fusa con delle leggere grattatine sul collo. «Devo prepararmi.»
Alcune delle tinture che erano avanzate da Beltane erano rimaste all’asciutto dentro un barattolo, una polvere blu cobalto, nonché il colore per eccellenza degli antichi guerrieri Celti. Per come la vedeva lui, era sia un guerriero che un Celta, poiché nelle sue vene scorreva il sangue di quel popolo che aveva vissuto sia in Irlanda che in buona parte del Regno Unito. Si disegnò dunque due linee blu sul lato destro del viso, percorrendo tutta la faccia fino all’inizio della barba; poi disegnò nelle porzione di pelle non toccata dai tatuaggi diverse spirali e altri simboli legati ai Celti. Una runa molto particolare, che serviva a proteggere i viandanti durante i loro viaggi, era stata disegnata sul petto. Ricordava una bussola, in un certo senso, così non avrebbe smarrito facilmente la via.
Indossò la propria tunica leggera bianca, simbolo di purezza e nobiltà d’animo, per poi avvolgersi la vita con una lunga striscia di tartan a scacchi verdi e blu, emulando una sorta di gonnellino improvvisato, e passandosi il resto del tessuto fino alla spalla sinistra. Si assicurò che rimanesse ben salda con una cintura o non sarebbe durato granché. A prima vista poteva sembrare un Highlander con il famoso kilt, ma la verità era che aveva deciso di sfruttare l’idea per onorare anche gli Scozzesi; dopotutto ora viveva in Scozia e il popolo dei Celti aveva vissuto anche in quel territorio, perciò si era sentito in dovere di farlo oltre che avere un abbigliamento comodo e abbastanza umile per presentarsi a Cernunnos.
Radunò poi il resto delle cose necessarie al rituale in uno zaino, dove prese ad infilare il libro con di Trasfigurazione Umana Avanzata Volume III: L’Animagus, il sacchetto con la polvere di Cernunnos e una brocca di ceramica da riempire con l’acqua del lago.

Una leggera brezza filtrò tra le pieghe del tartan, facendolo rabbrividire. Nonostante fosse abbastanza abituato ad avere a che fare con determinate temperature, non era il caso di rischiare di arrivare a destinazione mezzo congelato, perciò estrasse la bacchetta dalla cintura. La punta della bacchetta andò a toccare il proprio petto, una cosa assai essenziale se voleva permettere all’incantesimo di riscaldarlo e non disperare calore inutilmente. Ecco. Che la magia si alimenti con il fuoco che arde dentro di me, che tragga nutrimento dal mio sangue che ribolle come la lava di un vulcano. Saziati e mantiemi caldo., pensò. Fu quella l’idea che si creò nella propria mente, che l’incantesimo stesso si alimentasse grazie al fuoco che aveva in corpo, impedendogli di congelare. Un desiderio, un imperativo che ben presto sarebbe diventato un ordine, mentre la concentrazione raggiunse il proprio massimo grazie alla totale assenza di distrazioni. «Fuocòndro.» pronunciò con decisione e chiarezza, facendo ben attenzione alla giusta pronuncia e particolari accenti. Voleva che l’incantesimo funzionasse come aveva pensato, come l’immagine del fuoco e della lava si era formati nella sua testa, perciò confidò che andasse tutto per il meglio o altrimenti avrebbe dovuto ritentare nuovamente.
Dopo essersi assicurato che nulla fosse andato storto, Weiss cercò tra la legna ancora da spaccare due legnetti abbastanza robusti e ne trovò due decisamente adatti e che provenivano da un pino. La propria marcia verso il lago venne scandita sotto il suono dei due legnetti che vennero sbattuti l’uno contro l’altro con un preciso ritmo e di una canzone in gaelico, 'S Fagain Mo Bhaile, che prese a cantare:

«Maidin is tús an lae
Is fágaim mo bhaile
Tá mo chroíse go brón
Is fad ar shiúl m'óige
Oíche is mé liom féin
Spéartha dubh go domhain, a choích
Ag cuimhneach ar laethanta a bhí
Gan ghá agus gan ghruaim
Eistim leis an ghaoth
Uaigneas mór, go deo, a choích
Deireadh an turas mór
Táim brónach, buartha 's briste
I mo dhiaidh nach mbeidh níos mó
Ach, tá sé I ndán dúinn, a pháistí
Is fada anois an lá
A d'fhág mé mo bhaile
Níl áthas I mo chroí
Níl ann ach an marbh.
»[1]



Marciò solenne, cantando in modo da poter esprimere cosa stava provando, così da potersene liberare durante il tragitto; marciò facendosi sentire in tutta la sua potenza al Dio della Caccia.
Ecco un Uomo umile ma virile che si stava addentrando sempre più nella natura selvaggia ed incontaminata in cerca del suo Dio.
Ecco un Cacciatore che si accingeva a raggiungere il proprio Signore a cui dare i propri servigi.
Ecco un Figlio in cerca dei favori del Padre.


