Weed-out any fear, Concorso a Tema: Ottobre 2022

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view post Posted on 29/10/2022, 18:40
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"Gran Sacerdote del Tempio della Pizza"

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Il silenzio è sacro e come ogni cosa che assume importanza spirituale, non è spesso un concetto alla portata di tutti. La capacità di poter condividere il proprio spazio personale senza colmare il vuoto con le proprie parole, ad esempio, è dote rara.
Ariel Vinstav ne era quasi del tutto sprovvista.
Anche in quella sera di Ottobre, distesa sul prato secco in un parco della Londra magica, non riusciva a non sentirsi irrequieta. L’immobilità e l’apparente mancanza di scopo le trasmettevano disagio e confusione.
Sotto le costellazioni autunnali - frastagliate qua e là da nubi grigie - non riusciva a trovare quiete: le labbra fremevano seguendo parole mute; senza produrre suoni recitava il proprio flusso di coscienza che, prima o poi, sarebbe riuscito a prendere vita.
Aveva così tanto da dire, sentire, pensare.
Erano tante le domande che si poneva e troppo poche le risposte che era disposta ad accettare.
Normalmente avrebbe già intrapreso la via del soliloquio o di un non richiesto monologo al suo famiglio, Lord Bleppington, ma quel giorno non era sola e quindi si sentì in dovere di cercare di dare tregua al suo compagno.

Come fosse finita con l’incontrare di nuovo Mary Grenger a distanza di mesi dal loro ultimo incontro non era dato sapersi, ma sembrava che il Fato le volesse così: insieme per caso, diverse, ma compatibili. Avevano trovato una fragile zona di comfort tra la stranezza di una e l’immensa pazienza dell’altra.
Eppure, non sarebbe stato corretto dire che Ariel si sentisse completamente a suo agio con lei.
Se condividere il silenzio era sacro, lei non era una strega di fede. Persino con la sua partner, Jolene, che aveva imparato ad amare in segreto, condividere lunghi periodi di silenzio a volte le risultava claustrofobico.
Così dopo pochi minuti che le sembravano un’immensità, si mosse sul prato, rotolando su un fianco.

Abbandonò con lo sguardo la costellazione del Drago e si concentrò sul volto della sua compagnia notturna.
«Pronta?» La mano sinistra venne protesa in avanti, verso la mano di Mary e con più precisione verso la non-proprio-sigaretta che l’altra stava preparando.
No, che non era pronta. Aveva solo bisogno una scusa per sentirsi giustificata a parlare.
Perché non godersi una rara serata di pace in compagnia, invece di dover aprire bocca ad ogni momento buono?
Il silenzio era per Ariel era un ostacolo, una fiera subdola che la istigava a fare tutto ciò che non aveva il coraggio di portare a termine: affrontare i propri pensieri.
Quando Mary portò alle labbra la canna, lei tornò supina sull’erba umida.
“Forse dovrei riprendere a fumare spesso.”
Sospirarono insieme, complici di una tristezza a cui non riuscivano a sottrarsi.
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Edited by petrichor. - 31/10/2022, 10:12
 
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view post Posted on 30/10/2022, 16:18
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Non le era molto chiaro il motivo per cui era uscita di casa, né come si fosse spinta fin lì. Ancora meno impresso nella sua mente fu il momento in cui Ariel Vinstav aveva preso posto al suo fianco.
Eppure, era lì – erano – seduta su di un prato in silenzio, le mani a muoversi metodicamente ma con lentezza, con l’attenzione di chi sa che se perdi qualcosa tra l’erba non la ritrovi più. «Quasi.» la lingua attraversò tutta la lunghezza della cartina, poi furono le mani a compiere gli ultimi imprecisi gesti per portare a termine il lavoro. Non era perfetta, lo sapeva. Come non era perfetta la sua vita, come non era perfetto il suo cervello che la spingeva a ricordare cose, formare immagini ed azioni mai davvero successe. Tenne la canna tra le dita per un attimo, osservava come di fatto questa si mantenesse in piedi, non era perfetta ma funzionale. Era così che pensò di potersi definire.

La appoggiò con delicatezza sul palmo aperto di Ariel e cercò il suo sguardo perché aveva voglia di risposte sulla sua vita e, fatta com’era, le avrebbe cercate ovunque. «Conosci qualche costellazione?» fu la prima volta da quando era arrivata che si permise di alzare la testa. Guardare le stelle e non annoiarsi è un lusso per pochi intenditori, così come guardare le stelle e non vederci la tua ragazza morta sottoforma di costellazione del demonio, se esiste.
Come si supera la tristezza? E se non si può superare perché il cuore non te lo permette, come aggiri l’ostacolo?
Non ebbe davvero tempo di pensarci, non ebbe davvero tempo di riflettere sul perché il solo pensiero di Olivia la portasse ad avere gli occhi umidi, non ebbe tempo di recepire la risposta di Ariel perché le sue mani avevano già raggiunto la canna, l’avevano già spinta verso la sua bocca. Aspirò con forza, sentì i polmoni riempirsi rapidamente, accolse quella sensazione di pienezza e di tossica dipendenza. Forse superare la morte di Olivia non era neanche il suo primo ostacolo, forse il primo era smettere di fumare.
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Edited by Héloïse - 30/10/2022, 16:33
 
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"Gran Sacerdote del Tempio della Pizza"

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“Lacarnum Inflamare”
Un guizzo, una scintilla scarlatta scaturì dalla punta della bacchetta accompagnando l'estinzione di una fiammella tremolante contro la canna.
“Inspira.”
Il petto si contraeva. Il sapore amaro della marijuana mescolata al tabacco le pizzicava la punta della lingua. Le dita che reggevano la cartina incriminata vennero percorse da un leggero fremito.
Gli occhi socchiusi scrutavano di nuovo la costellazione di Draco, sempiterna nel cielo e in quel momento solo parzialmente nascosta dietro le nubi inglesi.
Le pupille avrebbero presto cominciato a dilatarsi, intossicate dalla cannabis, incitate a vedere tutto dietro il passaggio di un pennello dalle setole morbide. Tutto le sarebbe presto apparso più fluido, più leggero, meno ingombrante come quel peso che le schiacciava la testa e il petto.
“Espira”
Un alito di fumo lasciò la bocca in spire confuse e grigie che si mescolavano all’aria rarefatta del fiato caldo contro le temperature fredde di fine autunno.
«Ora penserai nuovamente io sappia un sacco di cose.»
Il riferimento era rivolto alla loro conversazione del mese prima, quando si erano incrociate per sbaglio nel magnifico parco del Cimitero di St Pancras Old Church.
Così spigliata e chiacchierona, Ariel poteva rischiare di passare per una so-tutto-io, sempre impegnata a dover dimostrare di sapere più degli altri, interrompendo le discussioni con tutti i suoi flussi di coscienza complessi fatti di lunghe subordinate, giri di parole e figure retoriche anomale.
"Beh, lo sono - una so-tutto-io” Non poté evitare di ammonire se stessa con quel pensiero.
Non si rese nemmeno conto che così facendo aveva messo in pausa il discorso, creando una pausa troppo lunga e non necessaria.

