Era il trentuno dicembre, e il mondo si apprestava a tracciare una linea decisa sulla fine dell’anno. Compilava resoconti, osservava sconsolato le lunghe liste di propositi mai portati a termine, la mente già pronta a correre per ideare quelli dell’anno in arrivo e che avrebbero fatto la stessa fine. Nell’aria volteggiavano le aspettative speranzose, i desideri mancati, i sogni alleggeriti e resi di nuovo vivi dalla linfa illusoria generata dal nuovo ciclo di mesi in arrivo. La gente si era riversata nelle vie londinesi, stipata nei locali fumosi, raccolta nelle piazze della capitale. I bagliori effimeri dei fuochi d’artificio si disperdevano nel cielo insieme alle timide speranze dei sognatori, dei coraggiosi che accettavano e abbracciavano il debole ottimismo che li animava, senza importanza per coloro che invece preferivano voltare le spalle alla realtà e illudersi in una spirale di festeggiamenti che in fondo era senza significato.
Anche Jane e Lucien vivevano tra i disillusi, forse senza rendersene conto, o probabilmente senza volerlo davvero capire. Avvolti negli incastri ritmici in cui esitavano i loro incontri, i respiri spezzati, rifuggivano l’epilogo dell’anno che finiva lasciandosi trascinare dal vortice di molteplici sensazioni che raggiunto il culmine li lasciarono esangui.
Avvertiva la pelle rovente nonostante il gelo infido che entrava dalla finestra socchiusa, e senza curarsi troppo della velocità con cui il francese si era allontanato da lei aveva allungato le mani ad afferrare parte dei vestiti per non rabbrividire una volta che la temperatura del suo corpo fosse tornata normale. Il suo sguardo indugiò sul vaso posato sul comodino, i fiori di Elleboro ormai sciupati, caduchi e deboli come l’intreccio che la legava a Lucien senza che lei ancora lo sapesse.
«
Finiamola qui. »
E’ più doloroso venire pugnalati alle spalle da chi non ti aspetti che da uno sconosciuto. La lama trafigge la cute fredda come il ghiaccio, si fa spazio tra le fibre muscolari e penetra sempre più a fondo, sempre più crudele. Non fai nemmeno in tempo ad accorgerti di quello che è realmente successo che sei già senza fiato, il dolore ti avvolge nella sua stretta senza pietà e quando comprendi, è troppo tardi. Le parole di Lucien l’avevano colpita talmente all’improvviso, inaspettate, che era trascorso quasi un minuto di silenzio sospeso prima che sedimentassero nella sua coscienza.
Finiamola qui. Misurate, chiare, inequivocabili. Sembrava che infine il francese avesse avuto il coraggio di interrompere la passeggiata sul bordo del precipizio che avevano iniziato un paio di mesi prima, quando inconsciamente avevano attraversato per la prima volta quel limite invalicabile che si erano imposti di comune accordo e che nelle settimane successive avevano sfiorato più di una volta.
« Bene. »Il tono di voce di Jane si mostrò asciutto e privo di inflessioni. Quell’avverbio di arresa le scivolò dalle labbra e mentre alzava lo sguardo per incrociare quello del mago – il cielo cristallino ormai un vago ricordo, mutato in un baratro profondo e indecifrabile come i primi tempi – avvertì un dolore pungente che non si aspettava di provare. Non con Lucien, almeno.
La rinnovata vicinanza del mago la fece rabbrividire, la paura scivolò lungo la sua pelle pallida lasciando dietro di sé una scia oscura mentre lei si ostinava a mantenere gli occhi ancorati sul viso del francese, il respiro ancora superficiale ma non più accelerato, ogni battito del cuore lento e doloroso. Ma non sarebbe crollata, non davanti a lui. Del resto, perché avrebbe dovuto farlo? Che motivo c’era di sentirsi ferita dalla decisione presa da Lucien Cravenmoore, che in fondo non era del tutto sbagliata?
Otto mesi prima avevano iniziato una
relazione all’insegna del reciproco divertimento, basata solo sul piano fisico, e nient’altro: nessun legame li avrebbe trattenuti, nessun pensiero pesante si sarebbe mai insinuato tra di loro. O almeno, così avrebbe dovuto essere. Un sentiero definito, una strada da seguire con la sicurezza di non correre nessun rischio di essere feriti ancora, un passo tra una provocazione e l’altra con la certezza di non cadere mai. Sembrava così semplice. Eppure, perché erano riusciti comunque ad inciampare? Un frammento di tempo, cristallizzato, fugace ma allo stesso tempo pesante come il piombo: quella mattina autunnale non era solo la tazza di porcellana ad essersi infranta. Anche le fondamenta delle loro convinzioni avevano subito una scossa, un minuscolo sassolino si era infilato nel primo punto debole che aveva individuato e da lì aveva iniziato ad indebolirli, giorno dopo giorno. O almeno, questo era quello che era successo a Jane.