La radura fatta di ciottoli si aprì davanti a lui e il rombo dell’acqua della cascata, che si affacciava sul lago, riempì le sue orecchie in segno di benvenuto. Era un piccolo angolo di Paradiso rimasto inviolato dall’uomo, un luogo intimo e tranquillo in cui affrontare la propria ricerca personale. C’era tutto ciò che gli serviva: sassi, rami, foglie e acqua. La Natura provvedeva e dava, di questo Aiden non aveva mai avuto dubbi.
«Seo mise, mo Thiarna Cernunnos.»[2] urlò al cielo, spalancando entrambe le braccia dopo essersi privato di ogni indumento presente sul suo corpo tonico e muscoloso. La pelle bianca sembrò diafana sotto i raggi del sole, mentre i peli rossicci presenti qua e là sulla sua figura parvero ardere di fiamma viva, così come i capelli e la barba. Tutto venne esposto al giudizio del Dio, affinché potesse valutarlo. Aiden Weiss si presentò così com’era venuto al mondo, senza alcuna vergogna o timore.
«Níl rud ar bith agam a thairiscint duit, ach amháin mo Chorp, mo Chroí agus mo Spiorad. Taispeáin dom cé atá mé!»[3]
Posò lo zaino e andò alla ricerca di sassi lisci e perfettamente rotondi, prevalentemente della stessa misura. Quella sua scrupolosità era essenziale: sarebbero sorti meno inconvenienti se il rituale fosse stato rispetto alla lettera; ma oltre a questo, da bravo credente, Weiss voleva che fosse tutto perfetto e che Cernunnos si rivelasse soddisfatto del proprio discepolo.
Ogni azione, ogni passo che il fulvo compiva tra una cosa e l’altra, fu a passo di danza. Una danza tribale, con movimenti sia sinuosi che minacciosi, richiamando i toni della guerra, della virilità e della caccia. Di tanto in tanto, la tranquillità del posto venne interrotta bruscamente da alcuni gridi di guerra che echeggiarono nella vastità del Creato, riempiendo ogni spazio presente tra Cielo e Terra.
Le pietre vennero sistemate in un cerchio perfetto e abbastanza grande in una porzione di terra sprovvista di sassi e da qualsiasi altro elemento di troppo. «D'fhéadfadh an ciorcal seo a chosaint ó aon bhagairt le linn mo thurais. Ní dhéanann na biotáillí olc an bac seo.»[4] Estrasse la brocca dallo zaino e si avviò verso le acque limpide e gelide del lago, riempiendola fino all’orlo e posandola all’interno del cerchio, così che l'avrebbe avuta davanti a sé. «D'fhéadfadh an t-uisce seo gach rian a fháil ar pheaca, agus é a ghlanadh.»[5] Poi venne il turno dei rami e delle foglie secche. Aiden dovette ritornare tra gli alberi del boschetto circostante per trovarli, raccogliendo un misto tra foglie e rami di betulla e aghi di pino. Vecchi e secchi come i capelli di un’anziana signora, quanto aveva raccolto venne ammucchiato nel cerchio e l’Auror vi si accomodò al suo interno, a gambe incrociate, con anche la polvere di Cernunnos e la bacchetta. «Ó mo Thiarna Cernunnos, tá mé anseo. Dóiteáin, Uisce, Domhan agus Aeir. Féadfaidh na ceithre eilimintí deis dom labhairt leat, Dia mór!»[6]
La stecca di Biancospino, sua fedele compagna, era salda nella sua mano e nella sua mente andò a crearsi l’immagine di una fiammella sicura e sotto il suo totale controllo, che avrebbe infine acceso quel piccolo falò. Era importante che fosse tutto sicuro o avrebbe potuto causare pericoli per sé stesso oltre che all'ambiente circostante; e lui, di certo, non voleva inimicarsi il Dio della Natura Selvaggia. L’incantesimo Lacarnum Inflamare sarebbe stato il più idoneo il tal senso, perciò l’Auror rimase concentrato sull’effetto che voleva ottenere, richiamando attraverso la magia una piccola fiammella che avrebbe divorato i doni della terra. Era ciò che voleva con tutto sé stesso, perciò attinse alla propria fonte magica e quando fu pronto procedette nel muovere la propria bacchetta. Meticolosamente, iniziò a delineare nell’aria una S rovesciata in senso orizzontale, partendo da sinistra verso destra; prima venne disegnato il semicerchio con la pancia rivolta verso il basso, poi - senza staccare la linea di neanche un millimetro - proseguì a tracciare la pancia rivolta verso l’alto. Con fermezza e decisione, la bacchetta venne puntata sul mucchio di rami e foglie, mentre con chiarezza scandì: «Lacarnum Inflamare!» Non toccò con la punta il bersaglio, ma fece comunque in modo che la futura fiammella raggiungesse il luogo da lui designato.
Quando finalmente Fuoco e Terra presero a lottare tra loro, il fulvo afferrò la brocca e si versò in testa il gelido contenuto, lasciandosi pulire e battezzare come il rituale prevedeva. Respirò profondamente, chiudendo gli occhi per una frazione di secondo, sentendosi già in pace con sé stesso. Era davvero pronto ad incontrare il proprio Dio, a farsi sottoporre al suo giudizio e ad accettare qualsiasi verità gli sarebbe stata rivelata. Non c’era più spazio per le incertezze, non c’era più tempo per i ripensamenti. Ora la via del ritorno era stata sbarrata, il rituale era incominciato e lui - di certo - non si sarebbe mai voltato indietro. Andare avanti, solo questo contava.
Con la mano sinistra raccolse un mucchietto di terra e lo sparse sul fuoco, concludendo quella parte di purificazione. Infine, venne la volta della polvere di Cernunnos che con la mano destra andò a versare sulle fiamme. Fuoco, Acqua e Terra erano già stati tirati in ballo, ora mancava l’Aria e Aiden avrebbe pronunciato la formula necessaria ad attirare l’attenzione del Dio in una sorta di cantilena, lasciando che la sua voce venisse trasportata dal vento fino alle orecchie di Cernunnos.
« Cernunnos Thelyn sem uchedydd fon soyenn phont a ty’u! Cernunnos Thelyn sem uchedydd fon soyenn phont a ty’u! Cernunnos Thelyn sem uchedydd fon soyenn phont a ty’u!»
Un fumo bianco presto si sarebbe levato nell'aria e Aiden l’avrebbe inalato in segno di rispetto, per poi lasciarsi guidare dal Fato nella casa del suo Dio.
Era pronto.

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Aiden Weiss
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• Bacchetta in legno di biancospino, piuma di Ippogrifo, 12 pollici e mezzo, flessibile;
• Anello e ciondolo d'argento;
• Tomo "Trasfigurazione Umana Avanzata Volume III: l'Animagus";
• Polvere di Cernunnos;
• Bracciale Celtico originale.

Note Off:
[1] Versione in inglese, qui;
[2] Eccomi, mio Signore Cernunnos.
[3] Non ho nulla da offrirti, se non il mio Corpo, il mio Cuore e la mia Anima. Ti prego, mostrami chi sono!
[4] Che questo cerchio mi protegga da qualsiasi minaccia durante il mio viaggio. Spiriti maligni non oltrepassarete questa barriera.
[5] Che quest’acqua possa lavare via ogni traccia di peccato, purificandomi.
[6] Oh mio Signore Cernunnos, eccomi. Fuoco, Acqua, Terra e Aria. Che i quattro elementi mi permettano di parlarti, grande Dio!


 
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Il Fato

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"Io sollevo la mia lancia scintillante per illuminare le vite umane e ogni giorno riverso oro sulla Terra, dissipando l’oscurità e illuminando le menti."

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Il ringhio sommesso dell'Orso si levò oltre la cupa atmosfera di rimpianti e malinconia. Come una nube velenosa ed inarrestabile, il dolore si stava impossessando della magione e per Aiden era tempo di lasciare quelle mura. Difficilmente gli occhi provati del capostipite avrebbero trovato tregua, ed a poco sarebbe servita l'affermazione sicura del nipote, ma quand'egli risposte, Regan tacque.

Magia e umanità spesso intrecciavano le proprie trame perché l'una incontrasse l'altra, e come Dublino scorreva sotto gli occhi dell'Auror, il Villaggio di Hogsmeade la sostituiva e poi ancora: casa. La Tana della Volpe, il cottage in cui nel bene e nel male il figlio di Charles aveva chiamato a sé una diversa indipendenza, meno solitaria sotto certi aspetti e molto più intima. Dismessa la corazza del nipote affranto, ora che nessuno aveva intenzione di provarne le difese, il mago dipinse nuovi tracciati sulla pelle chiara. La carne non sarebbe più stata debole ed un guerriero sembrava pronto a sorgere dalle spoglie fin troppo umane dell'Auror. Primitive, le intuizioni di Aiden erano guidate dal vecchio popolo che aveva lasciato in punti ben precisi del mondo, una traccia leggibile del proprio passaggio. Era in lui che il vecchio ed il nuovo s'incontravano? Vestito con l'umiltà di un uomo, si mosse ancora.

Un credo antico come l'anima del Dio che avrebbe presto invocato, scaldò il corpo del ragazzo affinché questo potesse proteggersi dalle inside del gelido inverno. Non erano molti coloro che avevano accesso al regno onirico, alla visione del percorso da seguire, ma quei pochi avanzavano di un passo verso il "non ritorno" solo se ne erano meritevoli. Se davvero in loro v'era lo spirito sopito, allora convivervi diventava un imposizione imprescindibile. Se invece il vuoto accoglieva le loro domande, non era quello il modo di colmarlo. Ma in Aiden non c'era solo la speranza di aver capito la Profezia, o il desiderio di conoscere se stesso ad un livello tanto intimo. In lui, in vero, ribolliva un guerriero il cui canto non aveva fine. Primordiale come il ritmo su cui danzavano le note, il canto raggiunse il mondo dell'invisibile e ivi rimase, in attesa. Schiusosi infine davanti ai suoi occhi, il luogo perfetto diede il via all'ultima parte di un rituale che per Aiden aveva avuto inizio da quando aveva imposto ad alta voce il proprio volere contro Regan. Bisognoso di un'accettazione completa e totale, qualcosa a cui nemmeno il Dio della Caccia avrebbe potuto rispondere pienamente, l'Auror si spogliò di ogni cosa, materiale ed immateriale. Nessuna difesa avrebbe impedito a Cernunno di esaminare la sua anima, ma ben poco di quegli scudi umani avrebbe comunque impedito alla divinità di vedere Aiden Weiss per ciò che era.

Nell'etereo e quieto regno del selvaggio ignoto, Cernunno udì il prego. Aprì gli occhi oltre la coltre di intorpidimento, pronto a mettere alla prova l'ennesimo - ma non incauto - viaggiatore. In mimesi perfetta con la fauna del suo regno, il Dio varcò il confine del fiume che divideva il corporeo dal più elevato incorporeo. Invisibile agli occhi del mago, si piegò finché non fu ad un soffio da lui. Il profumo del bosco invase le narici di Aiden, sostituito al fumo del rituale. Era il primo segno che qualcosa stava cambiando. Immenso come solo un Dio sapeva essere, valutato lo spirito di Weiss, Cernunno acconsentì.