Le dita che reggevano la canna vennero protese verso il cielo, indicando col mozzicone fumante la porzione di cielo dove gli astri del dragone erano distribuiti.
«C’è una vecchia storia che si tramanda nella mia zona … in Islanda. Nel Lago di Lagarfljót abitavano numerosi draghi secoli fa, prima che venissero cacciati come bestie. Si mormora che il più grande di loro sia volato fin lassù...»
La mano libera si mosse verso la zona bassa della costellazione, circondando fra indice e pollice le quattro stelle che formano la testa serpentina del drago.
«…e che questo sia il periodo dell’anno in cui rilascia il suo fuoco come meteore che piovono dalle sue fauci verso di noi.»
Fece spallucce dalla sua posizione, strofinando la camicia felpata contro il prato.
Il rumore secco degli steli infreddoliti spezzati contro il suo corpo la fece trasalire.
Si girò verso Mary, scoccando poi un’occhiata di sbieco al terreno.
“Ops.”
Nascose parte del volto dietro la mano sinistra, accostando il filtro alle labbra per prendere un’altra boccata di fumo.
«Sai.»
Eccolo il silenzio, spezzato di nuovo dalla sua ingordigia di parole. Non sembrava capace di tenere a freno la mente.
«La prima volta che ho fumato una di queste era in una situazione simile, solo ero più piccola ed ero sgattaiolata di nascosto fuori dal dormitorio. Lo facevo spesso.»
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view post Posted on 30/10/2022, 17:34
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“Lacarnum Inflamare”
Era quello l’incanto che probabilmente aveva evocato Ariel. Quel solo pensiero, quasi come un sussurro per lei, le sembrò rimbombare nel silenzio dello spazio aperto. Ancora abbastanza lucida, le fu chiaro capire che non era possibile, eppure la sensazione che quel suono l’avesse avvolta completamente era forte.
Gli occhi raggiunsero la piccola fiammella e percorrendo la lunghezza della canna arrivarono alle labbra della sua amica-di-fumo.
La leggera nube di fumo, quell’odore forte e allo stesso tempo naturale, erano gli aspetti che più le piacevano delle canne. Il sapore non le era mai parso granché e non fumava per quello. Era di più per quella sensazione di eccessiva leggerezza, quei pensieri che le occupavano tutta la mente senza dare spazio ad altri. Erano pensieri intrusivi, mai nuovi ma piuttosto ripercorsi tante e tante volte nella sua testa. Fumare le forniva una scusa per concentrarsi su qualcosa a cui non doveva dare peso, qualcosa che doveva nascondere non solo agli altri, ma a sé stessa.
«Ora penserai nuovamente io sappia un sacco di cose.» le sue pupille non avevano ancora messo a fuoco la distesa di prato che avevano di fronte, ma la sua bocca si schiuse leggermente, le sue labbra andarono a dipingere sul suo viso un sorriso colpevole. Ariel sapeva molte cose, forse più di lei, forse anche grazie al lavoro che faceva, ma non le pesava. Ci sono delle volte in cui le persone ostentano le loro conoscenze, ma non era il caso della giornalista: le sembrava che Ariel facesse sfoggio delle sue conoscenze non per vanto, ma perché era genuinamente interessata a condividerle.
Inarcò le sopracciglia e sbuffò leggermente: come poteva aver formato quel pensiero? Non la conosceva davvero Ariel, da dove aveva colto la presunzione per creare un’immagine della ragazza così accurata?
La bionda aveva già iniziato il racconto prima che Mary potesse sintonizzarsi sul suo stesso canale. Seguì la mano della giornalista, strizzò gli occhi nel tentativo di vedere ciò che vedeva lei. Era una divinatrice, lei e in quanto tale aveva certe capacità, come ad esempio riuscire ad interpretare i cambiamenti atmosferici, leggerli, prevedere il futuro attraverso di loro. Le stelle invece, quelle non le dicevano assolutamente nulla e anzi, delle volte le parevano piccoli ostacoli sparsi per il cielo che le impedissero di vedere oltre.
«Ma i draghi esistono davvero?» anche la sua voce le parve rimbombare nel silenzio, percepita da molti anche oltre le colline. Voleva ridere della sua stessa battuta ma la sua bocca e il suo cervello non le permettevano movimenti oltre quelli che già stava compiendo.

«Sto cercando di immaginare una piccola te che scappa con la bacchetta in una mano ed una piccola canna nell’altra.» l’immagine di una piccola Ariel faticava a presentarsi ai suoi occhi nonostante si stesse davvero sforzando. I suoi sensi erano già annebbiati, a tal punto che da un momento all’altro avrebbe iniziato a fare domande stupide o peggio, a condividere parti della sua vita che voleva rimanessero segrete. Come stava per accadere.
«Io la prima volta l’ho fumata con la mia ragazza.» non sentì la necessità di condividere con Ariel il fatto che la sua ragazza fosse morta da qualche tempo, ma eventualmente lo avrebbe fatto. Fece un tiro della canna che le era ritornata tra le mani, trattenne il fumo nella bocca fino al limite, fino a quando non avrebbe tossito. Lasciò andare tutto via col vento. «è stato orribile, penso di aver vomitato dopo.» Ricordare Olivia da fatta le parve più semplice e allo stesso tempo più doloroso. Ricordava particolari che da lucida non avrebbe ricordato, i colori dei vestiti, delle smorfie che le faceva di tanto in tanto. Ricordare quei particolari la ferivano ancora di più.
Olivia non sarebbe più tornata, così come parte di Mary.
«Tu, invece? Jolene?» spostare l’attenzione sugli altri era il suo meccanismo di difesa preferito. Tutti amavano parlare della propria vita e per questo nessuno si accorgeva mai della sua brillante tattica.
Inspirò il fumo con forza, alzò gli occhi al cielo, - *mio dio* - lo notò subito al primo colpo: c’era un drago che volava in cielo. Forse ora anche lei sapeva le costellazioni.
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view post Posted on 30/10/2022, 19:04
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"Gran Sacerdote del Tempio della Pizza"

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Lo sbuffo leggero di Mary le trasmise la stessa sensazione che le trasmetteva un ago inserito sotto pelle: un primo attimo di fastidio seguito da un tenue senso di inadeguatezza. Si disse senza sorpresa di aver ricevuto la conferma del suo essere una fastidiosa so-tutto-io, interpretando il suono come accondiscendenza, la stessa che ci si aspetta di esprimere con gentilezza forzata davanti ai bambini più curiosi e invadenti.