«
Mi hai stufato. » Inarrestabile, il francese aveva ricominciato a parlare. Non le dava modo di rispondere, di ribattere alle sue accuse. Sentiva vibrare ogni singola parola dentro le sue ossa, inciderne la superficie provocando una scossa di dolore ad ogni sillaba. Eppure, Jane incassava a testa alta senza distogliere lo sguardo dal volto indurito del mago. Se c’era una cosa che aveva imparato dal passato, forse l’unico insegnamento utile che aveva tratto dalle sue pessime scelte, era di non mostrare più quanto la gente poteva ferirla. Non avrebbe più dato a nessuno la soddisfazione di vedere nei suoi occhi il mondo crollare, non avrebbe più permesso che qualcuno divenisse spettatore delle sue lacrime. Non più, non in quel momento. «
[…] non che non abbia già cercato carne fresca nel frattempo. » Lo immaginava, anzi, per lei era quasi una certezza e aveva dato per scontato che non le sarebbe interessato. Eppure, cos’era quello strano pizzicore che avvertiva sulle guance mentre sentiva a voce la conferma dei suoi presentimenti? Perché l’idea di Lucien insieme ad un’altra persona le dava
fastidio? «
[…] ma la svenevole bontà che anima ogni tuo gesto mi ha rivoltando le viscere troppo a lungo. » Era quello il problema, dunque? Era troppo
buona? Un nuovo sentimento affiorò dal baratro di dolore in cui stava precipitando, le diede uno scossone riscuotendola dall’impasse in cui si era cristallizzata. La rabbia le strinse le spalle, dandole lo slancio per parlare, finalmente. Con un movimento fastidiosamente lento allungò la mano, tastando alla cieca alla ricerca della bacchetta che sapeva essere sul comodino. Fu allora che la avvertì sotto i suoi polpastrelli: accanto all’elce si snodava una collana,
quella collana e un’idea fulminea e malsana fece capolino nella sua mente ingenua. Sarebbe stato così semplice indossarla e provare a
capire… era davvero così facile per Lucien mettere una fine a tutto? Era solo lei la stupida che era riuscita a cadere e a sbucciarsi il cuore? Resistette all’impulso, e la bacchetta trovò spazio facilmente tra le sue dita. Un cenno secco, e la porta d’ingresso si aprì di colpo, sbattendo contro il muro.
« Non sarò io a trattenerti, se è quello che pensi. Vattene pure. » Se l’avesse guardata, se solo si fosse degnato di lanciare un ultimo sguardo in direzione della strega, ecco, forse l’avrebbe notato. Una lacrima solitaria era sfuggita al controllo e maligna rivelava agli
occhi del francese la verità da cui forse stava scappando.
Attese di sentire la porta chiudersi prima di provare ad alzarsi, ogni movimento più difficile del previsto, doloroso come se fosse stata investita da un treno. A passi lenti si diresse verso la cucina, dove con gesti stanchi e automatici mosse la bacchetta per prepararsi una tazza di tè mentre lo sguardo assente si fissava sul vetro della finestra. Una crepa dopo l’altra, un mattone, poi ancora uno, il muro che ingenuamente era convinta di aver costruito a protezione di sé stessa, quello che credeva solido e impenetrabile, sembrava ormai essere caduto. Ma come può essere distrutto qualcosa che in realtà non c’è più da tempo? Se ti sei distratto a guardare il mondo che corre davanti ai tuoi occhi, se ti sei immerso per viverne ogni istante, come puoi pretendere di aver notato che tutto stava cadendo a pezzi alle tue spalle?
Senza che lei lo avesse voluto, senza che se ne accorgesse, la presenza del mago era scivolata dentro il primo spiraglio dimenticato aperto e da lì si era diffuso, una minuscola goccia d’inchiostro nero che aveva contaminato la sua anima e che si era dissolta sparendo alla vista ma rimanendo sempre presente. In sottofondo, ben nascosta, difficile da identificare. Forse c’erano stati degli attimi in cui avrebbe potuto notarlo, se avesse prestato attenzione, eppure inconsciamente aveva ignorato ogni segnale. Le parole di Lucien avrebbero potuto avere l’effetto di una secchiata d’acqua gelida, pronte a risvegliarla dal torpore in cui era caduta come in una trappola, ma invece di salvarla l’avevano presa a schiaffi insieme alla realtà dei fatti, presentata dalla sua coscienza tra una risata e l’altra, pronta su un piatto d’argento. Perché, alla fine,
era successo. La consapevolezza dei suoi sentimenti la travolse con lancinante lucidità, impietosa e cruda, togliendole il respiro. Gocce di pioggia iniziarono ad infrangersi con decisione contro il vetro della finestra, appannandolo e rendendo sfocata la notte che salutava l’anno nuovo, ma Jane non se ne accorse. Le braccia strette al petto, le lacrime che avevano iniziato a scendere una dopo l’altra lungo le sue guance pallide, si stava infine arrendendo all’inizio di quella nuova e inevitabile convivenza con i sentimenti che provava.