Un vento forte avrebbe costretto il mago a tenere gli occhi serrati, prima che un fruscio spegnesse i rumori del bosco. Non v'erano fiumi a scorrere lungo le rocce, non v'erano fronde a piegarsi l'una sull'altra. Ogni rumore naturale si spense e solo riaprendo gli occhi il ragazzo ne avrebbe capito il senso. Avrebbe potuto percepire un dolce strappo all'altezza del cuore, come se una parte di sé, la più vera, si fosse separata dalla spoglia mortale... e forse non era poi così distante dalla realtà. Timore, eccitazione, desiderio: cosa avrebbe provato? Aperti gli occhi, Aiden avrebbe visto il mondo a lui designato, il regno in cui il percorso stava per essere tracciato. Era seduto al centro di una piccolissima radura, su un letto di morbido terreno spoglio. Attorno a lui una fitta nebbia biancastra toccava terra e si innalzava per metri. A spuntare - in ogni direzione visibile fronde di pini dall'innaturale cromatura rossastra. Sfumato nei toni del tramonto, quel mondo appariva nuovo sotto ogni aspetto. Ma altro era cambiato in quel breve viaggio. La veste con cui aveva affrontato il gelido inverno irlandese era tornata a coprirlo, sebbene anch'essa screziata da una sfumatura diversa, quasi nocciola. Un segno? Un monito? Il viaggio che stava per intraprendere era interiore, non esisteva più un confine tangibile con l'apparenza esteriore, e non ci sarebbe stato fintanto che Aiden non avesse trovato la metà mancante della sua anima. Se avesse osservato oltre la coltre che, densissima, imbiancava la foresta rossa, avrebbe potuto notare le guglie di una torre, a Nord. Infine, se anche l'avesse cercata, non avrebbe trovato la fedele bacchetta da nessuna parte. Lui era lo strumento.


 
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When the snow falls, the fox tries to survive.

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When the snow falls, the fox tries to survive
Chapter III - And now it begins

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L’odore forte e pungente del bosco, in particolare dei pini, ben presto venne sostituito dal fumo del rituale, talmente intenso che in breve tempo la mente dell'Auror venne offuscata, resa leggera ed inconsistente come l’aria stessa. Qualcosa era cambiato, in senso davvero radicale, ma Aiden era diventato talmente ebbro che non si soffermò troppo a pensarci. Piuttosto un forte vento lo investì in pieno e lo costrinse a serrare gli occhi, perdendo ogni cognizione visiva e ben presto persino uditiva; tutto taceva, tutto pareva immobile e innaturale, come se qualcuno si fosse divertito a gettarlo in una sorta di Limbo, il nulla assoluto.
Avvertì un piccolo strappo all'altezza del cuore, tutto sommato dolce, ma che comunque lo lasciò interdetto, se non addirittura turbato. E allora iniziò a temere che Cernunnos fosse in collera con lui, che lo stesse punendo per qualcosa, perché ebbe come l’impressione che lo avesse privato di un pezzo della propria anima; e lui aveva invocato il suo aiuto per trovare la metà che già sentiva come assente, non che lo spogliasse di altro. Dunque aprì gli occhi di scatto, il cuore che batteva all'impazzata per quel timore sorto all'improvviso, annaspando in cerca di ossigeno.
I palmi incontrarono quella che era la superficie spoglia ma morbida di una piccola radura in cui si trovava seduto. Poi una mano corse al cuore, lì dove aveva percepito lo strappo, mentre il suono del proprio battito cardiaco sembrò riempirgli le orecchie così come il proprio respiro pesante ed affannato. Sembrava aver corso per miglia e miglia, invece fu solo l’ombra di un timore che via via sembrò scemare, mentre gli occhi blu come l’oceano presero ad indagare l’ambiente che lo circondava. Una fitta coltre di nebbia partiva dal suolo e si protraeva verso il cielo, ma era possibile distinguere alcune cime di pini di un rosso davvero innaturale.
Aiden trasse un profondo respiro e si alzò in piedi, rendendosi conto che non solo l’ambiente era cambiato, ma anche lui stesso. Il contatto dei piedi nudi sul terreno fu la prima cosa che percepì, tanto da abbassare lo sguardo per averne l'effettiva conferma e constatò persino di indossare una tunica abbastanza ampia e lunga da tenere coperto quel corpo che, ora ricordava, era rimasto nudo durante il rituale. La sfiorò con le dita della mano sinistra, mentre nella mano destra non avvertì la presenza della fidata stecca di Biancospino: nessuna possibilità di sprigionare la magia contenuta nel proprio sangue, ma avrebbe dovuto quindi contare su se stesso e sulle sue altre capacità di sopravvivenza. Tutto sommato, andava bene così.
Il colore della sua nuova tunica diede Weiss qualcosa su cui pensare, magari non era così tanto puro come aveva sperato di essere ed era stato punito per essersi dimostrato un vero ipocrita; oppure, semplicemente, perché era incompleto e quel color nocciola poteva indicare il suo viaggio verso la scoperta di una parte di se stesso rimasta ancora ignota. E lui aveva invocato Cernunnos proprio per quel motivo, per cercare il suo Io mancante. Era quindi in quel luogo che doveva cercare?
In lontananza, attraverso la fitta nebbia, riuscì a scorgere le guglie di una torre. Non aveva la minima idea di quanto fosse distante dal punto in cui si trovava, tuttavia dai toni del tramonto che andavano a sfumare l’intero ambiente circostante, Aiden poté dedurre che la struttura si trovasse a Nord. Se poi doveva aggiungere la consapevolezza di trovarsi in un luogo a lui assolutamente sconosciuto, la scelta di procedere verso la torre rimaneva l’unica da intraprendere: non era saggio vagare senza meta tra la fitta nebbia rischiando di perdersi e non trovare via d’uscita. Era anche fiducioso del fatto che, se era riuscito ad avvistare la torre, un motivo doveva esserci e l’Auror interpretò quella specie di segno come un invito ad imboccare proprio quella direzione. E poi, chissà se troverò qualcosa di interessante laggiù... pensò, grattandosi la barba ispida e rossiccia, incuriosito da quella torre misteriosa.
Alzò la testa al cielo e sospirò profondamente, gli occhi momentaneamente chiusi. «Sono pronto, mio Signore. Mostrami la via.» mormorò, riaprendo infine gli occhi e fissando la nebbia davanti a sé con sfida. Qualsiasi cosa si celasse al suo interno, Aiden non aveva paura, perché lui era un predatore e non una preda. Così, esattamente come aveva già sognato quasi un anno prima[1], il fulvo si mosse in tutta sicurezza e fiducia nel proprio Dio, iniziando a correre verso la torre.
Lasciò che quel nuovo mondo lo guidasse e aiutasse ad entrare maggiormente in comunione con la Natura circostante, oltre a sperare che ai suoi sensi venisse concessa la possibilità di riconoscere e anticipare qualsiasi ostacolo o pericolo. Ma anche se fosse andato a sbattere contro un albero, poco importava, per Aiden un naso rotto significava una lezione e dalle lezioni si imparava a vivere. E lui voleva vivere, ma completo.

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Aiden Weiss
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Bacchetta in legno di biancospino, piuma di Ippogrifo, 12 pollici e mezzo, flessibile;Assente*
• Anello e ciondolo d'argento;
Tomo "Trasfigurazione Umana Avanzata Volume III: l'Animagus";Assente*
Polvere di Cernunnos;Utilizzata
• Bracciale Celtico originale.

(*): Rimasto nel piano materiale.

Note Off:
[1] Riferimento al Contest di Gennaio 2018, click.


 
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view post Posted on 16/1/2019, 11:16
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Il Fato

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"Io sono anche Herne il Cacciatore, padrone delle bestie selvatiche e libere. Corro con passo svelto del cervo e volo come un falco sacro sullo sfondo dei cieli brillanti. Le antiche foreste e i luoghi selvaggi emanano i miei poteri."