“Meglio così”
decretò, prima di continuare a parlare dei Draghi e delle mirabolanti fantasticherie del folklore islandese.
“E’ più sicuro” si disse poco dopo. “Il tuo essere irritante tiene le persone a bada” ripetersi quelle osservazioni era come passare un cerotto morbido sulla pelle ferita: un blando placebo per un dolore costante.
Si costrinse a tendere le labbra in un sorriso davanti la battuta della donna. Annuì lentamente, prima di inspirare nuovamente il fumo tossico della canna.
Lasciò che il sapore e l’odore pungenti dell’erba e il tabacco si mescolassero nella bocca. Trattenne il fiato e poi lentamente espirò gli scarti dalle narici dritti contro il maglione blu notte.
Lo sguardo tornò alle stelle e alla perenne costellazione del Drago.
Si scoprì invidiosa della testa di serpente nascosta fra le nebulose, intoccabile e inarrivabile esattamente come le sarebbe piaciuto essere in quel momento.
«Mi scambiano ancora per un diplomando di Hogwarts, non credo tu debba faticare troppo ad immaginarmi. Avrò avuto…» Aggrottò la fronte, mentre la mano sinistra si tendeva verso l’esterno per picchiettare sul terreno freddo dei grumi di cenere. «…penso fossi al quarto anno.» Quindi, in un lasso di tempo compreso fra i quindici e i sedici anni. «Faccia più tonda e qualche centimetro più bassa.» Avrebbe voluto dire altro, ma all'idea di rivivere i suoi ricordi d’adolescenza le si chiuse la gola.
Ad aggravare la situazione fu Mary stessa, innocente di sentirsi a suo agio con Ariel più di quanto questa fosse con lei.

«Io la prima volta l’ho fumata con la mia ragazza.»
Un brivido le risalì le braccia discendendo poi per la spina dorsale.
Se il suo cuore potesse fisicamente risalire il petto per tentare la fuga, lo starebbe facendo.
Sentiva i battiti riempirle le orecchie. Il relax indotto dalla marijuana aveva probabilmente quietato il principio di un attacco d’ansia.
“Come fa?” Come faceva Mary a dirlo con tanta spontaneità? Aveva detto una frase così importante con così tanta leggerezza. Vi era una storia dal carico emotivo immenso dietro quel semplice aneddoto.
“Qualcosa mi dice che il Cappello Parlante non mi metterebbe mai a Grifondoro”.
«Oh.» Incapace di sapere come reagire a qualcosa di impossibile da ignorare, si ritrovò a coprire quel silenzio troppo lungo con un semplice e stupidissimo “oh” che urlava tutto il disagio che provava.
«Io. Oh. Uhm. Buon per te – cioè per voi, immagino.» Si morse il labbro inferiore. «Non la parte dopo. Ecco. Non sono stata così male, io. Era più tabacco che altro, non … lasciamo stare.»
Se voleva apparire come totalmente disinteressata a quell’indiretto coming out, stava fallendo miseramente.
Sentirsi nominare Jolene fu la ciliegina sulla torta.
Non prese nemmeno un altro tiro della canna, dimenticata fra le dita della mancina. Si girò di scatto verso Mary, spezzando nel percorso altri steli intirizziti dal freddo.
«Cosa “Jolene”? Non … che c’entra Jolene?»
Ora più che dalla sorpresa era mossa dal panico e la confusione.
Forse era meglio per lei riprendere a fumare e vedere i draghi.
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Edited by petrichor. - 30/10/2022, 19:25
 
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view post Posted on 31/10/2022, 09:34
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Ne uscì un po’ irritata, forse ferita. Delle caratteristiche che più apprezzava di sé stessa, l’essere divertente e spiritosa era quella che le piaceva di più. Non conosceva così bene Ariel da avere la presunzione di comprendere cosa le interessasse o meno, ma pensò che la sua battuta meritasse almeno una risata, un sorriso sincero, uno sforzo innocuo da parte dell’altra.
Si affrettò a dare la colpa alla marijuana per quel suo pensiero, che non potesse essere davvero irritata per qualcosa di così sciocco ed infantile.
Poi, a tormentarla, la consapevolezza di aver rivelato con tanta leggerezza una parte di sé ad una sconosciuta. Non era mai stata riservata riguardo la sua bisessualità, ne aveva sempre parlato quasi con indifferenza. In verità, era solita spiare con morbosa curiosità e preoccupazione le repliche altrui. Nessuno l’aveva mai trattata diversamente, nessuno aveva mai reagito in malo modo, eppure la possibilità che qualcuno potesse risponderle diversamente da come voleva, la turbava. E accadde in quel preciso istante.
Se ne pentì istantaneamente di aver lasciato andare la canna tra le mani di Ariel, ne percepiva un bisogno cieco in quel momento, la necessità di nascondere il suo viso dietro al fumo, di tenere occupate le mani, di farsi intossicare dalla droga e pensare che quello fosse la cosa peggiore che potesse fare. L’ostacolo da superare era smettere di fumare – si sarebbe detta – e non smettere di soffrire come un cane ogni volta che la presenza di Oliva la raggiungesse. E l’aveva raggiunta, era proprio lì con lei, seduta sul prato, una silenziosa ombra appoggiata alla sua spalla destra. Un peso, persino. «Oh?» Era di nuovo lì, la Mary adolescente, quella che non riusciva a nascondere i propri sentimenti, quella con la voce che si tramutava in un sussurro nei momenti di sofferenza. Voleva arrabbiarsi, pensò di averne diritto, pensò *chi cazzo è questa per reagire così ad una mia scelta di vita, non la sua*, ma non poté proferire parola perché altrimenti la sua voce avrebbe tradito troppe emozioni. Aveva di nuovo quindici anni, era di nuovo una bimbetta. Spostò lo sguardo incredulo da Ariel al cielo, il drago era scomparso e si era tramutato nella sua ex-ragazza ora seduta al suo fianco. Spostò la mano destra nell’erba alla sua destra, cercò il calore di Olivia, la sua mano. Non percepì nulla, eppure lei era lì con loro.
Morse con forza l’interno della guancia, voleva trattenersi dall’esplodere. Stava reagendo peggio di quanto si aspettasse dando più importanza all’altra di quanto meritasse. *Non capisco* si ritrovò a pensare *perché fa così se lei sta con Jolene? Che pensa-* era irritata. *Che io non l’abbia notato già da quella volta?*
«Lasciamo stare.» seguì appena ciò che disse Ariel, troppo presa a cercare nell’erba una fonte di calore a lei vicina, invano. Se avesse prestato più attenzione, se la canna non le avesse completamente annebbiato parte dei sensi, avrebbe realizzato che anche Ariel era in difficoltà, nel panico. E invece, perché arrabbiata, percepì la sua voce uscire come irritata dalla sua bocca. «State insieme, no?» uscì quasi come una affermazione, ma non si permise di guardare Ariel, piuttosto preferì alzare la testa e concentrarsi su quell’accozzaglia di stelle messe lì a darle fastidio.