↸↸↸


Pochi avevano varcato i confini dell'impossibile ed erano tornati indietro.
Pochi avevano avuto la concessione del sommo padrone dei luoghi.
Pochi erano riusciti a conquistare la consapevolezza ultima.
Pochi ne avevano parlato a terzi, per nulla pronti a condividersi.
Ma nessuno era mai stato lì.

Dov'era però quel "lì"? Esisteva in un punto arcano dell'Universo? Difficile a dirsi nei primi impetuosi ed emotivi attimi, ma con il tempo il giovane mago avrebbe compreso dove si trovasse davvero. Prima, però, aveva un strada da trovare oltre la coltre di fitta nebbia candida. Cernunno osservava.

Accedere al luogo della rivelazione non era che l'inizio del percorso a cui Aiden Weiss aveva deliberatamente scelto di votarsi. Devoto a Cernunno, era pronto a seguire la scia che il Dio della Caccia avrebbe mostrato, forse inconsapevole di quanto sacrificio quel gesto avrebbe richiesto. Di nuovo nel suo regno naturale, il divino della foresta sfiorò le fronde dei pini rossi che il grande palco di eteree corna, puntando gli occhi in basso, laddove il giovane mago cercava l'indirizzo della sua anima. Il cuore puro dell'Auror non sarebbe stato sufficiente a consentirgli di trovare la direzione perfetta. Ora che il fisico era diventato metafisico, era tutto nelle mani dell'invocatore. Lui avrebbe dovuto capirsi, stanare paure e certezze, trovare da sé il ritmo giusto. Non v'era bisogno di magia in un mondo in cui lo spirito prevaleva su tutto.

Dopo il primo momento di indagine logica, Aiden scelse la torre e corse. Per un attimo la nebbia parve iniziare a diradarsi, e più il ragazzo proseguiva e più quella si diradava, ma in compenso la struttura non sembrava essersi mossa di un centimetro, non gli andava incontro come avrebbe dovuto. Il profumo intenso dei frutti del sottobosco invase con una folata rapida le narici dell'Auror poco prima che la Torre di pietra apparisse lontana tanto quanto prima. Avrebbe potuto correre per ore ma quelle guglie non sembravano pronte ad avvicinarsi. Sembrava che lui dovesse guadagnarsi ogni passo, ma di certo non era solo. Con la nebbia appena sollevata oltre il muro, il mago avrebbe potuto notare l'aumentare del bosco rosso in prossimità del suo obbiettivo, oltre ad un largo sentiero di terriccio freddo su cui camminava ed una sfilza di arbusti a segnarne i confini. Proprio lì, tra un fruscio e l'altro, a destra, un occhio inumano si aprì all'improvviso. Piccolo ma vivido. In mezzo alle foglie rossastre, un'iride ambrata e rifinita da una sottile linea nera, si puntò sul ragazzo, prima che con un nuovo movimento, sparisse.


 
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view post Posted on 20/1/2019, 22:53
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When the snow falls, the fox tries to survive.

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When the snow falls, the fox tries to survive
Chapter IV - The unknown's sound

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Come un tamburo il cuore dettò il ritmo di quella folle corsa tra gli alberi rossastri e la fitta nebbia. Accettò il benvenuto di quello strano mondo e si preparò ad esplorarlo con la benevolenza di Cernunnos, confidando di riuscire nella sua disperata quanto necessaria ricerca di se stesso.
Nel petto dell’Auror vi era sia la fiducia che la determinazione nel voler dare un senso alla promessa fatta a sua nonna: correre libero, ovunque vi fosse spazio per un uomo come lui. E, sebbene stesse correndo veloce come il vento, nonostante percepisse in maniera piuttosto distinta una sorta di leggerezza nel farlo, quello non era il suo mondo e pertanto non sarebbe mai stato completamente libero; non finché non fosse giunto a destinazione, non finché non avrebbe scoperto chi era veramente.

Correre.
Correre.
Correre.
Verso la torre.
Nient'altro contava.

Il bianco e rosso sembravano mescolarsi tra loro, mentre la via si spianava e la nebbia fungeva come un sipario, cedendogli il passo verso una meta che non accennava a farsi sempre più prossima. Era come se stesse correndo sul posto, in una sorta di presa in giro bella e buona. L’unica consolazione pareva essere l’odore intenso dei frutti che crescevano nel sottobosco, solleticandogli le narici con una certa intensità, tanto da far sopraggiungere un certo languorino. Ma non era ancora giunto il tempo del ristoro, non se lo era ancora guadagnato né voleva farsi distrarre dal suo obiettivo.
Continuò a correre, mentre i piedi vennero accolti dal terreno fattosi più soffice e freddo, lo sguardo che indugiava spesso sulle guglie della torre, ancora troppo lontana per i suoi gusti. Presto o tardi la corsa lo avrebbe stremato e a quel punto raggiungere la torre avrebbe richiesto più tempo del previsto, ammesso e concesso che fosse realmente possibile. Il solo pensiero di non riuscire nel proprio intento lo fece rabbrividire da capo a piede, come se il freddo trasmesso dal terriccio a contatto con i suoi piedi nudi fosse, a confronto, una quisquilia.
Più avanzava e più riuscì a notare il bosco diventare più fitto, il sentiero costeggiato da degli arbusti della stessa cromatura rossastra: Aiden ritenne che quel luogo fosse sia inquietante che affascinante, ma era certo - tuttavia - che il fulvo ne fosse decisamente incuriosito e per nulla intimorito.
Poi, all’improvviso, alla propria destra udì un fruscio distinto che fece arrestare la propria marcia. L'Auror si mise subito sull'attenti e gli occhi vigili presero a studiare ogni singola foglia in movimento, finché un occhio attirò la sua attenzione. Ambrato e sormontato da una pupilla sottile e allungata, quell’occhio inumano incontrò quelli blu dell’uomo, per poi sparire all’improvviso. Durò veramente pochi secondi, il tempo di rendersi conto di quello sguardo, ma che tutto sommato lo alimentò di innaturale curiosità.
Qual era la natura del suo ospite?
Il fulvo non ne fu affatto intimorito, semmai piuttosto affascinato, ed era deciso più che mai a volerne sapere di più. Forse avrebbe trovato una guida inaspettata in quel posto? Forse era l’unico modo per adempiere la propria missione?
Lasciandosi guidare dal proprio istinto, Aiden si mosse lentamente e piuttosto guardingo, lo sguardo fisso nel punto in cui aveva intravisto l’occhio e cercando di aggirare la zona con una certa distanza di sicurezza: era quasi certo che si trattasse di un animale ma non era in grado di stabilire se la creatura in questione fosse pericolosa o meno. Agire con discrezione e - soprattutto - in sicurezza, senza farla agitare più del dovuto, fu l’unica tattica che poteva adottare.
Non desiderava fare del male nessuno e nemmeno violare il territorio dell’animale, ma soltanto scoprirne l’identità.

▵▵▵

Aiden Weiss
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Bacchetta in legno di biancospino, piuma di Ippogrifo, 12 pollici e mezzo, flessibile;Assente*
• Anello e ciondolo d'argento;
Tomo "Trasfigurazione Umana Avanzata Volume III: l'Animagus";Assente*
Polvere di Cernunnos;Utilizzata
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Inviolato, il mondo rosso di nebbia e di passi incerti era lì solo per lui.
Per Aiden.

Liberatosi del fardello della corsa, utile per sfogare lo slancio che per primo l'aveva smosso dalla magione dei Weiss, il giovane Auror aveva finalmente concesso a Cernunno di mettere in mostra una parte fondamentale del suo piano. Nessuno avrebbe potuto spiegare al mago come funzionava davvero quel rituale antico, poiché per ognuno era diverso, personale. Ma l'attrattiva verso la bestiolina il cui occhio d'ambra aveva incontrato per un attimo un lago blu, era un ottimo segno. Sottile come il dubbio più infido, il desiderio di capire avrebbe penetrato la corazza di certezze? C'era molto da apprendere.

Fuggevole, come la più selvatica delle bestiole, la proprietaria dell'occhio vispo fece muovere le fronde del piccolo arbusto e prima che il viaggiatore potesse avvicinarsi, in un lampo rosso, questa fuggì in mezzo alla rada nebbia rimasta. Non senza lasciare tracce, però. Come un cacciatore come miti intenti, il ragazzo avrebbe potuto vedere i segni del passaggio della creatura: un rametto spezzato tra due bacche nero intenso, aghetti sparsi a terra, ed impronte. Tre zampine avevano lasciato il segno imprimendosi nel terriccio umido poco oltre il cespuglietto. Più piccole di quelle di un lupo, più corte di quelle di un coniglio. Se due orme erano in parte mozzate dalla fretta della fuga, una era invece perfettamente visibile. Quattro piccoli polpastrelli, ruotavano attorno ad un centro più grande, corredati da solchi di unghie.

Un'idea poteva rispondere ad alcune domande, anche remote, che Aiden negli anni e negli ultimi istanti si era posto, ma la realtà aveva bisogno di prove più concrete. Analizzando la direzione delle impronte, avrebbe potuto notare come queste andassero verso Est, mentre la Torre era ancora ferma, a Nord. Dove andare? Aveva senso inseguire la sfuggente creaturina? Oppure era meglio proseguire verso la Torre? Chi era, alla fine, Aiden Weiss? Lui e soltanto lui avrebbe potuto scegliere. La via per lo stabile era ancora ben tracciata in un sentiero circondato e quasi libero, mentre la strada scelta dall'animale non era battuta e si inerpicava tra alberi ed alberelli dai toni di rosso più scuri e cupi. Meno agevole, meno semplice.

Nell'invisibile bruma, Cernunno osservava.

 
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Chapter V - Wild Hunt

▿▿▿


Non fu sufficiente: l’iniziativa intrapresa da Aiden Weiss vide la sua fine ancora prima di iniziare. Eppure aveva cercato di essere cauto, di prodigarsi per non spaventare la creaturina nascosta tra la rossa e bassa vegetazione, ma il rumore di foglie smosse e rametti spezzati fu inconfondibile ed il fulvo si rese conto troppo tardi di aver fallito.
Come poteva aver anche solo pensato, per un misero istante, di riuscire a battere una creatura dai sensi e riflessi ben più sviluppati dei suoi? Come poteva un essere umano competere con il regno animale?
L’uomo era sì una bestia, la più pericolosa in assoluto, ma con dei limiti a cui doveva rendere conto, prima o poi.

Aiden rimase interdetto sul posto, mentre la recettività dei suoi sensi venne letteralmente spiazzata dalla velocità che la bestiolina adoperò per dileguarsi. Non riuscì ad individuare in tempo il lampo rosso che si inoltrò tra la rada nebbia rimasta, verso quell’Est sconosciuto e selvaggio. Le labbra erano leggermente aperte, gli occhi sbarrati per lo stupore. Non ricevette nemmeno il tempo di formulare il pensiero più banale che il proprio cervello potesse generare, così come non era stato in grado di reagire d’istinto.
Che razza di animale era poteva essere così lesto?
La sinapsi sembrò innescarsi e la mente di Aiden prese finalmente a ragionare, mentre i muscoli sembrarono sciogliersi dopo quell'improvvisa sensazione di irrigidimento. Batté più volte le palpebre, cercando con lo sguardo dei segni del passaggio della creatura che aveva sostato fino a poco prima, per poi avvicinarsi a passo felpato.
Un ramo spezzato tra due bacche nere e degli aghetti sparsi a terra attirarono la sua attenzione, finché delle impronte risvegliarono in lui l’istinto della caccia. Si chinò su di esse, individuandone ben tre, ma di cui solo una era netta e precisa. Con il polpastrello dell’indice ne sfiorò i contorni, senza comprometterla, studiandola con vivido interesse. Non ricordava perfettamente ogni impronta che aveva avuto modo di vedere nell’arco della sua esistenza e non era nemmeno così esperto da coniare ad ogni animale la rispettiva orma; il tempo trascorso in esilio aveva cancellato buona parte dei suoi ricordi adolescenziali, lasciando dei vuoti ormai incolmabili. Sapeva com’era l’impronta di un cervo, di un coniglio, di un cinghiale e di un lupo perché spesso ne trovava qualcuna nelle aree circostanti alla Tana, ma quella che aveva sotto ai propri occhi non rientrava tra quelle a lui note.
Un senso di amarezza assalì Aiden a tradimento: se solo avesse ripreso ad andare a caccia con suo nonno e i suoi fratelli, allora forse avrebbe potuto sapere a chi apparteneva quell’impronta. Nonostante quella delusione bruciasse con insistenza e arroganza il proprio orgoglio di Weiss, l’Auror non si diede per vinto e premette contro il terreno, accanto all’impronta dell’animale, il proprio palmo destro. Lasciò dunque anche la propria impronta, lanciando una tacita sfida a quella piccola e misteriosa creaturina che aveva osato sfilargli da sotto al naso.
Per quanto la Torre fosse a Nord, e lì vi sarebbe rimasta, Aiden sentiva di dover procedere verso Est. Era strano, mistico e selvaggio ma l’Ignoto chiamava il fulvo, stuzzicandone la curiosità e alimentando il proprio desiderio di avventura e conoscenza. E lui, come una falena, sarebbe andato verso la Luce.
Scattò nuovamente a correre, ma stavolta non in direzione della Torre. No. Prese a correre dietro alla creatura a cui si era sentito inspiegabilmente attratto, ancorato da quel piccolo occhio ambrato che pareva averlo davvero conquistato nel profondo.
La Caccia Selvaggia pareva aver aperto i battenti.

▵▵▵

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Ricercata da molti, scoperta da pochi, ma posseduta da tutti: l’anima.
Quel piccolo grande frammento etereo che avvolge ogni pensiero, che guida i gesti e smuove i sentimenti, che aspetto ha? Alcuni, i più affini al credo del Dio della Caccia, sostengono abbia l’aspetto del proprio spirito guida, della bestia che – variando per ognuno – possiede caratteristiche uniche. Ma come è possibile entrare in contatto con un angolo tanto nascosto e protetto di sé? L’uomo mente, si chiude in se stesso, finge indifferenza quando non è ciò che prova, martoria la sua anima, la relega ad un prigioniero in gabbia…. Come si può credere che questa, dopo, voglia uscire allo scoperto tanto facilmente? Si può darle la caccia? Ha senso farlo? Affrettare i tempi di una scoperta tanto importante può portare a stringere in mano non più di un pugno d’aria vuota. Il mondo forgiato da Cernunno e modellato come creta sull’anima di chi vi si affacciava, andava capito prima ancora di essere affrontato, andava studiato e non incalzato. Per alcuni trovare la via d’uscita sarebbe stato semplice, per altri complesso e molti – si narra – non erano arrivati alla “fine”.

Che ne sarebbe stato di Aiden Weiss?

La bestiola che aveva puntato l’occhio selvatico sul giovane Auror, altrettanto velocemente si era data alla macchia, lasciando però una chiara traccia di dove fosse diretta la sua fuga. Difficile per lui intuire subito a che specie appartenesse l’animale; di certo non rientrava tra le più conosciute nella sua breve esistenza. Ma aveva importanza definirlo fin da subito? Forse no, forse il focus andava puntato altrove: doveva scegliere la Torre o le impronte sul terriccio? Non v’era risposta in verità alla domanda, non una che Cernunno potesse suggerire. Muto come solo lui sapeva essere, il divino della foresta chetò la nebbia affinché questa si espandesse al suolo come un manto fumoso, coprendo quasi il resto delle impronte che – ormai – il giovane aveva intuito dove fossero dirette. In verità Weiss aveva anche già scelto la propria strada e, appellandosi alle capacità atletiche di cui era fornito, aveva ripreso a correre. Gli intenti lodevoli avrebbero però dovuto fare i conti con l’istinto di un animale che, se braccato, dava il meglio di sé. Fuggiasca, la bestiola si era fermata all’oscuro delle fronde in cui si sentiva protetta, ma non appena il mago aveva iniziato la rincorsa, i sensi l’avevano allarmata e come un fulmine era scappata di nuovo, dando sfoggio di altrettanto desiderio di mettersi in salvo. Il cuoricino batteva a ritmo incalzante. Non era un animale abituato alle lunghe rincorse, né usava tutte le sua energia per fuggire, ma c’erano predatori naturali pronti a fare a brandelli la pelliccia fulva e, quindi, fermarsi in quella stato sarebbe stato impossibile. Corrucciato, il Dio della Caccia seguì la corsa dei due.