«Non vedi che sta male?» chiuse gli occhi in un istante, inspirò profondamente e trattenne l’aria nei polmoni per un tempo considerevole. La voce di Olivia si era confusa col vento, come succedeva sempre. Sentì gli occhi inumidirsi sotto le sue palpebre. Olivia era sempre stata una persona migliore di lei e non solo lo era, ma aveva anche la capacità di trasmettere la sua bontà ad altri che a loro volta emulavano il suo esempio.
Razionalmente, Olivia era morta, lei lo sapeva. Razionalmente, era lei stessa ad aver notato che qualcosa in Ariel non andasse. Ma non c’era nulla di razionale nel suo rapporto con Olivia, non c’era nulla di razionale nel fatto che potesse vederla al suo fianco in quel momento. «Mi dispiace.» Le uscì di getto, quasi timidamente. Spostò lo sguardo verso Ariel, cercando il suo. «Non è giusto da parte mia ipotizzare cose.» Mantenne su di lei lo sguardo, attese che la giornalista la guardasse prima di riportarlo di nuovo al cielo.
«Parlale di te, aiuta.» sospirò. «Parlale di me. Di noi.»
«Sai, non stiamo più insieme ora.» sorrise, lo sguardo distratto si muoveva tra costellazioni sconosciute. «Non l’ho superata benissimo, ovviamente.» Era amara la leggera risata che produsse, abbassò la testa verso Ariel giusto un attimo, poi tornò lì sopra, lontana. Lontana com’era Olivia. «Che la vita è strana, sai? Un giorno l’amore della tua vita è al tuo fianco e il giorno dopo è…» le lacrime erano già in gola, erano già pronte ad uscire non appena avrebbe pronunciato quella parola. Tirò su con il naso, di piangere davanti ad Ariel non le andava proprio. Di piangere a distanza di anni per la stessa persona, non le andava. «Morta.» La sua voce uscì appena, l’altra l’avrebbe sicuramente percepita.
«Ma io sono qui con te, Mary.»
*Ma non dovresti essere qui, Olivia. Devo andare avanti.*
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view post Posted on 31/10/2022, 09:47
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Peccato che la canna fosse solo una.
Ariel fu la prima a nascondersi dietro il fumo, raccogliendo a coppa le mani attorno ai tizzoni bollenti di tabacco e marijuana, lasciando che le spire grigie si infrangessero contro il suo volto al primo fiato.
“Inspira. Espira. Inspira. Espira.”
Si dava comandi precisi, conscia di come la sua ansia stesse nuovamente rischiando di prendere il sopravvento.
Ariel era abituata a scappare, questo non significa fosse brava a farlo.
Se da adolescente lei e la Grifondoro reagivano agli ostacoli con la rabbia, crescendo dovevano aver fatto scelte diverse, perché dove Mary infiammava il prato irretito dal freddo con la sua indignazione, l’altra si lasciava annegare in un mare di paura e gelo.
Il fumo era un palliativo che avrebbe dato effetto per pochissimi inutili secondi.

Sfilò la canna dalle labbra e la allungò alla cieca verso Mary.
“Inspira. Espira.”
Di istinto sollevò un lembo del maglione, tirando il colletto. L’aria fredda della sera non sembrava essere abbastanza.
Si sentiva soffocare.
Il petto si alzava e abbassava più velocemente, mentre le guance si coloravano di rosso per un misto di ansia, imbarazzo e vergogna.
Quanto doveva apparire stupida e inetta in quel momento? Colpita e quasi offesa da una verità pura e dolce come quella di un vecchio amore.
A Mary Grenger piacevano le ragazze e quindi?
Come poteva osare criticare tutto ciò, proprio lei che non faceva che millantare un’etica giornalistica fatta di apertura mentale, condivisione e informazione. Come poteva rifiutare lei una confessione del genere dopo tutto quello che provava per Jolene?
«State insieme, no?»
«No.» Eppure, il suo istinto fu quello di nascondere se stessa e la sua compagna. Proteggerla dietro una bugia che le lasciò un retrogusto acido contro il palato.
«Lei ed io …» Chiuse gli occhi, mentre le braccia correvano al volto, nascondendosi parzialmente.
Mary vide affiorare dal mare di tessuto solo la punta del naso lungo e le labbra di Ariel, strette in una smorfia.
Ora erano in due a rischiare di piangere.
«Non è successo quando ti ho incontrato al ballo.» Si costrinse a giustificarsi, conscia di come ammettere di avere una relazione potrebbe apparire come uno schiaffo all’emotività di Mary.
“Forse le piace ancora e io ci sto pure sputando sopra. Voglio sotterrarmi.”
«E’ successo molto dopo. Non era una cosa che avevo calcolato, lei … lei stava male ed io ero lì e lei aveva bisogno di me e io…» Le parole erano uscite in fretta e furia, l’una peggio dell’altra. Rischiava di risultare insultante nei confronti di Jolene, come se il rapporto fosse nato per compassione e pena nei confronti della sua compagna.
«Cazzo.» Sbottò all'improvviso.
La Olivia del subconscio di Mary aveva ragione: Ariel stava male e non sapeva come destreggiarsi.

«Non è giusto da parte mia ipotizzare cose.»
Non solo l’aveva ferita dopo che si era aperta a lei, ma ora doveva pure sentire delle scuse che non meritava? Le si strinse il cuore. Quando riaprì bocca la voce fremeva, perché avrebbe preferito piangere che costringersi a parlare. «No. Senti.» Si affrettò a dire, cercando di prendere tempo e trovare le parole giuste per rimediare a quel mare di errori che aveva appena vomitato. Era un bene che fosse nascosta dalle sue braccia, perché non sarebbe mai stata capace di dirlo guardando qualcuno negli occhi.
«È una cosa che a malapena riesco a dire a Jolene. Non devi dirlo a nessuno. Per tutti siamo amiche strette. Hai idea di cosa succederebbe se si sapesse in giro? Non … non è una cosa che ci possiamo permettere. » Si interruppe «Io non posso permettermelo..» Tirò su col naso. «Ho da poco la carica da Vice Redattore, sono già … non puoi capire cosa significa essere così nella mia situazione.»
L’accettazione non era una cosa che veniva facile e a volte davanti ad un ostacolo così grande, si reagiva nella maniera peggiore di tutte: il rifiuto.
Ariel era perfettamente consapevole di riuscire ad amare e provare attrazione per una persona indipendentemente dal loro genere o sesso, questo non significa che la cosa le andasse a genio. La odiava. Era l’ennesima croce che la società le avrebbe attribuito con l’unica colpa di esistere. Non poteva scegliere di non amare. Non poteva scegliere di rigettare il suo sangue. Non aveva potuto scegliere niente, se non fuggire. La società dei maghi era retrograda e crudele nei confronti delle cause sociali. La sede della sua famiglia, Skjòl, significava “Nascondiglio” e “Rifugio”, perché era questo che le era stato insegnato fare: nascondersi da una società che non ti accetta, accettare la propria natura con orgoglio, ma contraddirsi vivendola come un brutto segreto.
Era una progenie Banshee ed era innamorata della Docente di Incantesimi di Hogwarts.
Dirlo ad alta voce significava condannare la sua carriera, il suo lavoro, i suoi sogni e aprire un mondo di inferno per se stessa e per Jolene.
«Che la vita è strana, sai? Un giorno l’amore della tua vita è al tuo fianco e il giorno dopo è…» «Morta.»
“E ora cosa cazzo dovrei dire. Dopo quello che ha appena sentito da me con che faccia dovrei aiutare?”
Non riusciva a guardarla in volto, ma nonostante ciò tentò di trovare la mano di Mary con la sua e cercare di stringerla in un debole gesto di conforto.
«Come è successo?»
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view post Posted on 31/10/2022, 09:53
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Nascose il viso dietro la canna appena questa tornò da lei. Sentì di essere d’improvviso stanca, sfinita, non aveva più la forza di combattere contro demoni dall’aspetto angelico. Olivia proveniva direttamente dagli inferi: era bellissima in ogni suo aspetto, la sua voce era pura e dolce ma allo stesso tempo diversa da come la ricordava, il suo sguardo travolgente, ma era anche fredda, la sua presenza l’angosciava, quando c’era lei al suo fianco Mary sapeva di doverle dare tutte le attenzioni perché altrimenti si percepiva in difetto. Il fumo che usciva dalla sua bocca era un modo per nascondersi pure dal suo fedele fantasma, anche s’era impossibile nascondersi da qualcosa che la sua stessa testa aveva creato.
Concentrò le sue poche energie mentali su Ariel, spostando verso di lei la testa, allontanando dal suo sguardo Olivia. La sentì quasi lamentarsi per averle tolto attenzioni, ma combatté contro la necessità di scusarsi, di darle tutto ciò che avesse.
Passò la canna all’altra mano, ritirandola dal prato nei pressi di Olivia e lasciò che la libera andasse a posizionarsi tra lei ed Ariel. Non sapeva come questa potesse reagire al contatto e pertanto preferì lasciarla lì, a disposizione tra loro. «Ariel…» voleva dirle di non preoccuparsi, che non doveva rispondere o stressarsi e poi, che non c’era bisogno di giustificarsi. Anche se fosse successo la sera del ballo, anche se fosse successo per pietà, qualsiasi ragione le avesse spinte insieme in principio, di certo non era la stessa che le teneva ancora unite. Non parlò, alla fine. Lasciò che la giornalista seguisse il suo flusso di pensieri, si sfogasse a modo suo con qualcuno che potesse davvero capirla com’era Mary. Vide il volto della bionda scomparire e riapparire da sotto i vestiti più volte, ma si trattenne da accennare alla cosa, di accennare alla voce già provata. Erano in due fasi così diverse della loro vita, eppure sembrava stessero provando gli identici, forti sentimenti di disagio e paura. Ariel aveva il terrore del coming out, di ciò che le persone avrebbero potuto pensare di lei, di ciò che magari lei stessa avrebbe potuto pensare. Mary doveva superare il lutto del primo amore della sua vita, della donna che le aveva fatto capire la sua sessualità e che ora invece era il motivo di tanta tristezza. «Respira.» Quietamente la sua voce si fece spazio nel silenzio che Ariel aveva creato per lei. Le sue difficoltà le comprendeva, ma non a pieno: per lei non era mai stata difficile quella parte, ciò che l’amore lasciava e si riprendeva era ciò che davvero la tormentava.