L’animale di quel regno, la possibile guida di uno spirito a tratti indomito, andava braccato?
Cosa sarebbe successo se quest’ultima avesse scelto di non ricomparire ancora?

Forse era sempre stato così, per Weiss. Forse sfogare in primis i propri istinti era fondamentale come respirare, ma si era mai fermato davvero? Isolato per anni, volontariamente, aveva compreso come e cosa servisse per compiere un viaggio interiore di quella portata? Oppure la rudezza delle rocce, il proliferare di ovini e pastori, il mare mosso con costanza, avevano spazzato via ogni forma di gentilezza? Approcciarsi al selvatico richiedeva ben più di uno sfoggio di muscoli e prestanza. Servivano empatia, comprensione e delicatezza, per un avvicinamento rispettoso e degno. La fretta era davvero una cattiva consigliera. Nella corsa, di punto in bianco, si ritrovò al centro della radura dalle fronde rosse. Esattamente – ed incredibilmente – al punto di partenza. La Torre a Nord sembrava sorridere, beffarda. La nebbia aveva creato uno strato di bruma costante, che avrebbe coperto le orme successive. Poi, nel silenzio, il rumore di un ramo spezzato, a Sud. Se si fosse voltato, Weiss avrebbe potuto vedere un triangolino fulvo e rosato, dalla punta di un marroncino scuro, spuntare da un cespuglietto e muoversi a scatti, recettivo.

 
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view post Posted on 21/2/2019, 10:30
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Chapter VI - Awaken your Mind

▿▿▿


L’uomo restava pur sempre un uomo e, si sapeva, chiunque in possesso di un’anima poteva sbagliare; commettere errori a volte era l’unico modo per imparare a gestire nuove situazioni e Aiden Weiss se ne rese conto troppo tardi di averne appena commesso uno.
Non si era soffermato abbastanza a comprendere quel mondo che si era aperto per lui, né su come approcciarsi verso i suoi abitanti. Eppure, una mano invisibile aveva fatto abbassare la nebbia nel tentativo di celare le impronte e rendendo così impossibile all’uomo di stabilire la direzione in cui la creaturina era fuggita, ma invano. L’impulsività del Mago giocò a suo sfavore, mosso dalla fretta di ricongiungersi con la parte mancante della propria anima. Ora, però, l’Auror avrebbe pagato lo scotto.
La consapevolezza arrivò tardi, come al solito: Aiden frenò la corsa nel momento stesso in cui si rese conto di essere ritornato al punto di partenza, in quella radura che lo aveva accolto al suo arrivo, mentre la Torre ancora aspettava a Nord. Il petto del giovane uomo si alzava e abbassava ad un ritmo frenetico, il cuore che batteva come un tamburo da guerra per quella folle ed inconcludente corsa. Le gambe vennero scosse da un violento tremito, finché non cedettero e le ginocchia impattarono al suolo.
Era stato cieco. Fisicamente - o così lui credeva - era presente e ricettivo, ma mentalmente? L'occhio della mente pareva ancora dormiente.
Come aveva potuto essere così stupido e istintivo? Era stato attirato dalla creaturina nascosta tra i bassi arbusti e la sua curiosità lo aveva spinto a cercare una risposta, un nome, un volto. Avrebbe invece dovuto proseguire verso una Torre che non sembrava nemmeno volerlo? Quel mondo lo stava ripudiando perché non aveva saputo entrare in sintonia con esso?
Possibile.
Ma poteva ancora rimediare?
Solo Cernunnos conosceva una simile risposta.

Il fulvo si passò una mano tra i capelli umidicci, per poi rimettersi nella stessa posizione con cui era arrivato: si sedette a terra e prese a studiare la Torre. Aveva tentato di raggiungerla di corsa, ma non aveva azzerato le distanze nemmeno di un palmo. E se invece di correre avesse umilmente passeggiato tra la nebbia e gli alberi rossi come un fedele sacerdote che si dirigeva al proprio Tempio per le preghiere giornaliere? In tal caso sarebbe giunto ai piedi della struttura? O forse no?
Ogni pensiero focalizzato sulla Torre e alla propria follia si infranse come il ramo che udì spezzarsi alle proprie spalle, verso Sud. Il respiro parve congelarsi nei propri polmoni, ma non per timore di una possibile minaccia, bensì perché non voleva più commettere gesti avventati. Aiden avrebbe potuto voltarsi di scatto a seguito di quel rumore improvviso, ma scelse di farlo lentamente e non completamente, ma quel tanto affinché la propria coda dell’occhio potesse scorgere la fonte di tale rumore. Una testa sembrò fare capolino dal cespuglio, ma il fulvo non osò curiosare più del dovuto: avrebbe dato tempo al tempo e ogni domanda avrebbe ricevuto la propria risposta. Ruotò dunque il busto quel tanto da essere rivolto verso la creatura che lo stava studiando, lentamente, senza essere brusco o minaccioso tanto da rischiare di spaventarla più del dovuto.
Ora non avrebbe più permesso all'istinto di guidarlo, lo avrebbe fatto la ragione e il buonsenso, o avrebbe potuto dire addio alla sua anima. Aveva però bisogno di una guida, di un’amica che lo guidasse verso la propria meta, perché lui non conosceva quel mondo mentre la curiosona nascosta dalla vegetazione sì. Aiden scelse di appellarsi a lei, ma non l’avrebbe costretta, bensì le avrebbe dato libertà di scelta.
Chiuse dunque gli occhi e tenne il capo rivolto verso Nord, mentre la mano sinistra prese lentamente ad allungarsi verso Sud, in corrispondenza della creatura. Il palmo era aperto e le dita verso l’alto, in una muta ma chiara richiesta di aiuto e di amicizia. Aiden Weiss quindi si prestò ad entrare in comunione con quel mondo, la mente finalmente ridestata dal torpore della propria indole istintiva e spontanea. Pazientemente attese una reazione dalla creatura, concedendole tutto il tempo che voleva per decidere se accettarlo oppure ripudiarlo quanto la Torre. «Aiutami...» bisbigliò. Non si mosse di un millimetro, mentre il battito cardiaco si fece regolare e calmo, cullandolo e permettendo all’uomo di entrare maggiormente in sintonia con l’ambiente circostante.
Lo doveva a sua nonna, ma anche a se stesso...

▵▵▵

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Come Hiccup di Dragon Trainer :ue:
E la musica cambiò :flower:


 
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Il tempo degli errori correva a gran velocità, superando senza fatica l' Auror. Come una lepre che fugge da un predatore, era pronto a svignarsela senza concedere ulteriori avvicinamenti. Ma Cernunno non era solo un saggio tra gli Dei, era lo spirito guida per eccellenza, il supremo detentore della conoscenza dell'anima, e non avrebbe permesso a Weiss di lasciare la Foresta Rossa senza aver capito chi fosse. Ancor meno dopo aver inteso quanta educazione servisse al giovane mago per dismettere le vesti della superbia ed indossare quelle dell'umiltà. Aiden doveva scavare molto più a fondo di quanto fatto.

Nella natura della bestiola il cui orecchio, ora, sbucava dalla coltre bassa di foschia, c'era molto più di quanto si potesse credere. Non era una cacciatrice alla pari di un lupo feroce e non era una preda mite come un lemming grassoccio. La fierezza del manto rossiccio andava di pari passo con la natura estremamente guardinga. Mai si fidava al primo approccio e non v'era modo di educarla come fosse un cane al guinzaglio. Quanto avrebbe impiago Weiss a realizzare che - nonostante i buoni intenti - quella non si sarebbe mai avvicinata alla mano aperta? Con gli occhi chiusi, avrebbe anche faticato a vederla reagire. Ma il silenzio avrebbe acuito i sensi, permettendo al giovane mago di percepire i passi corti della bestiolina sul terriccio umido.

In parte stava imboccando il giusto sentiero, quello della calma e della concentrazione che forse avrebbe giovato anche alla razionalità. Ma l'unica percezione sulla pelle del palmo sarebbe stata quella legata all'umidità che permeava l'area e giocava fra le sue dita. "Non così" sembrava sussurrare la Foresta. Con il capo a Nord, Aiden non avrebbe potuto vedere il secondo orecchio puntuto sbucare dalla nebbia, ed il muso aguzzo allungarsi mostrando finalmente l'identità della volpe. Occhi d'ambra osservarono la figura in ginocchio, prima che l'atavico istinto prendesse il naturale sopravvento e la bestiola si desse una seconda volta alla fuga. L'unica cosa che il ragazzo avrebbe percepito, sarebbe stato il fruscio del corpicino tra le fronde a Sud e se avesse aperto gli occhi non avrebbe visto altro. Se poi avesse cercato ancora di ripercorrere i passi della creatura avrebbe visto una nuova impronta rivolta verso di lui. Un solo passo che era stato allungato in sua direzione, poteva essere un segnale se ben analizzato.

A Sud il paesaggio era quasi identico a quello attraversato poco prima. La foresta si chiudeva appena lungo un sentiero di terriccio, ma un nuovo approccio era richiesto. A Nord la Torre non si muoveva di un millimetro.


 
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Chapter VII - One Way or Another

▿▿▿


Attese pazientemente, per un po’...
«Aiutami...» esalò nuovamente, se non in tono decisamente più udibile. Dopo il fallimento precedente temeva di essere diventato cieco, incapace di percepire e decodificare i segni che il Dio della Caccia gli stava lasciando, e chiedere aiuto alla creatura era sorto spontaneo e naturale.
Per Aiden quei secondi di attesa furono interminabili, come se le sabbie del tempo si fossero improvvisamente fermate. Aveva sperato - in un primo momento - di riuscire a conquistare la fiducia della creaturina, concedendole il tempo necessario affinché prendesse una decisione al riguardo; eppure, nonostante quelle iniziali aspettative, il palmo del fulvo non avvertì nulla, se non quel senso di umidità che aleggiava nell’aria attorno a lui. Accarezzato da una sorta di negazione inconsistente ed invisibile, l’uomo - infine - capì di aver peccato una seconda volta. Era riuscito soltanto a percepire il rumore dei passi dell’animale sul terreno umido e nient’altro: una magra consolazione, inizialmente, ma il rumore di movimenti repentini tra il fogliame dei cespugli verso Sud fecero capire ad Aiden che la creaturina si stesse dando alla fuga per la seconda volta. Lo aveva percepito quando aveva deciso di ritrarre l’arto, rimasto ancora immobile in attesa di un contatto tra loro, e dovette ammettere che se lo era meritato in pieno: era stato lui ad averla costretta a darsi alla macchia quando aveva deciso di inseguirla più come un predatore che come un suo pari; quindi non le aveva dato scelta e lei aveva agito di conseguenza.
Ad ogni azione corrispondeva una reazione.
Demoralizzato e afflitto per aver perso quella seconda occasione, Aiden aprì gli occhi e sospirò pesantemente. «Perdonami se puoi...» Pentitosi di non aver riservato a quella creatura nemmeno un briciolo di gentilezza, di non essere stato ai suoi tempi e tentare così di instaurare un approccio, l’Auror serrò i pugni sulle gambe. Dovette fare leva sul desiderio di trovare la propria strada in quella Foresta Rossa, piuttosto che restare lì a piangersi addosso o a combattere interiormente con i propri difetti che volevano farlo sentire risentito per quella continua collezione di fallimenti. Al di là di quanto fossero intollerabili e infiammassero il proprio orgoglio, Weiss incassò in silenzio la lezione e cercò di tornare sui propri passi, conscio che ne sarebbe andato via fintanto che non avrebbe adempiuto alla propria ricerca.
Il Mago dunque si alzò in piedi e si lisciò quell'umile indumento che gli era stato concesso sin dal suo arrivo in quel mistico luogo. Lo sguardo passò da Nord a Sud, ponderando e studiando le possibili vie da prendere: la Torre era sempre lì, come in attesa della venuta di un meritevole visitatore e di cui lui non si era rivelato degno. Non ancora, per lo meno. A Sud invece la creaturina aveva trovato la propria via di fuga, da lui. Il Nord dunque non lo voleva, ma il Sud invece sembrò aprirsi a lui in un paesaggio pressoché simile a quello precedente, il sentiero umido con la foresta che si chiudeva attorno ad esso.
Aiden si avvicinò lentamente alla zona in cui la misteriosa bestiola lo aveva tenuto d’occhio, lo sguardo fisso al suolo nel disperato tentativo di cogliere qualche segnale, un indizio o una risposta alla sua disperata richiesta d’aiuto. L’occhio umano captò una singola impronta sul terriccio, la stessa impronta che aveva visto poco prima di ritornare in quel punto della foresta, rivolta verso la direzione in cui lui aveva sostato in attesa. Ne sfiorò delicatamente i contorni con l’indice dopo essersi accovacciato su di essa per analizzarla, mentre la mente cercò di trovare il giusto significato.
La solitaria e ignota creatura aveva mosso un passo verso di lui, ma non aveva osato più di così, forse perché non si fidava e non voleva rischiare più del dovuto, forse perché aveva avuto un po’ pietà di quell’umano istintivo. Ad ogni modo il fulvo iniziò a pensare che quell’impronta non fosse una vera e propria direzione da prendere, non quando aveva sbagliato con il Nord e l’Est lo aveva riportato al punto iniziale. No, pareva più una sorta di invito, o così la interpretò l’Auror.
Aiden poteva anche aver ragionato in modo sbagliato, ma non poteva averne la certezza fino a quando Cernunnos non avrebbe deciso di mostrargli la verità. Dunque si rizzò in tutta la propria altezza e fissò il sentiero che portava a Sud con una rinnovata speranza. «Per andare a Nord, forse devo passare per il Sud...» Era quella la giusta interpretazione dell’impronta? E l’animale era nascosto nei paraggi oppure lo aveva lasciato completamente solo?
Si fece forza, si armò di buona volontà e del desiderio di trovare il nome di quella creatura, il cui sguardo non si era ancora completamente incrociato con il suo, oltre che alla propria anima. Congiunse le mani sul ventre, in un gesto carico di umiltà e buon intenzioni, per poi incamminarsi lentamente verso Sud, come se stesse andando in pellegrinaggio. Doveva solo sperare di aver scelto bene e che, presto o tardi, la piccola creatura si facesse viva per guidarlo tra gli alberi rossi.

▵▵▵

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L'immobilità del rifiuto.

Goccia dopo goccia, il ticchettio della rugiada sulle foglie scure s'intromise come forzoso sottofondo. "Tempo al tempo" recitava un proverbio umano, una lezione che Cernunno sperava penetrasse a fondo oltre la corazza dell'Auror. Sotto lo strato di puro istinto, viveva il cuore di un uomo dalle mille emozioni, che presto o tardi avrebbe imparato il vero senso di uno sguardo interiore. Non tutti accoglievano a piene mani la propria più intima essenza, ed ancora meno tra gli eletti comprendeva la natura delle cose che - nel mondo del Dio delle Caccia - si rivelavano. Un perdono nel vuoto andava chiesto ad altri, chi avrebbe dovuto perdonarlo se non se stesso? Chi viveva nella foresta rossa se non una proiezione di quell'Io perduto negli anni?