Quando andò ad aspirare la canna si rese conto che era finita, la lasciò andare via tra l’erba a confondersi con i suoi simili. Cercò di non mantenere troppo a lungo lo sguardo sull’altra, non voleva metterla ancora più in difficoltà. «Cosa succederebbe? Se lo dicessi in giro, intendo.» Non sapeva quanto quella domanda potesse aiutare l’altra: sapeva benissimo cosa potesse succedere a scoprire una cosa del genere, ma tentò comunque quella strada. Ognuno aveva i suoi tempi, quello era certo, ma le premeva capire quanto la giornalista ne soffrisse davvero. «Complimenti per la carica, tra l’altro.» si affrettò ad aggiungere mentre la sua testa parve quasi infilarsi nella borsa che aveva acciuffato. «Sei quasi il capo, no?» le mani iniziarono a raccogliere tutto ciò che serviva per iniziare a comporre un’altra canna. Era palese ne avessero bisogno. «Ma a te sta bene così la situazione? Sei felice? Siete felici?» quanto le pesava davvero non poter parlare apertamente di Jolene? Non poter andare in giro a dire a tutti quanto è bello baciarla, starle vicino, permettersi di aprirsi con lei? «Perché alla fine è questo che conta. Se per te non pesa tenerlo segreto, va bene. Ma se invece-» s’era distratta un attimo per essere sicura che il filtro fosse venuto nel modo giusto, era quasi la parte più importante. «Se invece fosse meglio dirlo ad alta voce? Potresti perfino urlarlo qui, ora.» si ritrovò a pensare che il suo discorso non aveva davvero un senso, non avrebbe davvero aiutato Ariel, ma non sapeva come porsi e come porre la questione.
«Come è successo?» sorrise, il filtro di nuovo tra le labbra. Sentì quasi l’ironia anticipare le sue parole. «Un’incidente d’auto. Qualcuno l’ha investita.» E lei non aveva potuto fare nulla per aiutare. Non era neanche presente, c’aveva perso ogni briciolo di sanità mentale su quella storia. «Ma io la vedo, sai?» la sua voce era innocente, come se fosse una cosa normalissima, eppure, condita con un po’ di schietta ironia. Non l’aveva mai detto ad alta voce e c’era un motivo: appena le parole lasciarono le sue labbra, sentì Olivia scuotersi al suo fianco, ammonirla persino. Doveva restare un loro segreto. «è qui con noi, ora. Ce l’ho proprio qui di fianco. Non è sorprendente come la mia testa mi stia prendendo per il culo?» raggiunse con lo sguardo incredulo Ariel solo per farle comprendere quanto quella cosa turbasse anche lei. Poi tornò alla sua canna, miscelare, girare, leccare, comporre. Era come una pozione di White, ma più saporita.
Alzò la canna tra lei ed Ariel, le mostrò il risultato, poi l’accese in fretta per percepire di nuovo quel retrogusto nella sua bocca. Con la sinistra posò con delicatezza la sua mano su quella di Ariel, il primo vero contatto fisico che aveva percepito quella sera. L’unico. «è l’amore della mia vita, eppure vorrei solo che mi lasciasse in pace.» Girò con lo sguardo verso Olivia, un viso che le parve ora irriconoscibile. «Vorrei solo che tu andassi via.»
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«Le persone comincerebbero a voler sapere di più su di me. Conosco i miei colleghi: molti di loro preferiscono lo scoop alla persona.» Per un attimo le venne in mente l’incontro di qualche mese prima ai Tre Manici di Scopa con i due Caposcuola, Megan Haven e Casey Bell, inaspriti dalla crudeltà e l’arrivismo presunto di Lucas Scott. Riusciva ad immaginarsi senza fatica i titoli di cronaca “Vice Redattore Vinstav: una banshee deviata al potere?”. Era perfetto per servire un motivo al sistema per toglierla dalla sua posizione e alla Gazzetta del Profeta per vendere. «C’è chi fa il mio lavoro per informare e acculturare, chi per poter avere qualcosa in mano.» In quanti avevano usato il suo giornale come trampolino per una carriera politica? Rowena Abyss puntava all’Ufficio per i Giochi Magici da quando aveva ottenuto la sua carica per la rubrica sportiva, non era un segreto e il Direttore Seraphinus Bagley aveva usato la fragilità politica del mandato di Camille Pompadour come manovra di marketing per riportare alle stelle l’opinione popolare del giornale. I giochi di potere erano alla base del Giornalismo, tanto quanto la regola delle 5 W per la scrittura degli articoli. «C’è abbastanza per togliermi la posizione, credimi. La Gazzetta ha sempre avuto più paura della critica dei lettori che del Ministero e le persone sanno essere … così cattive, Mary. Così. Cattive
Le congratulazioni per la sua carica, quindi, vennero accolte con meno entusiasmo del dovuto. Deglutì a fatica e mimò con le labbra un “ti ringrazio” che non riuscì a prendere vita.
Era chiaro dalle sue parole che “le persone”, chiunque esse fossero nei ricordi di Ariel, non erano mai state particolarmente ben disposte nei suoi confronti.
Ironico, contando il suo lavoro e la sua indole estroversa.
«Quasi.» Era quasi il Capo. Bagley non si sarebbe fatto problemi a chiamarla nel suo ufficio e liquidare con cortesia se fosse servito a mantenere la façade di perfezione del quotidiano. O almeno, così Ariel si era convinta sarebbe andata.
«Mpf.» Sbuffò come a trattenere una risata amara. Scosse leggermente il capo: no, non era felice. Che fosse lei o Jolene l’oggetto, la risposta sarebbe stata sempre quella: no.
Sospirò, nascondendo nuovamente il volto dietro le mani.
“La stai facendo troppo facile, Mary. Magari mi bastasse urlarlo, magari potessi dirlo e fregarmene.”
«Non è solo il fatto che io e Jolene siamo donne il problema, o i nostri lavori. E’ … veramente complicato e ci sono cose di cui non parlo, ma …»
“Ma non sono propriamente umana al 100%. Lo sai che i mezzi-giganti hanno ancora difficoltà nel 2022 a trovare impieghi legali e non soffrire giornalmente il razzismo dei propri coetanei? Lo sai che i mezzi goblin vengono spesso rifiutati dai propri genitori entro la pubertà? Lo sai che la mia famiglia sta da secoli chiusa in una residenza in mezzo al nulla per non avere problemi?”
Si immerse nei propri pensieri. Mentre Mary si occupava di finire di rollare la carta, lei si tirò a sedere. «Ho una storia familiare complicata.» Concluse il suo discorso con l’eufemismo più grande della storia.
Nascose il volto fra le ginocchia e si strinse in un abbraccio.
«Non penso ti stia prendendo per il culo.»
D’un tratto parlare di Olivia e del dolore per la morte le sembrò molto più facile che parlare dei suoi sentimenti e la sua relazione.
Era un ragionamento particolarmente ipocrita e da codardi, ma si disse che da progenie almeno offrire un supporto in quel tema era una cosa in cui sarebbe dovuta essere brava.
La sua Bis-Nonna glielo aveva detto, del resto, che le sue rune la collocavano in un lavoro di ricerca e viaggio nelle storie altrui.
“Forse dovevo davvero scegliere di fare l’insegnante. Così sarei stata coerente con almeno una parte della mia vita.”
«Non è veramente qui.» O se ne sarebbe accorta, probabilmente l’avrebbe sentita o persino vista. «Non fisicamente, intendo. Ciò che stai facendo è proiettare il tuo dolore tramite il subconscio. E’ normale. E’ lo stesso motivo per il quale le persone provano paura o rabbia – a volte è tutto troppo e non si riesce a fuggire da qualcosa. In questo caso potrebbe essere che … non so, ti senti in colpa? O hai qualche conto in sospeso che pensi non potrai più concludere.»
Era quasi doloroso vederla reagire con così tanta calma ad un tema così delicato. Parlare di Jolene e la sua pansessualità sembravano farla reagire come se dovesse affrontare un duello all’ultimo sangue.
Invece le era bastato parlare della Morte per ritrovare calma e sicurezza e permettersi di parlare nuovamente come una so-tutto-io.
«Sai.» Sollevò la testa verso il cielo, poi si voltò leggermente, quanto le bastasse per adocchiare la canna e Mary con la coda dell’occhio.
Aveva le guance umide per le lacrime e gli occhi blu erano striati di rosso.
Le strinse la mano. «A volte si tende a dire che tutti quelli che sono morti “almeno non soffrono più”.» Cercò di incrociare le dita della mano con la sua per approfondire il contatto, palmo contro palmo. «Non è vero. O almeno, non è sempre così. Per questo esistono i fantasmi e gli spettri o tracce di questi incatenate al piano materiale. Il fatto è che lei non è qui. Quindi significa che almeno nel caso di Olivia, lei non soffre da tempo. Lo stai facendo tu al posto suo, ma non penso te l’abbia chiesto?»
La speranza era che passasse nuovamente per una secchiona e un’appassionata di spettrologia.
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«Lo so.» Cosa? Cosa sapeva? Che le persone erano orrende per nessuna ragione? Che la Gazzetta, e qualsiasi altro giornale, fosse solo spazzatura? Che la gente doveva farsi di più i cazzi loro? Sì, lo sapeva. Le sapeva tutte quelle cose, eppure aiutare Ariel le risultava estremamente difficile in quel frangente. La psicologa le aveva insegnato che la cosa più importante era l’ascolto, fornire la sua presenza all’altro, ma non le aveva mai dato consigli su come porre rimedio ai problemi della sua vita, figuriamoci quella degli altri. «Non possono sapere di più di te?» e pertanto, perché era difficile fornire parole di conforto all’altra, avrebbe continuato ad emulare la sua stessa terapeuta: sarebbe rimasta lì a puntualizzare ogni particolare, a mettere i puntini sulle i, ad avere una voce pacata e dimenticabile, così che Ariel avrebbe raggiunto i suoi obiettivi da sola. Non l’aveva ancora capito bene qual era l’ostacolo della giornalista: se non era Jolene e la loro relazione, allora cosa? La sua famiglia? La percezione che aveva degli altri e di sé stessa? Cosa nascondeva Ariel? Che fosse un essere di un’altra razza? «Mhmh.» scosse la testa tra sé e sé e lasciò che la canna si andasse a riporre nella mano dell’altra. La marijuana l’aveva confusa troppo e stava iniziando a formare pensieri che per nessuna ragione dovevano trasformarsi in parole.
Perché Ariel le pareva un po’ strana non significava di certo che fosse di una razza diversa. Era razzista a pensarlo? Era anche lei vittima e artefice del razzismo sistematico di cui appena tre secondi fa parlava Ariel? Di quei pregiudizi che si nascondono ovunque? *oh dio.*
«Se vuoi parlare di queste cose che non parli io-» si fermò, dopo aver portato anche lei le gambe al petto ad emulare Ariel, le braccia intorno a proteggersi, per poi tornare a parlare. «Quanto suona male questa frase? Se vuoi cose di parl-se vuoi parlare, oh albus!» non era il momento per stendersi sul prato e ridere, godersi la serata come persone normali che non si trovassero a soffrire come thestral. Nascose il viso tra le mani per tentare di nascondere la sua risata, ma ne venne fuori una più fragorosa di quanto si fosse aspettata. «Volevo dire, ahm-» portò le mani in grembo, era chiusa su sé stessa per proteggersi dal freddo che percepiva arrivare. «Se hai bisogno di parlare di queste cose, puoi farlo con me. Sai…» mosse gli occhi nella notte come se gli ingranaggi della sua testa si fossero attivati per produrre una frase di senso compiuto. «Dire “ho una storia familiare complicata” è un po’ sciocco, a parere mio.» voleva dire “è un po’ una cazzata” ma sciocco le apparì come un termine più adatto alla situazione. «Non fraintendermi, ti credo. Non ho motivo di non farlo. Ma penso che tutti potremmo dirlo e poi decidere di restare chiusi in noi stessi per sempre. Nasconderci dagli altri per il resto della nostra vita.» Come lei provava ogni giorno a celare il suo dolore per Olivia, così Ariel lo faceva per altro. «Non ti dico di parlarne con me ma dovresti farlo con qualcuno. Ariel, la vita è così breve-» si strinse le gambe al petto, alzò la testa al cielo. Odiava piangere eppure si era ritrovata a farlo già più volte quella sera. «-non puoi passarla nella paura del giudizio degli altri. Magari non ti è neanche d’aiuto quello che ti sto dicendo, magari sto proiettando su di te le mie esperienze-» avrebbe pensato il giorno dopo a quella frase, a come era riuscita a formare un pensiero dotato di senso in quel frangente.
Portò lo sguardo sulla giornalista, aveva gli occhi umidi ed il viso stanco. «-ma ho bisogno che tu viva tirò rumorosamente su col naso, poi girò il viso verso Olivia. Era bellissima, come poteva rinunciarci?

«Non è veramente qui.» Nessuno glielo aveva mai detto ad alta voce. Nonostante n’era consapevole, sapeva che Olivia fosse frutto della sua testa, sentirselo dire da altri era sia una liberazione che una condanna. Iniziò a piangere in maniera incontrollata, prima guardando Olivia negli occhi, il suo sorriso incoraggiante a spronarla di piangere a più non posso, poi nascondendo il viso tra le gambe. Tremava come una bambina. «Lo so.» la sua voce era un debole suono ma sufficientemente udibile.
Strinse la mano di Ariel quando questa arrivò, incrociò le loro dita, usò quel calore per calmarsi, tentare di regola il respiro mentre con l’altra cercò di scrollare dal viso le lacrime, alzare la testa per rivolgerla all’amica. «Non so come smettere di soffrire, Ariel.» lo confessò timidamente, quasi come se la sua fosse un’ammissione di colpa imperdonabile. «L’unico senso di colpa che ho è non averla amata a dovere. Lei meritava più di quanto potessi darle io o chiunque altro al mondo per quanto mi riguarda.» andò a parlare poi direttamente con Olivia, incurante di come da fuori dovesse apparire. «Avrei dovuto fare di meglio, Olivia. Esserci di più, confessarti chi sono davvero. Avrei dovuto amarti meglio. Mi dispiace così tanto.» le lacrime le inumidirono di nuovo gli occhi ma mantenne lo sguardo sulla sua ragazza, ne riuscì a vedere nuovamente gli occhi smeraldo. Poi, quando perse quasi le speranze, la sentì così nitidamente nell’aria, vide persino le labbra di Olivia muoversi. «Non è colpa tua, Mary.» le aveva detto. Non era colpa sua.
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«Lo so.»
Le venne quasi da ridere a quell’affermazione, perché no, Mary non sapeva.
Ariel peccava raramente di presunzione, ma quei temi la facevano soffrire abbastanza da farle pensare con ipocrisia che nessuno potesse capirla.
«Non possono sapere di più di te?»
Scosse leggermente la testa in capo di diniego. No, non potevano saperne di più di lei. «Se vuoi parlare di queste cose che non parli io-» Si girò a guardarla male, confusa da quella nota stonata nella serietà del discorso. «Quanto suona male questa frase? Se vuoi cose di parl-se vuoi parlare, oh Albus!» Non era il momento per stendersi sul prato e ridere, ma marijuana e stati emotivi alterati creavano spesso reazioni totalmente fuori luogo. Trattenne la risata schiacciando le mani contro le labbra, strozzando il fiato in un sonoro snort.
«E’ il tentativo peggiore della storia di farmi stare meglio, ma anche il migliore riuscito.»
Scosse leggermente la testa, mentre il sorriso si affievoliva rapidamente. Non riuscì però a scacciare l’angoscia e il senso di solitudine e incomprensione che il discorso aveva richiamato.
«Mh?» Fu un bene che Mary ebbe l’accortezza di spiegarsi subito, perché nel tornare a distogliere lo sguardo dal cielo stellato, si era girata con una nuova emozione a portata di tiro: indignazione.
Era già pronta a dirle che lei dei problemi dei Vinstav non sapeva e non poteva capir nulla, privilegiandosi di un dolore che ormai indossava come un’armatura. «Tutti possono nascondersi, ma credimi: dubito fortemente tu possa capire anche solo per un momento cosa significhi essere me.»
Con quel cliché peccava di un vittimismo condannabile, ma che rappresentava la cruda realtà in cui Ariel si era abituata da anni a crescere: gli ostacoli della sua discendenza non si affrontano, ma si schivano e si portano nella tomba finché qualcun altro dei tuoi parenti non dovrà riaprirla e ricominciare a correre.
Il problema è che diversamente dalla Reggente Astrid o da sua madre, la Maestra Ragna, la Vice Redattrice era tutto tranne che una persona adatta alla solitudine e all'eremitaggio. Le bastò vedere le lacrime rigare di nuovo il volto di Mary perché le si stringesse il cuore.
Quella donna stava solo cercando di farla sentire meglio e aiutarla.
Non le doveva nulla, anzi, aveva accumulato nell’ultimo anno Hogwarts tutti i buoni motivi per cui non vederla di buon occhio.
Invece Mary era lì col cuore in mano a confidare i suoi segreti e condividere tutte quelle battaglie che aveva ancora da combattere.
“Sei meglio di così, Ariel.”
Si castigò da sola. L’espressione dura e inasprita dal dolore si ammorbidì.
Sospirò e cercò con una mano di riprendere la canna dalle mani dell’altra, sfilandola con eccessiva irruenza. Prende un profondo respiro, inalando più di quanto fosse necessario. Trattenne il fumo per qualche secondo e poi lo lasciò andare tra le narici e le labbra secche per il freddo.
La stretta attorno alla sua mano si fece più forte. Non era sua intenzione farle male, ma cercare di trasmettere quanto più possibile il suo supporto.
Non riusciva ancora a guardarla a lungo, ancora scossa dal senso di colpa che provava nel non riuscire ad esporsi e per tutte le parole amare e sbagliate che era riuscita a dire in quel momento.
«Non tutti sono fatti per vivere con la Morte, Mary. Lasciala andare. Sei tu quella che deve vivere.» Non Olivia o il suo fantasma proiettato da un subconscio sofferente.
«Non è colpa tua, Mary.» Le sue parole fecero involontariamente eco con quelle di Olivia.
Un secondo sbuffo di fumo lasciò le sue labbra. La stretta alla mano dell’altra si affievolì, fino a perdersi nel tentativo di ritrovare distanza. Cercò di forzare un sorriso, ma riuscì solo a tirare su col naso a sua volta.
“Dove trova questa forza?” Si chiese. Lo sguardo si fermò sul tizzone ardente della canna. Picchiettò il filtro con il pollice, lasciando cadere un grumo bollente fra le gambe, contro la sterpaglia gelida del parco.
«Non sono umana. Non del tutto.»
L’ammissione venne fuori per senso di colpa. Era un sussurro che se non fosse per la solitudine del loro nascondiglio, sarebbe stato molto complesso da cogliere.
Stese il braccio che reggeva la canna, porgendola a Mary. «Tutti se ne vanno quando lo scoprono e se non sei furbo abbastanza da andartene prima tu, saranno gli altri a tirarti via.»
Se non era Jolene a scappare una volta scoperta la natura della sua compagna, sarebbe stata la società a darle un ultimatum. Un Docente invischiato con un ibrido o un essere sarebbe stata l’ennesima carta da usare contro l’opinione pubblica - che lei stessa aveva rovinato - di Hogwarts.
La conclusione giunse così, fredda, triste e motivata dall’esperienza.
Ariel non pensava di saper combattere oltre questa sua paura, non come Mary le stava dimostrando di saper fare con la sua amatissima Olivia.
Si era permessa di lasciar trapelare qualcosa ed esporsi, ma non sarebbe andata oltre.
«Puoi andartene.» Tornò a guardare in alto verso le stelle, allungando la mano libera per darle una leggera pacca sulla mano, come a volerla congedare dal supplizio della loro conversazione.
Cosa poteva fare Mary del resto se non cercare distanza dopo aver scoperto di avere accanto qualcuno - anzi - qualcosa di pericoloso?
Per quanto poteva saperne, forse dietro quella maschera di donna fragile si nascondeva una creatura magica subdola.
«Sei coraggiosa, Mary.» A differenza mia, avrebbe voluto dirle. «Se Olivia ti amava, non ti avrebbe voluta nascosta nel suo ricordo, fidati.»
O glielo avrebbe detto.
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view post Posted on 31/10/2022, 10:47
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«Non è colpa tua, Mary.» Non le era più chiaro dove iniziasse Olivia e dove finisse Ariel. Non le era più chiaro il ruolo stesso che lei giocava in quel frangente. Sapeva solo che Olivia stava sfumando via davanti ai suoi occhi e lei non poteva far nulla per fermarla. Quando erano morti i suoi genitori aveva attraversato dei periodi orribili: la cosa peggiore era quando dimenticava particolari di loro che si era ripromessa avrebbe per sempre portato con sé. Allora, reagiva ricoprendosi sotto un manto di tristezza difficile da smuovere. Era la stessa angoscia che stava provando in quell’istante: se avesse perso quell’immagine di Olivia avrebbe finito per perdere molto di più, perdere tutti quei dettagli che la componevano, tutti i ricordi passati insieme. Eppure, era inerme. Sentiva la pressione della mano di Ariel nella sua, era come sé la stesse trattenendo a sé, come se la stesse tenendo con i piedi per terra. Ariel la stava trattenendo tra i vivi. Fosse stata da sola, non sapeva come avrebbe potuto reagire: l’idea di perdere di nuovo Olivia l’avrebbe potuta spingere a fare qualsiasi cosa. Ariel Vinstav le stava salvando la vita senza neanche saperlo e Mary non l’avrebbe dimenticato mai.