Era presto perché la verità venisse svelata, era presto perché con una mano sicura e mai tremante, Aiden afferrasse il velo del passato e scoprisse la realtà del presente e - soprattutto - del futuro. L'uomo che lentamente si era rialzato dalla posizione più umile, avevano ancora alcuni passi da muovere per meritare la benedizione del Divino dei boschi e della selva. Gentilezza e rispetto andavano di pari passo e, se da un lato in pochi avevano riservato il giusto trattamento al mago, dall'altro nemmeno lui era stato poi così accondiscendente, forse memore di ferite passate. Era però quello il luogo in cui passare uno straccio sul sangue versato, rosso come le foglie che stanziavano sugli alberi più vicini, e ripulire l'anima per il nuovo cammino.

Finalmente la logica cedette il passo alla sacralità, ed il dubbio si sedette sul trono: andando a Sud si arrivava a Nord? Cosa sarebbe successo se fosse tornato per la seconda volta nel punto di partenza? L'invito della bestiola venne interpretato nel modo giusto, e l'avvio più cauto verso la boscaglia premiò, infine, il ragazzo. Immenso nella sua invisibilità, Cernunno osservava lo scorrere di quei lenti minuti. Aiden non avrebbe saputo definire quanto a lungo camminò, mentre lenti fruscii seguivano il sentiero che percorreva, ma capì di essere giunto a destinazione nel momento in cui la radura si aprì davanti ai suoi occhi. Costruito con rocce instabili, un vecchio castello in rovina riempì la visuale. La facciata era bassa, a metà corrosa dal tempo e quasi interamente ricoperta da un'edera rampicante color cremisi. Il portone in legno massiccio riluceva di una sfumatura ciliegia.

Con uno sguardo più attento, Aiden avrebbe visto la torre dietro la facciata, la cui gemella si ergeva, distrutta, al lato opposto, a qualche iarda dall'ingresso, e da lui. Uno scricchiolio, infine, avrebbe evidenziato la piccola apertura dell'uscio, attraverso la quale un lampo rossiccio si era appena infilato. Una folata di vento gelido raggiunse l'Auror successivamente. Un altro invito?

Poco distante, verso Est, un piccolo pozzo decadente.
La catena distesa verso l'oblio.


 
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view post Posted on 21/3/2019, 10:40
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When the snow falls, the fox tries to survive.

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When the snow falls, the fox tries to survive
Chapter VIII - Ruined castle

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Mentre quella processione proseguiva silente e reverenziale, con andatura lenta e tranquilla, Weiss non si soffermò troppo nel pensare o temere un possibile ritorno al punto di partenza come gli era già accaduto; c’era speranza nel suo cuore, così come determinazione e sicurezza, e semmai fosse ritornato su suoi passi iniziali allora avrebbe tentato un nuovo tipo di approccio. Una cosa l’aveva imparata nel corso degli anni: non si smetteva mai di imparare e c’era sempre tempo per rimediare, fintanto che il Fato non avesse decretato la fine di ogni possibilità. Quindi, semmai Aiden avesse nuovamente sbagliato la direzione da prendere, non si sarebbe arreso ma avrebbe tentato e ritentato anche all’infinito, finché Cernunnos non gli avrebbe concesso il suo benestare.
Un uomo caparbio dunque, incapace di riconoscere la sconfitta al primo sbaglio commesso, orgoglioso e desideroso di conquistarsi le proprie vittorie con il sudore della fronte, usando perfino le unghie e i denti se era proprio necessario. Non si arrendeva, non si fermava, non finché c’era speranza. Era proprio per questo motivo che Aiden continuò a camminare lungo il sentiero coperto di terriccio umido, costeggiato da tutto quel fogliame cremisi. E più camminava, più si sentiva a suo agio, percependo una sorta di senso di appartenenza o affinità con quella foresta, tanto che arrivò addirittura a non badare quanto tempo stava impiegando a camminare. Che la stessa, in un certo senso, capendo? Non era certo in tutto e per tutto, ma il rosso delle foglie e il bianco opaco e fumoso della nebbia non lo turbavano più ad ogni passo che compiva, non percepiva più la suggestione o il senso di mistero che aveva provato al suo arrivo, piuttosto ne era affascinato. Lo sguardo, infatti, aveva vagato in lungo e in largo nel tentativo di cogliere cose nuove, mentre tentò di acuire i sensi dell’udito e dell’olfatto nel tentativo di studiare al meglio l’ambiente.
Il rumore della rugiada che cadeva sulle foglie giunse alle sue orecchie con una certa forza e lui, sorridente, cercò di apprezzarlo; così come i fruscii lenti che emergevano - presumibilmente - dalla vegetazione. Si chiese se la creaturina lo stesse seguendo senza farsi notare da lui, timida e guardinga allo stesso tempo, accompagnandolo in quel viaggio come lui aveva sperato e richiesto. Nella sua più recondita aspettativa, Aiden voleva credere che fosse così, che la bestiolina non lo avesse davvero abbandonato nonostante l’avesse spaventata con il suo lato troppo istintivo e selvaggio.
Si passò una mano tra i capelli rossi e - forse - un tantino umidicci per via dell’umidità della foresta, sospirando il più silenziosamente possibile: aveva come il timore di infrangere la quiete del posto o anche solo di spaventare chissà quale altra creatura celata al suo sguardo umano e di cui ne ignorava la presenza. Non poteva averne la certezza assoluta, ma - ad ogni modo - sentiva di non voler rischiare, di non voler commettere un chissà quale altro atto sacrilego, infrangendo così l’equilibrio e sacralità della foresta.
Infine, qualcosa di nuovo accadde.
Una radura si aprì davanti a lui e le rovine di un castello apparvero nella propria visuale, segnando così il suo arrivo a destinazione. Corroso dal tempo, il vecchio rudere era quasi interamente ricoperto dall’edera color cremisi, in perfetta sintonia con il resto della vegetazione circostante. Anche il portone pareva rispettare i toni del rosso e rendendo quelle rovine uniche e affascinanti nel suo genere.
Aiden aguzzò la vista e notò la torre svettare al lato opposto a cui si trovava, mentre la gemella distrutta pareva quella più vicina, sorridendo trionfante e ringraziando mentalmente la sua piccola e ancora ignota amica per averlo aiutato, anche se poteva sembrare in maniera non del tutto evvidente. Era riuscito a raggiungere la torre e a scoprire che faceva parte di un castello abbandonato dall’uomo e lasciato alle cure della natura.
Lo sguardo del rosso fu sul punto di posarsi sul pozzo, ad Est, quando l’orecchio captò uno scricchiolio nella zona dell’ingresso e riportando di conseguenza la propria attenzione sul portone di legno, trovandolo leggermente aperto. Un lampo rosso, impossibile da riconoscere e da definire con accuratezza, era stato intravisto di sfuggita mentre faceva capolino all’interno. Aiden allungò appena il collo e, istintivamente, dilatò le narici, come se sperasse di poterne percepire l’odore, finché una folata di vento gelido non lo investì e fece rabbrividire da capo a piede. Si strinse nelle spalle e, cauto, prese a muoversi verso il portone in ciliegio, deciso a trovare riparo tra quelle quattro mura di pietra erosa dal tempo e - magari - scoprire quali segreti erano celati al suo interno.
Quale tipo di tesoro avrebbe trovato?

▵▵▵

Aiden Weiss
ps: 221 | pc: 163 | pm: 170 | exp: 33.5


Inventario:
Bacchetta in legno di biancospino, piuma di Ippogrifo, 12 pollici e mezzo, flessibile;Assente*
• Anello e ciondolo d'argento;
Tomo "Trasfigurazione Umana Avanzata Volume III: l'Animagus";Assente*
Polvere di Cernunnos;Utilizzata
• Bracciale Celtico originale.

(*): Rimasto nel piano materiale.

Note Off:
Musica cambiata.


 
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