Con Olivia che si allontanava lentamente nel buio, Mary tirò su col naso e lasciò che la sua concentrazione si spostasse nuovamente sulla sua amica. Era arrivata alla conclusione che ormai potevano definirsi tali: era vero si fossero viste solo due volte e poco più, ma entrambe le volte avevano condiviso molto di più di quanto Mary avrebbe fatto con chiunque altro. A quel punto, era arrivata alla conclusione che di Ariel Vinstav lei si fidava. E poco contava che Ariel aveva una relazione con la sua crush della scuola, l’importante è che fossero tutti felici. Per tale ragione, quando Ariel le confessò di non essere umana, Mary dapprima non reagì. Stava guardando Ariel con curiosità, stava fumando la sua canna aspirando ogni volta più profondamente e per poco non le sfuggirono le parole della giornalista. Tuttavia, le sentì. Non sapeva come porsi di fronte a quella affermazione. Cercò di indagare nello sguardo di Ariel per comprendere sé stesse mentendo o meno: poteva capitare che magari fosse una stranissima battuta della gente di Beauxbatons con un umorismo strano. Ma non le parve ci fosse alcun fondamento di menzogna e anzi, Ariel sembrava esserne particolarmente provata.
«Non sono umana. Non del tutto.» la frase si ripeteva e ripeteva nella sua testa. Cosa significava? Come si poteva essere non-del-tutto umani? Razionalmente, sapeva fosse possibile, ma nel caso di Ariel, cosa significava? I suoi occhi furono colpevoli nel muoversi sulla lunghezza del corpo dell’altra ora in attesa di vedere qualcosa di nuovo, particolare, orripilante, un segno caratteristico che desse a vedere qualcosa, ma nulla. Ariel le parve normalissima. «Smettila.» odiava quando le persone le dicevano cosa fare e Ariel l’aveva fatto per ben due volte. Due volte le aveva ripetuto di andare via, due volte Mary aveva provato un senso di particolare irritazione. L’irritava l’idea che Ariel potesse pensare che, perché non umana, Mary l’avrebbe vista in modo diverso da com’era. Poi, la rabbia svanì: si ritrovò a pensare quanti pregiudizi la giornalista avesse dovuto affrontare per avere così tanto timore di aprirsi. I lineamenti di Mary, dapprima irrigiditi per la rabbia, divennero più morbidi e meno spigolosi. Voleva avere qualcosa da dire, ma era difficile in quel momento per svariate ragioni: shock forse, ma anche marijuana e generale confusione. Si spinse allora sul prato, stendendosi. «Vieni qua.» le accennò con gentilezza segnalando con la testa il posto di fianco al suo. Portò la mano destra dietro la testa, per reggerla. «Mi mostri di nuovo la costellazione del drago, per favore?» avrebbe atteso che Ariel la raggiungesse e poi, in un attimo di silenzio, si sarebbe accodata all’ultima frase pronunciata dalla giornalista. «Se Jolene ti ama, non ti vorrebbe nascosta nella paura, fidati.»
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